3 maggio 2025

Marì Schiavini: poetessa e commediografa dialettale cremasca

Il dialetto cremasco, come tutti i dialetti, è destinato all'estinzione più o meno rapida. Se siamo d'accordo su questo, salvare il dialetto, nel senso di ripristinare l'uso comune, è utopistico. Salvarlo, invece, nel senso storico-filologico, conservarlo cioè come documentazione di un linguaggio del passato e di una cultura degna di attenzione e di rispetto, è opera non solo possibile, ma anzi auspicabile. Scavare in questo terreno è effettuare un'analisi antropologica e sociologica propria. Non si tratta quindi di indurre a magnificare in questo modo il buon tempo antico, per i presenti e per i posteri, il volto di ciò che il tempo inesorabilmente muta e travolge. Angelo Monteverdi filologo italiano (Cremona 1886 - Lido di Lavinio 1967).

INTRODUZIONE

Marì Schiavini è ricordata dai cremaschi come poetessa, scrittrice e protagonista della vita culturale del territorio: amata e conosciuta soprattutto per la sua poesia in dialetto cremasco, ma anche come autrice di testi teatrali, alcuni dei quali messi in scena dalla Compagnia del Santuario e da quella dei “Giovani per il teatro” di Moscazzano. Infatti Marì Schiavini è autrice di teatro in vernacolo e ha anche al suo attivo una produzione in lingua nazionale, confluita in due edizioni fuori commercio: Poesia d’amore (2014) e Poesie sotto ai portici (2017), silloge quest’ultima, che riprende i testi proposti dalla Schiavini per Poesia a strappo, l’appuntamento annuale di settembre sotto i portici di Piazza Duomo a Crema, al quale è sempre stata presente con le sue poesie. 

Attraverso le sue opere, descrive Crema, esprimendo il suo amore per il territorio, la sua gente e la sua cultura: firma centinaia di poesie che sono pubblicate in raccolte ormai introvabili, mentre nel suo archivio si trovano moltissime composizioni tuttora inedite.

BIOGRAFIA

Maria Merico Schiavini nasce a Caravaggio il 6 giugno 1921, terza dei quattro figli di Angelo e Giovannina Aresi. Trascorre un’infanzia serena che lascia in lei il profondo ricordo della casa rurale e del padre: quest’ultimo legato alla voce narrante di sfavillanti pastòce (favole), raccontate prima di dormire e di libri letti ad alta voce ai piccoli incantati.

Adolescente affronta anche i disagi del quotidiano andirivieni in bicicletta da Treviglio, dove frequenta l’Istituto Magistrale, studiando letteratura italiana e lingua francese. Completa gli studi all’Istituto Magistrale di Crema. 

La guerra le lascia segni indelebili. Nel dopoguerra insegna nelle scuole elementari e inizia ad appassionarsi al teatro e alla radio. Verso la metà del secolo conosce Giuseppe Schiavini, che sposa nel settembre 1951. Si trasferisce a Crema e adotta il nome di Marì che in molti volgeranno erroneamente in Mary. 

Nei decenni successivi si dedicherà intensamente all’ideazione e realizzazione come autrice, regista, conduttrice e interprete di recital, commedie e trasmissioni radiofoniche aggregando attorno a sé un buon gruppo di attori, molti dei quali da lei “scoperti” e formati alla recitazione.

 Nel 1971 è tra i soci fondatori del Convivio letterario cremasco. L’amore per Crema sarà in lei sempre molto sentito e ciò traspare anche nella sua scelta di identificarsi con le radici locali scrivendo nel dialetto della città in cui aveva scelto di vivere. Ci lascia il 16 febbraio 2019. 

BIBLIOGRAFIA

Stagiù (da l’an e da la éta), Castelleone, G&G, Industrie Grafiche Sorelle Rossi, 2011.

Poesie d’amore, Castelleone, G&G, 2014. 

