17 ottobre 2024

La poetessa-maestra: Fausta Donati De Conti

Fausta Donati De Conti è una poetessa dialettale cremasca che ha contribuito alla ricca tradizione poetica del territorio. Il dialetto cremasco, sebbene considerato da alcuni come un linguaggio marginale rispetto all’italiano letterario, ha una sua vena poetica appassionante. Il prof. Luciano Geroldi, (studioso del dialetto e autore del Vocabolario del dialetto di Crema, nell’edizione Tipolito Uggé, di Bottelli Santino del 2004 e della sua ristampa, nell’edizione Leva Artigrafiche in Crema, del 2010) così argomentava in una presentazione sulla poesia cremasca: 

I poeti come Fausta Donati De Conti, subiscono l’influenza della lingua colta e spesso si allontanano dalla lingua parlata vera e propria, tuttavia la sua produzione poetica in dialetto cremasco è preziosa per preservare e tramandare la cultura e le tradizioni locali.

Verso la fine del secolo scorso anche il dialetto cremasco diventa lo strumento prezioso, più rispondente a esigenze di essenzialità della poesia: da lingua di natura (della comunicazione corrente) trapassa a lingua di cultura, si ricompone nella individualità dello scrittore, viene insomma profondamente interiorizzato.

Molti anni prima, nel 1950, mons. Franceso Piantelli in Folclore Cremasco definiva Fausta Donati la voce storica della poesia dialettale cremasca e la poneva all'attenzione dei concittadini, giudicandola, assieme al Maestro Giacomo Stabilini, fra le promesse più autentiche della nostra letteratura in vernacolo, tant'è che ne pubblicava la lirica Al scusalì (Il grembiulino). 

Dal lontano 1950, la poetessa è  sempre stata presente nel panorama culturale cremasco.

Al scusalì

……………

Apena smansulént da la giurnada, 

amo caldì, la cinta deslasada, 

sa vedìa dentre i sò du bèi brasòt 

'n da le manighe piene da nagót.

E so mia stata buna da tucàl, 

che pròpe... ma parìa da desedàl.

Il grembiulino. Appena un po’ sciupato dalla giornata, / ancora tiepido, la cintura slacciata, / si vedeva l’impronta delle sue braccia grassottelle, nelle maniche piene di niente. // E non sono stata capace di toccarlo, / che davvero… mi sembrava di svegliarlo.

Biografia

Fausta Donati De Conti è nata a Crema nel 1909. La nonna materna Antonietta Pesadori ‒ una dei nove figli del famoso tenore Ranunzio ‒ era sorella del poeta dialettale cremasco Federico Pesadori.

Fin da bambina Fausta si divertiva a scrivere dei raccontini suggeriti da decalcomanie a colori in uso fra gli scolari di allora. Amava i libri e il suo più grande sogno era quello di continuare gli studi fino all'Università. Guardava con invidia le compagne avviate agli studi classici: la laurea in Lettere era la sua meta desiderata per farsi una cultura, frequentare ambienti letterari, sviluppare le sue conoscenze in una professione a lei congeniale, per sentirsi realizzata.

Purtroppo quel traguardo non fu mai raggiunto, perché sempre si ergeva una barriera a farlo naufragare. Penultima di una numerosa famiglia, e per giunta femmina(!), fu iscritta alla locale Scuola Tecnica, a compimento della quale, sopraggiunta la Riforma Gentile e la soppressione della Scuola Normale a Crema, che preparava i futuri insegnanti, dovette sospendere gli studi. Erano gli anni duri del dopoguerra 1915-18.

A 15 anni, impiegata come apprendista nell'ufficio bancario del padre, passò in seguito ad altro impiego presso una ditta industriale (1925) per parecchi anni con suo disappunto. Lasciato finalmente il lavoro e usufruendo dei suoi pochi risparmi (che fra stipendio e buonuscita assommavano a Lire 5.000), ripigliò libri e quaderni e riprese gli studi, frequentando presso un Istituto privato di Lodi la scuola Magistrale. Completò in seguito la sua preparazione a Crema con lezioni private fino a presentarsi agli esami di Abilitazione e ottenere il Diploma magistrale nel 1939.

Non era sua intenzione fermarsi  a questo traguardo, ma di iscriversi, previo esame di ammissione, alla Facoltà di Magistero all'Università Cattolica di Milano. Purtroppo  già si profilava all'orizzonte la seconda barriera: la guerra che, già scoppiata in Germania, nell'anno seguente raggiunse l'Italia. Sospesi i concorsi ai posti d'insegnamento,  Fausta riprese l'impiego, mentre la guerra continuava. Piovevano bombe su Milano e fu distrutta la sede dell'Università che aveva sognato di frequentare.