Poesie sotto ai portici 1995-2016, Castelleone, G&G, 2017, (con testi parte in dialetto parte in italiano). 

L’Armér. Commedia brillante in dialetto cremasco, 1978. 

‘L malat da la mutua. Commedia brillante in dialetto cremasco, 1979. 

Cuntrada cremasca. Commedia brillante in dialetto cremasco, 1980. 

Sant e antiquare. Commedia brillante in dialetto cremasco, 1981. 

Bar Fiori. Commedia brillante in dialetto cremasco, 1982.

Dal prensépe… al vangele secundo… me, Crema, Tipografia Sergio Trezzi, 1985. 

 Come per gli altri poeti dialettali cremaschi, in questo articolo si presenterà solo la produzione poetica-dialettale della poetessa, annotando comunque altre attività da lei realizzate.

Il teatro 

In Italia, il teatro dialettale ha una lunga storia, le cui radici affondano nel teatro popolare: il lessico nel territorio cremasco, pur poco esteso, ha molteplici espressioni e una notevole diversità linguistica. Uno dei tanti meriti di Marì Schiavini è stato di non considerare l’utilizzo del vernacolo solo una forma di intrattenimento, ma anche un mezzo per preservare un linguaggio parlato da secoli e valorizzarlo come patrimonio culturale. 

Con la sua produzione il dialetto cremasco è stato rivalutato nel teatro dialettale e continua a essere, anche nel XXI secolo, una parte importante dell'identità locale. 

Marì ha creato opere che riflettono la vita quotidiana e le tradizioni popolari del suo tempo, rendendo il teatro dialettale accessibile e apprezzato dal pubblico, anche ai nostri giorni. Certo può sembrare anacronistico, solo se visto come un'attività per gli anziani; sarebbe necessario coinvolgere i giovani utilizzando modalità per renderlo rilevante e attraente per le nuove generazioni. Combattere lo stereotipo che il dialetto sia solo per la terza età è possibile con un po' di creatività e di adattamento ai mezzi comunicativi dell’epoca in cui viviamo.

Lo stimolo per Marì Schiavini della composizione e pubblicazione di commedie in dialetto cremasco nasce dalla volontà di colmare il vuoto nella produzione teatrale dialettale cremasca del tempo. L’inesauribile fantasia e creatività, accompagnate dalla consapevolezza dei mezzi tecnici già acquisiti, la convincono delle sue produzioni, tanto che sarà lei stessa a curarne l’edizione, a differenza di quanto accadrà per le sue poesie.

Esordisce nel 1962 tenendo presso il Centro Culturale S. Agostino, un corso di dizione e recitazione, dal quale sfocia la prima esperienza (aprile 1963). Sul palco del salone Pietro da Cemmo viene rappresentata La Passione: rievocazione della tragedia di Cristo nella letteratura attraverso i secoli.

L’iniziativa ha grande successo, grazie anche alla capacità di Marì di coinvolgere persone, istituzioni, giovani e meno giovani talenti, estraendoli da ogni ceto sociale e a prescindere dal loro percorso scolastico e formativo. L’evento viene condiviso e applaudito da tante personalità del tempo e ne sono testimonianza gli approcci al palcoscenico di due compagnie cremasche, che metteranno in scena due sue commedie:

- 'L malat da la mutua dal gruppo “Giovani per il teatro” di Moscazzano nel 1980 e dagli stessi riproposta a Crema all’ Auditorium Cavalli - nell’ambito della 1a Rassegna teatrale gruppi locali “Teatro Crema”. 

- Sant e antiquare, con cui esordì la Compagnia del Santuario di Checco Edallo nell’Auditorium Cavalli nell’aprile 1982. Tutte le commedie furono poi trasmesse in radio con allestimento e regia della stessa Marì.

La Schiavini si interessa anche alle rappresentazioni teatrali effettuate da un gruppo di attori che fanno capo a Giuseppe Maccarinelli; aderisce al Club Amatori del Teatro, ma la sua dimensione preferita è quella del recital e della poesia in lingua italiana. 

Dal prensépe… al vangele secundo… me 

 È una versione in dialetto di alcuni brani della Bibbia che viene da lei stessa pubblicata nel 1985: anche in questo caso (come per le commedie) per la consapevolezza dell’originalità della sua creazione. Spesso la poetessa esprime atti di fede professati da personaggi biblici: e quale più poetico di quello di Maria nell’episodio dell'Annunciazione?  

L’Angel a la Madona

E la Madona... benedèta fiola:

«La sèrva dal Signur la sbasa j'occ.

So ché... so ché... sö la parola». 

L'è stat an cal mument

che da le stèle

cumpagn da 'n bof gentil a primaera 

al Spéret dal Signur

l'è egnit an tèra.

L’angelo alla Madonna- E la Madonna… benedetta ragazza; / “La serva del Signore abbassa gli occhi. / Sono qui… Son qui … sulla parola”. / È stato in quel momento/ che dalle stelle/ come un respiro gentile a primavera/ lo Spirito del Signore è venuto in terra.

L'adultera

Argü i dizìa: la lege l'è ciara cumè 'l sul;

se 'na dona la fa bèch al sò òm

l'è da cupà a sasade...

e così sia.

Ma Lü... nient,

an da la sabia

col dit al fàa 'n disègn.

Po... vest ch'i la slungàa

'l g'a valsat al co:

"Chi da vualtre

‘l g'a mai pecat

al sìes al prim!

Lé gh'è 'n möc da sas!"

Ma quèi data 'n ugiada

(i gh'ia töi quant 

strasèt per la bügada) 

vü a la olta

sensa dà 'n da l'òcc 

i sa l'a data a gambe

pore loch!

'L Signur 

che l'era a tèsta basa,

al valsa 'l co

e a le:

"Gh'et vest... j'è sparìt!

Ta set perdunada anche da me

ma atenta a la slisada!" 

Quand an famea

'l fioca da nu dì

e 'nvece da la fiama

gh'è candelòt da giàs

an dal camì

pensé a le spine dal mund,

ga n'è 'mpertöt,

finìt l'invèrne 

le turnarà a fiurì.

Cerchiv... scambiés an fior

perchè 'nda 'na carèssa

truarì la pas dal nòst Signor!

L’adultera- Qualcuno diceva: la legge è chiara come il sole: / se una donna tradisce suo marito/ è da uccidere a sassate... / ma lui... niente, / nella sabbia col dito faceva un disegno. / Poi visto che non la smettevano/ ha alzato la testa: / "Chi di voi/ non ha mai peccato/ sia il primo! / Lì c'è un mucchio di sassi!"/ Ma quelli data un'occhiata/ (avevano tutti quanti/ stracci per farne un bucato) / uno per volta/senza dare nell'occhio/ se la sono data a gambe/ poveri allocchi! / Il Signore/ che era a testa bassa/ alza il capo/ e a lei: / "Hai visto sono spariti! / Sei perdonata anche da me/ ma stai attenta agli scivoloni!"// Quando in famiglia/ nevica molto/ e invece della fiamma/ ci sono stalattiti di ghiaccio/ nel camino/ pensate alle spine del mondo, / ce ne sono ovunque, / finito l'inverno/ torneranno a fiorire. / Cercatevi... scambiatevi un fiore/ perché in una carezza/ troverete la pace del nostro Signore.

Nel prossimo componimento il quadro: L’ultima notte di Cristo, si fonde con la natura che lo circonda. Il buio di una notte senza luna, sotto le chiome degli ulivi che già trasudano il sangue che verrà versato e la insensibilità degli uomini che dormono. Il colloquio col Padre, rivela tutta l’umanità di un condannato che non può fare altro che seguire il percorso tracciato per salvare l’uomo. 

O forse ciò che più lo atterrisce è che l’uomo per il quale lui sta dando la sua vita, guidi il drappello dei soldati? I versi brevi accelerano l’evento che sta per succedere. 