A guerra finita, vinto nel 1951 il Concorso magistrale e conseguita la nomina nella scuola di Offanengo, vi rimase per tutta la sua carriera di insegnante (1974), rinunciando per sempre al suo sogno.

 La sua opera non è stata edita in forma organica fino al 1995, anno in cui ha dato alle stampe l’unica sua pubblicazione Estàt a le Casèle, Leva Artigrafiche di Crema, che racchiude quasi tutta la sua produzione poetica. 

Scrive il Prof Francesco Edallo nella Prefazione dell'opera di cui è stato anche il prezioso curatore: 

Ho seguito [...] l'attività poetica di questa nostra concittadina [...] è un'Artista che, senza mai cadere in inutili lirismi retorici sulla bellezza dei tempi andati, ha saputo con rara efficacia e freschezza ricreare immagini, sensazioni e momenti ormai persi e dimenticati, se non nelle memorie dei nostri vecchi.

Fausta Donati De Conti è deceduta a Crema nel 2001.

Bibliografia 

Estàt a le Casèle, Edizioni Circolo Culturale della Fiera, Crema, 1995.

Poeti cremaschi di ieri e di oggi: Fausta Donati De Conti, Antologia (a cura di C. A. Sacchi), Pro Loco, Crema, 2010.

Annota  qui il Prof. Carlo Alberto Sacchi, curatore della collana Poeti cremaschi di ieri e di oggi, del 2010 per la Pro Loco di Crema, negli appunti per la presentazione del volume che propone i testi della poetessa:

Io credo che il grande fascino della poesia di Fausta Donati derivi essenzialmente dall'intimo sentimento di amore e di partecipazione che essa suscita mediante la purezza e la ricchezza con cui vede e sente, descrive e suggerisce lo spettacolo dei fenomeni naturali, lo scorrere inesorabile dei giorni e l'aprirsi autentico dell'anima delle persone.

Quello della scrittura del dialetto è stato uno dei problemi principali di Fausta Donati De Conti: un vero e proprio cruccio, quasi un assillo; lo dimostrano le varie stesure dei medesimi testi che troviamo numerose fra i suoi manoscritti. Le imprecisioni e gli errori venivano via via corretti fino a giungere a quell'ultima stesura data alle stampe che si può ritenere sostanzialmente accettabile, soprattutto se si considera il fatto che l'Autrice per ragioni anagrafiche non ha potuto seguire la lezione attenta e precisa del prof. Luciano Geroldi. Questo straordinario aiuto avrebbe portato senza dubbio, a mio parere, Fausta Donati alla tanto agognata perfezione. 

Va comunque rilevato che nella poetessa la scrittura della morfologia è tutto sommato corretta, mentre numerosi errori, imprecisioni e contraddizioni si notano nell'uso grafico dei segni che indicano gli accenti e in particolar modo quelli tonici. 

La scrittura di Fausta è scrittura volutamente semplice, cristallina e naturale. Non vi si trovano orpelli e nemmeno concessioni a quella retorica che solo esteriormente si rifà alle facili tentazioni di compiacimento rustico-popolare; non vi si trovano nemmeno forzature lessicali che abbiano come unico fine la spettacolarità del recupero del gergo antico fine a se stesso: l'unico fine della scrittura di Fausta è la poesia.

Per quanto concerne le composizioni in vernacolo, la lingua da lei usata è il dialetto cremasco cittadino, con sporadiche concessioni al dialetto di San Michele e ancor meno, a quello di Offanengo, paese in cui fu, per lungo tempo, la maestra.

San Michel

Gh'è 'l palàs, l'urtaia dal Cunt, 

do casine püsé 'n funt, 

sö la strada dal Sapèl 

e va dize argót da bèl, 

là s'è Uniti i fabricati, 

amò adès i'a ciama i Stati.

…………………….

An cai dé che gh'è seré

'nvèrs le Brede là dadré; 

s'anduina da luntà

la casina dai Liguà 

e se pasa 'n ciòp d'uzèi,

l'è 'n mumént dai püsé bèi.

 

San Michele. C’è il Palazzo, l’orto del conte, due cascine più lontane, / sulla strada per Zappello, / là sono stati unificati i fabbricati, / ancora oggi li chiamano gli Stati Uniti. // Nei giorni sereni / verso le Brede lì dietro, / si indovina da lontano / la cascina dei Liguà / e se passa uno stormo d’uccelli, / è un attimo dei più deliziosi.

Lo stile non solo è ricco di immagini e di colori, ma è anche particolarmente attento alle più remote sonorità che il dialetto cremasco può offrire. Le sue composizioni sono pagine di dolcissima musica.

Come molti poeti cremaschi Fausta ama profondamente la pianura cremasca, ne interiorizza le bellezze e ne descrive lo scorrere delle stagioni.

Setembre

L'estàt che l'è adré per finì 

la lasa 'n da l'aria 'l sò fiàt, 

gh'è pö gna 'n uzèl an dai nì

e töc i frecàs i'è smursàt.

 

'Na spera da sul che sparés 

sö l'ültime piante da l'òrt

la sföma i culùr che sbiadés 

coi prim sancarlì per i mòrt.

Settembre. L’estate che sta per finire / lascia nell’aria il suo respiro, / non c’è più un uccello nei nidi / e tutti i rumori si sono spenti. // Un raggio di sole che sparisce / sulle ultime piante dell’orto / sfuma i colori che sbiadiscono / coi primi crisantemi per i morti. 

Scrive Sacchi in un suo articolo sulla poesia dialettale dal titolo «Valori Estetici e Antropologici della Poesia in Dialetto Cremasco», pubblicato su Insula Fulcheria del 2018, facendo riferimento alla poesia della Donati De Conti nel capitolo sul significato dell’idillio:

Idillio, dal diminutivo del termine greco eîdos (immagine), significa propriamente quadretto, bozzetto. Ed è in questo significato che si utilizza, sorvolando sul fatto che nella poesia moderna (come ed ancor più in quella antica) esso tenda a indicare i componimenti, preferibilmente brevi, che esaltino la vita campestre con accenti di incanto e di serenità. Per idillio si può intendere tutta la poesia che esprima un’emozione pura e diretta, affidata a una sola immagine e vissuta in una sola situazione.

 Le emozioni possono nascere dall’osservazione della natura, dall’occasionale contatto con oggetti, (ma gli oggetti presuppongono quasi sempre la presenza/assenza delle persone, ragion per cui la poesia anche in questi casi tende a coinvolgere soprattutto i sentimenti), ma le emozioni nascono principalmente dall’incontro diretto e quasi fortuito con la parte più sensibile di noi stessi: l’anima? 

Il nostro paesaggio è caratterizzato soprattutto dalla ricca presenza del fiume: la poetessa ad esso rivolge le sue attenzioni e il suo affetto, non privo di rimpianto per i tempi andati, quando le acque erano più pure e donavano a tutti una vita più consona alle esigenze degli uomini.

Al nòst Sère

Coi s'ciai dala casina a pé pèr tèra 

andaem al Sère zo pèr i sentér, 

sentiem pèr le stradèle i car da gèra, 

ciucà le fröste e le 'us dai caretér.

'N da l'aqua ciara, 'ntànt che la pasàa, 

cüntaem i pès che dentre i sa muìa; 

sö le nòstre barchète che le 'ndàa,

metiem i fiór, catàt an sö la ria.

Il nostro Serio. Con i ragazzi della cascina a piedi nudi/ andavamo al Serio attraverso i sentieri, / sentivamo per le strade sterrate i carri di ghiaia, / schioccavano le fruste e le voci dei carrettieri. // Nell’acqua chiara, intanto che scorreva, / contavamo i pesci che dentro nuotavano; / sulle nostre barchette che se ne andavano, / mettevamo i fiori, raccolti sulla riva.

Aggiunge poi Sacchi: Fausta, come molti poeti dialettali, ha scritto poesie anche in lingua italiana che presentano un diverso stile perché diversa è l'ispirazione e diversi sono i modelli culturali a cui si rifà l'Autrice. Si tratta di composizioni limpide, brevissime e quasi senza rima, legate sempre a una sola immagine e a un solo stato d'animo, vicine alla sensibilità,  ed ancor più alla forma della poesia ermetica, a quella di Montale più che a quella di Quasimodo o di Ungaretti. 

Trascrivo,  come esempio una poesia in lingua di Fausta:

Senza titolo

Ancor più fragile

eri,

gli occhi senza luce...

e senza eco

rimase

l'anima sua.