La passiù

Negre da lüna

sö 'l cioz da l'ulìa

sangh che 'l trasüda

e lur ch'i durmìa.

'L cor che 'l s'ciupàa: 

«Pupà... l'è pusibèl...?

 

Nò... làssem andà

'nvèrs al destino

scriit da da là!»

Lagrime amare 

a laà le miserie

le culpe dal mund 

la fam e le guère. 

« Sé... làssem andà

se quèsto l'è 'l prese 

la pas per j'òm

'l me sangh sacrefese!»

Sa dèrv an cancèl.

'Nda 'l negre da lüna

da sota le piante 

di löm e di òm... 

e Giüda daante!

 La passione- Nero di luna/ sulla chioma dell’ulivo/ sangue che trasuda/ e loro che dormivano. / Il cuore che scoppiava: / “Padre… come è possibile…? // No lasciami andare/ verso il destino/ scritto nell’aldilà! ”. / Lacrime amare/ a lavare le miserie/ le colpe del mondo/ la fame e le guerre . // “ Sì… lasciami andare/ se questo è il prezzo/ [della] pace per gli uomini/ il mio sangue sacrifico!”. / Si apre un cancello. // Nel nero di luna/ da sotto le piante/ luci e uomini… / e Giuda davanti!

L’ideazione e la conduzione di trasmissioni radiofoniche sono un’altra indovinata scelta di Marì Schiavini  nella stagione della grande fioritura delle emittenti private, per la prima volta consentite dalla legge italiana. Ella non perde l’occasione per diffondere anche con questo nuovo mezzo di comunicazione, la cultura nei contenuti e nelle forme che le stanno a cuore. 

 Collabora per la realizzazione del suo progetto con Radio Video CR 93, di proprietà dell’ingegner Gino Villa. 

L’attività è destinata a durare sette anni, dal 1987 al 1993, anno in cui l’emittente viene chiusa. Le trasmissioni sono a cadenza mensile, prevalentemente dedicate alla presentazione monografica di autori dialettali cremaschi. Non mancano anche puntate in lingua italiana, soprattutto in occasione del Natale e della Pasqua, quando i testi sono scelti tra autori di livello nazionale o di fama mondiale, antichi e moderni, che Marì reperisce con ricerche in biblioteca.  

Tra il 1978 e il 1982 sono trasmesse tutte le sue commedie in dialetto, con allestimento radiofonico curato da lei e dalla sua squadra. Ama nella sua vita, ricordare l’esperienza come un’attività libera in cui non aveva mai dovuto subire alcuna pressione e/o censura.

Molto addolorata per la chiusura dell’emittente, Marì scrive una poesia dal titolo: Parla 'l microfono da Radio Video Cr 93 (pubblicata nel citato opuscolo “Stagiù”, pp. 34-35) considerando chiusa l’esperienza radiofonica che pure ritiene appassionante.

Parla ’l microfono di Radio Video Crema ‘93

Al microfono al tazarà da Radio Video 

Basta… stasera sa sara… l’e finìda ché.

Sa ot fa Marì… ma tréma ’n po ’l memeo,

Da tropi ann urmai sa urìem be!

“Amici in ascolto: buonasera!”  

Te ta partìet col dì bèla lügüda 

e da da là i ta sentìa sincera 

‘na trasmisiù col fiòch… fat sö mizüra

           …

 E le cumedie… eh… che tocasana!

coi tò atùr an gamba an verità.

Bèle serade dulse e che ridide! 

E da la foga ma sa rumpie ogni tant

però, salvo dizèm, a ’na quai tusìde 

g’o sempre fat al me duér… töt quant.

Ciao Mariii… Sa ‘ncuntrarèm amò?

No pianze mia… iè gose da südùr!

Paserà ’l temp ma… ‘l so da cèrt zamò

che resteró ‘ndal cor di ascultadùr!

                   30 dicembre 1983

 

Il microfono tacerà di radio video/ Basta stasera si chiude qui. / Che cosa vuoi fare Marì? mi trema un po’ il gozzo, / da troppi anni ormai ci volevamo bene! // Amici in ascolto: buonasera! Tu partivi col parlare ben sciolto/ e dall’altra parte ti sentivano sincera/ una trasmissione col fiocco… fatto su misura. // E le commedie che toccasana! / coi tuoi attori in gamba in verità. / Belle serate dolci e che risate! / E per l’entusiasmo io mi interrompevo ogni tanto/ però, tranne diciamo, qualche colpo di tosse/ ho sempre fatto il mio dovere fino in fondo. // Ciao Mariii… ci incontreremo ancora? / No non piango… sono gocce di sudore! // Passerà il tempo ma… lo so per certo già da ora / che resterò nel cuore degli ascoltatori.

Poesie 

 I primi lavori come autrice di poesie in italiano e in dialetto cremasco risalgono alla metà degli anni ’70 e alla fine del decennio divengono prevalenti le composizioni in dialetto, molte delle quali pubblicate sul settimanale locale: Il Nuovo Torrazzo e/o in diverse antologie.

In questo periodo iniziale, Marì firma le sue poesie con uno pseudonimo: M. Seriola. Non partecipa a concorsi di poesia allora numerosi, con l’unica eccezione di un’edizione del premio Pallavicina a Izano, al quale invia una dolcissima composizione dedicata al Cardinal Cè: Nedàl a Venessia.

Marì si assume anche il compito di far conoscere il vernacolo, realizzando in Crema e in molti paesi del circondario e in Radio, le rassegne poetiche antologiche e monografiche di cui era realizzatrice, organizzatrice, talent-scout e regista. Con questa infaticabile attività valorizza alcuni grandi (da Federico Pesadori a Rosetta Marinelli Ragazzi, da Giacomo Stabilini al m° Giuseppe Meazza), scopre e incoraggia nuovi talenti come il m° Antonio Sbarsi, Annibale Carniti, Clelia Letterini, Luisa Agostino, Francesco Mauri, Augusto Tacca, Fausta Donati De Conti, Tina Sartorio Bassani, Ottomano Miglioli e tanti altri

Lo scopo di questo impegno di Marì, è quello di accrescere la conoscenza del valore culturale del dialetto cremasco come mezzo di comunicazione non solo di fatti concreti della quotidianità, come spesso è stato usato nel passato anche dai poeti dialettali locali, ma come veicolo di sentimenti ed emozioni liriche, prodotto in uno specifico contesto socio-economico.

Organizza gli incontri nelle biblioteche comunali, in serate o pomeriggi in cui si leggono alcune composizioni, introdotte e accompagnate dalla sua presentazione, condotta con toni leggeri e spigliati come è nel suo stile, ma dai contenuti “seri”: sulla natura del dialetto, sulla storia della letteratura dialettale cremasca, sul suo collegamento con il territorio, l’ambiente, le tradizioni. 

Di questi incontri Marì ricorda spesso la cordiale accoglienza e il festoso arrivederci, il tutto alimentato dall’amore per il territorio cremasco e le sue risorse culturali. 

Ha sempre tenuto impresso nella memoria, anche altre partecipazioni: le iniziative del Comitato pro Marzale; quelle del recupero di Borgo San Pietro, con il mitico recital all’aperto, nel Borgo stesso, in un tardo pomeriggio freddo e nebbioso, dedicato al poeta Ottomano Miglioli.

Altra attività condotta con impegno da Marì Schiavini riguarda i ragazzi: gli incontri sono realizzati in collaborazione con i rari professori attenti in quegli anni al dialetto; si svolgono presso l’Istituto Magistrale di Crema e in qualche scuola media del circondario. L’intento è di sensibilizzare i ragazzi sul valore di un patrimonio dialettale, che già negli anni ’80 e ’90 sta perdendo la sua peculiarità comunicativa, perché la scolarizzazione ormai ha sostituito nelle nuove generazioni l’italiano al vernacolo come lingua parlata. 