Grande la varietà dei metri da lei usati nelle composizioni  in dialetto: la loro scelta non è mai casuale, ma è sempre dettata dall'argomento e ancor più dalle mutevoli circostanze dell'ispirazione. L'Autrice fa largo uso dei versi brevi (il senario, il settenario e specialmente l'ottonario) per descrivere realtà e situazioni tendenti al sentire popolaresco, venato di originale comicità. Questo tipo di versificazione conferisce alle composizioni una grande rapidità ritmica e una spiccata musicalità, sottolineate ed esaltate dall'uso sapiente della rima. L'archetipo di queste poesie può essere considerato a buon diritto la filastrocca. 

La Coriera

La ve avanti còn frecàs,

pulver, aqua o nef a spas

e Vitorio 'l ciama 'l suna,

l'è riàt 'na 'olta buna,

……………………..

Per fürtüna riem a Lot,

tirem fora 'l nost fagòt;

sèm zamò söl punt da l'Ada,

vardem l'aqua isé 'ncrespada

con al cel, le piante 'n fund

che la burda 'n po la scund.

Ura zent che sa mesèda,

i stüdént i sa desèda,

amo 'n sfòrs sö la salida,

al mutùr l'è 'na piida!

'N da la piasa fèm scapà

i culùmb col nost rià

e sa voda la coriera,

se l' ò det, el mia töt vera?

Il pullman. Viene avanti con rumore, / polvere, acqua o neve in giro / e Vittorio/ chiama e suona, / è arrivato finalmente. // Per fortuna arriviamo a Lodi / estraiamo il nostro fagotto / siamo ancora sul ponte dell’Adda, / guardiamo l’acqua molto increspata / con il cielo, le piante in fondo / che la nebbia un po’ nasconde. //  La gente si mescola / gli studenti si svegliano, / ancora uno sforzo sulla salita, / il motore sfiata. // Nella piazza facciamo  fuggire / i colombi con il nostro arrivo / si svuota la corriera, se l’ho detto non è tutto vero?

Il verso più amato dalla poetessa e più usato rimane comunque l'endecasillabo, come del resto è tipico di tutti i più celebrati autori cremaschi. Alla lentezza e all'armonia di esso, lei affida i sentimenti più struggenti, i pensieri più profondi, le fascinazioni più intime. L'amore e la connaturalità con l'endecasillabo in Fausta Donati sfociano naturalmente nel sonetto. Hanno un sapore molto simile al sonetto i metri di quattro strofe, composte da quattro versi endecasillabi. Anche l'uso delle rime ha un'importanza straordinaria nella sua produzione poetica: la rima infatti è l'elemento fondamentale atto a ricreare la musicalità dei sentimenti. 

La bravura dell’Autrice nella rimazione, si rifà ai canoni fondamentali della materia: all'uso delle rime alternate e delle rime baciate soprattutto. Non manca però una lunga composizione in monorima: si tratta di un unicum in tutta la produzione dialettale cremasca. Il risultato non è forse del tutto apprezzabile: evidenti infatti risultano alcune forzature, tuttavia la composizione è vivace e piacevole. Difficilmente la nostra poetessa usa nelle poesie in dialetto la canzone a versi liberi, a strofe libere e a rima libera, ma quando lo fa ottiene sorprendenti risultati. 

Ruzì

 La sutana e 'l curpetì, 

a traèrs al scusalì,

la faa 'ndà i sò sibretì,

al sò nom l'era Ruzì.

Col sò pas da nadrutì,

an po 'n fora 'l sederì,

a padrù l'era a servì,

la 'ndàa al pos col sedelì.

Netà i vedre 'n dal stansì

lunch 'na spana i sò brasì,

per làa i piàt an laandì,

la ciapàa 'l sò scabelì.

Strepà l'èrba 'n da l'urtì,

sempre le, pore dunì,

catà sö 'n quai bruchelì

e 'mpisà 'l fugarelì.

………………….

 Rosa. La veste e il corpetto/ di traverso il grembiule/ faceva scivolare  le sue ciabatte,/ il suo nome era Rosa. // Col suo passo da anatroccola, / un poco in fuori il sederino/  era a servizio da padroni/ andava al pozzo col secchiello. // Pulire i vetri nel ripostiglio/ lunghe una spanna  le sue braccine, / per lavare i piatti nel lavandino/ usava il suo sgabellino. // Strappare l’erba nell’orticello/ sempre lei povera donnina, / raccoglieva qualche ramoscello/ e  accendeva un piccolo fuoco.

Vari sono i temi che la poetica di Fausta Donati De Conti affronta e approfondisce attraverso lo schema che lei stessa fornisce nella suddivisione della sua opera: equation.pdfEstàt a le Casèle». 