Da Stagiù (da l’an e da la eta) 

Dam an mument

Dam, da la tò éta, an mument sul. 

Sögöta mia a scapà da là e da ché,

ta 'l set che 'l temp al pasa cumè 'n vul 

che prèst l'è sera e sa pol vèss pö ché.

Se ta pódet mia, urmai, nascùnt 

cal sentiment nasìt dentre da te, 

parla, cascarà mia zo 'l munt 

se ta ma dizarét: ta ore bé.

E se i lavre i'è mia bù da pruferì parola 

parlerà i'òc per te, ma fà 'n manéra 

che almeno troe per me, 'na olta sula, 

an da 'n mument di tò, la primaera.

 

Dammi un momento- Dammi, della tua vita, un solo momento. / Non continuare a fuggire di là e di qua, / lo sai che il tempo passa in un volo/ che presto sarà sera e si potrà non essere più qui. // Se non puoi, ormai, nascondere/ quel sentimento nato dentro di te, / parla, non cascherà il mondo/ se mi dirai: ti voglio bene. // E se le labbra, non sanno esprimere parole/ parleranno gli occhi per te/ ma fai in modo/ che io trovi per me, almeno una volta in un attimo dei tuoi, la primavera. 

Il vero poeta sa trarre da noi sentimenti ed emozioni, la parte più sensibile che forse spesso dimentichiamo. La Poesia è un dono: poesia è comunque amore. 

Marì ci regala il nostro stesso cuore destato con immagini pure, delicate, a loro modo collegate al concreto della vita. La composizione esprime la nostalgia per la giovinezza che legittimamente e con gioia può aprirsi all’amore, mentre nella vecchiaia il cuore può battere ancora forte, ma la mente ubbidisce al senso del dovere e sceglie, dolorosamente, la rinuncia.

Schèrs da la lüna

Ma so 'mbriagada da lüna 'na sera

'na sera d'agost che le stèle

le balaa, le giugaa... oh che bèle!

Bizaboghe nel cel, le paria

disegnade dal vestit co la cua.

E söl mar, 'n da 'na strésa d'argent,

an pescadur sö la barca

al cantaa töt cuntent.

Perchè a me an schèrs cuzé bèl?

A vint an gh'è l'amor sö la pèl

ma a setanta, se du òc

i sgarüga 'n da ‘l cor

ta sa dizet da no...

ma ta sa sèntet a mor...

Scherzi della luna- Mi sono ubriacata di luna una sera/ una sera d'agosto / in cui le stelle/ ballavano, giocavano... oh che belle! / Ghirigori nel cielo, sembravano/ disegnate da un vestito con la coda // E sul mare, in una striscia d'argento, / un pescatore sulla barca/ cantava contento. // Perché a me uno scherzo così bello? / A vent'anni c'è l'amore sulla pelle/ ma a settanta, se due occhi/ ti frugano nel cuore/ ti dici di no… / ma ti senti morire.

da Poesie d'amore 

La produzione di poesie d'amore coniugale di Marì Schiavini, è una caratteristica sorprendente nel panorama dialettale cremasco e certo del tutto peculiare nella nostra letteratura.

Fii d'argent

Quand ta mètet al co fra le do mà, 

an gèsto che urmai ta fet da spès, 

me dize nient ma rèste lé a vardà

i fii d'argent mai vest cumpagn de adès.

 

Se ta saèset quanta tenerèsa

che cumusiù ma ciapa 'n funt al cor! 

Vurarèse slungat 'na quai carèsa

e dit che chèi fii bianch per me i'è dor.

G'o amò 'n ment quand girundént 

andàem an biciclèta a 'na cezina: 

ricòrde cumè fös an sto mument 

che pròpe là da chèla Madunina

ta m'et tegnìt la mà sura 'l tò cor.