Il primo tema che emerge è quello di Crema e del Cremasco. Leggendo  i testi riportati nell’edizione, si nota che l’autrice non ha mai dedicato una poesia alla città nel suo insieme, ma l'ha cantata attraverso il particolare, cioè attraverso la concretezza del vissuto. Altri temi cantati dalla sua poetica sono le piccole patrie d'elezione, laddove il suo cuore e la sua anima hanno trovato cittadinanza.

I poeti cremaschi hanno da sempre amato il loro territorio, ne interiorizzano le bellezze e lo descrivono soprattutto secondo lo scorrere delle stagioni.

I mesi e le stagioni sono un tema anche a lei caro: l'osservazione della natura nella mutevolezza proposta dallo scorrere del tempo, concede respiri profondi ed emozioni irripetibili: in questi casi è facile e quasi inevitabile che si possa scivolare nel banale e nello scontato, ma questo non è certo il suo caso. 

Estàt 

Estàt, ure sulade dal mèsdé,

sö la strada i frecàs i rimbumbàa,

trat pèr trat 'na caròsa che pasàa

e la 'us dal strasér söl marciapé…

 ………………………

Antànt a la luntana sa sentìa

i s'ciai che amó i giugàa 'n sö la piasèta

e pèr an pès la 'us la 'ndàa e vignìa,

fin che sunàa a quatr'ure la sculèta;

alura 'n dala ceza i scumparìa,

la piasa la restàa sula sulèta.

Estate. Estate, ore assolate del mezzogiorno, / sulla strada i rumori rimbombavano,  / ogni tanto una carrozza che passava / e la voce dello straccivendolo sul marciapiede…  // Intanto da lontano si sentivano / i ragazzi che ancora giocavano sulla piazzetta / e per tanto tempo la voce andava e veniva, // fin che suonava alle quattro (il rintocco per) il catechismo; allora in chiesa scomparivano, / la piazza restava abbandonata.

Grande rilevanza hanno anche le campagne e i mestieri: in queste composizioni il sentimento è avvolto dalla dolcezza della nostalgia più che dagli aghi pungenti del rimpianto; in essi l'amore per la natura non può prescindere dall'amore per gli uomini che la abitano e la modificano. Anche gli esseri umani sono sentiti come personaggi inalienabili del paesaggio e della vita campestre: a loro sono dedicati alcuni dei più bei quadretti della nostra letteratura. 

 Le gratine

……………………

Le gh'ia sempre da dì con al padrù 

che 'l cüràa prim da töt al sò interès, 

al vurìa fa la culma söi sterù,

ma lur i'a müsüràa razàt istès.

 

Quand le pasàa, la grata cuntra 'l fiànch, 

le palanche scundide 'n dal curpèt, 

söi caèi le gh'ia 'n vèl da crösca biànch 

e sa fermàa la zent per strada a vèt.

 Le sgranatrici. Avevano sempre da litigare con il padrone / che curava prima di tutto il suo interesse, / voleva far la colma sui doppi stai, (per superare l’ago che stabiliva la quantità contenuta in essi) / ma loro li misuravano  lo stesso rasi. // Quando passavano, la grata contro il fianco, / i soldi nascosti nel corpetto, / sui capelli avevano un velo di crusca bianco / e si fermava la gente per strada a guardare.

Se gli uomini sono elementi indispensabili della realtà agreste, lo sono anche le loro dimore: la cascina è l’essenza stessa del nostro paesaggio.

A casine

Zo a le pèrse, a sentér e stradeline, 

a pe pèr tèra andaem a le casine.

Vedíem l'or dai paér fin sura i tèc, 

le stale coi fenìi da là da vèc.

……………………… 

Ma le casine i'è bèle destinade, 

pasarà 'l temp e cresarà stì fioi,

i gh'aarà caze bianche e sulegiade 

sensa mide da lègna e sensa poi.

Le finestre serade, i vedre rot,

ga piuarà dentre, cascarà zo i tèc, 

là sura i mür dizabitàt e vot 

ga nasarà tant'èrba... e sarèm vèc.

Alle cascine. Fuori dal paese, attraverso sentieri e stradine / a piedi nudi andavamo alle cascine. // Vedevamo l’oro dei pagliai fin sopra i tetti, / le stalle con i fienili antichissimi. // Ma le cascine sono ormai dismesse / passerà il tempo e cresceranno questi giovani / avranno case bianche e soleggiate / senza cumuli di terra e senza polli. // Le finestre chiuse e i vetri rotti, / pioverà all’interno, cadranno i tetti, / là sopra i muri disabitati e vuoti / nascerà tanta erba… e saremo vecchi.

Impressioni e ricordi costituiscono la parte dominante della produzione poetica di Fausta Donati De Conti. Impressioni e ricordi che sono divenuti il più sincero patrimonio dell'anima: per lei sono i momenti più veri, solo apparentemente i più occasionali, ma certamente i più intimi; essi tracciano quasi un autoritratto, lasciandoci un autentico, tenero testamento spirituale. Nella produzione numerosi e vari sono i ritratti di persone o di gruppi di persone. Vi fanno spicco quelli ‒ pochissimi in realtà ‒  relativi agli affetti familiari, allo zio Federico Pesadori e alla nipotina.

Rachele

Sbuciàt a la matina 'n d'ün giardì,

an fiór da primaera i ga catàt,

culùr dal cel la dèrf i sò ugì,

buchina che zamó la cerca 'l lat.

………………………………..

L'è 'ignida fora da la sò prezù,

la g'à tiràt al bof e l'à pianzìt,

la spèta da la mama 'l prim bucù.

 

E se i sa varda 'n facia 'n fra lur dù, 

adès che 'na s'ciatina gh'è nasìt, 

al mund al par anturne püsé bù.

Rachele. Sbocciato al mattino in un giardino / un fiore di primavera hanno raccolto, / color del cielo lei apre i suoi occhietti, / boccuccia che già cerca il latte. // È uscita dalla sua prigione, / ha emesso un respiro e ha pianto, / aspetta dalla mamma il primo assaggio. //  E se si guardano in volto loro due, / adesso che una bambina è nata, / il mondo sembra intorno migliore.

Interessante il ritratto collettivo degli abitanti di Offanengo, altra patria adottiva di Fausta. Per quanto formalmente simili alla poesia d'occasione essi non nascono dalla contingenza dettata dalla celebrazione di accadimenti particolari, ma solo da moti profondi e sinceri della sua anima. 

Numerose sono anche Le Rime d'occasione che per la loro stessa natura non permettono un discorso critico organico, ma che a ogni modo non tradiscono la sua sensibilità e la profonda poetica. 

 I sbér da Fanénch

I'a ciama sbér e cèrto 'n nom isé

al ve amó dai Tudèsch che gh'era ché.

Dopo cent'an e pasa, gh'è restàt

la scurmagna per quei püsé sfaciàt.

 

I cumincia zamó quant i'è bagai:

gna a scola, gna a l'asilo, i pol dumai.

E a le Medie gh'è certi barabèt,

che ga respùnt andré da maledèt.

 

I monelli di Offanengo. Li chiamano zber e certo un nome così / deriva ancora dai tedeschi che abitavano qui. / Dopo più di cent’anni, è rimasto / il soprannome per quelli più sfacciati. // Cominciano già da quando sono bambini, né a scuola né all’asilo si possono correggere. / E alla scuola media ci sono certi maleducati che rispondono proprio male.

A chiusura di queste pagine credo che segnalare l’importanza del lavoro  di una maestra-poetessa, come Fausta Donati De Conti, abbia dato  nel tempo i suoi frutti, se  una sua alunna, oggi poetessa cremasca conosciuta e amata del territorio,  Federica Longhi Pezzotti,  la ricorda così. 

La mé Maéstra

(Dedicata alla M°. Fausta Donati De Conti)

……………………..

Vurarès ciamala, ma sò mìa su fà...

… e pò da mé... öna fra tante,

la sa ricurdarà?

A la mé dumanda l'è pròpe lé a respunt,

e se apò gh'è pasàt tant acqua sota i punc,

la sà giràda, la mà vardàt ampò

e pò la mà strenzìt fòrt sura  'l sò cor!

La mia maestra. Vorrei chiamarla, ma non so come fare…/ e poi di me… una fra tante, / si ricorderà? / Alla mia domanda è proprio lei a rispondermi, / e anche se è passata tanta acqua sotto ai ponti, si è voltata, mi ha guardato un poco / e poi mi ha stretto forte al suo cuore! 

Graziella Vailati


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commenti


luciana groppelli

17 ottobre 2024 11:15

Molto intrigante la scelta delle poesie presentate, non priva di belle emozioni,ricordi, affinità con la nostra vita. Uno sguardo ad ampio raggio che ci restituisce una poetessa da non dimenticare