La lüs da 'na candela apena... apena... 

la tò us... e ma parìa da mor:

" 'Na grassia sula... deentà vèc ansèma!"

Èco, ga sèm. Da an a n'è pasàt... 

sèm ché töi du, sa órem amò bé 

anche se i dé a i'è 'n po trebülàt.

I tò fii d'argent... i'è tanti cumè i me!

Fili d’argento- Quando metti la testa fra le mani, / un gesto che ormai compi spesse volte / io non dico niente ma resto a guardare/ i fili d’argento mai visti come ora. // Se tu sapessi quanta tenerezza/ che commozione sento in fondo al cuore! / Vorrei allungarti qualche carezza/ e dirti che quei fili bianchi per me sono d’oro. // Ho ancora in mente quando gironzolando/ andavamo in bicicletta a una chiesetta: / ricordo come fosse ora/ che proprio là da quella Madonnina// mi hai tenuto la mano sul mio cuore. // La luce di una candela appena… appena... / la tua voce e mi sembrava di morire: / “Una grazia soltanto… diventar vecchi insieme!”// Ecco, ci siamo. Di anni ne sono passati… / siamo qui tutti e due, ci vogliamo ancora bene/ anche se i giorni sono un po’ tribolati, / i tuoi fili d’argento… sono tanti come i miei.

Originale, tenero e spiritoso al tempo stesso, è l'atto d'amore che Marì Schiavini dedica a Crema, sua patria d'elezione.

'L Signur 'l g'a creat Crèma

Dezà che 'l gh'ìa est an pustezèl luntà 

pié da sul, an pianüra, töt al verd

pié da sul, an pianüra, töt al verd

'ndoe nas magiostre e funs a vuluntà 

e sa pol fà 'l pipèto con i vers

'ndoe a primaera gh'è i luartìs 

e a setembre i fà la bèrtulina

e i 'mpasta d'i turtèi con sö i barbìs 

e adré a Sère gh'è 'n arièta fina

'ndoe gh'è le s'ciate coi brasòtt bèi tund,

an ugiada soa da lur... e 'l cor al trèma, 

al g'a sarat j'occ

e 'l l'a ciamada... CRÈMA!!!

Dio ha creato Crema- Già che aveva visto un bel posticino lontano/ pieno di sole, in pianura, tutto verde/ dove nascono le fragole e funghi a volontà e si può fare uno sformato di verze// dove in primavera si trovano gli asparagi selvatici/ e a settembre si fa il dolce con l’uva americana/ e si impastano i tortelli con i baffi // e lungo il Serio c’è un’arietta salubre// dove ci sono ragazze dalle braccia sode, / che a un’occhiata delle loro… il cuore trema, / ha chiuso gli occhi e l’ha chiamata… CREMA!!! 

Una preziosa testimonianza poetica scritta dalla poetessa nel 1994 è un omaggio al recupero di un gioiello della civiltà contadina: Il Mulino di sopra. Un tempo l’energia dei corsi d’acqua veniva sfruttata anche per far girare le pale dei mulini e il mugnaio macinava il grano portato dai contadini; ora il mulino è meta di visitatori che lo vivono come un incontro con un vecchio amico. 

Mulino di sopra

Madignà, vèc mülì, da sùra 

tùrna lʼaqua a cantà sóta la róda 

le pale le sberlüs zamò a bunùra

 e ʼl sul al lèca le sò góse e pò i andóra.

Ghʼè mia pö le ùs di caretér 

chʼi tóca sö i caài per fai partì, 

gìra la róda ma sensa mülinér 

vé pö gnà ʼn ubligàt col melgutì

per rimedià an quai cupèl da farìna giàlda

 per fàga la pulénta ai sò sʼciatì. 

           …

Le ùs adès i è da tanta zént 

che vé a truàl cume 

sa fa co i amìs dal cór. […]

 

Mulino di sopra. Madignano, vecchio mulino, di sopra torna/ l’acqua a cantare sotto la ruota/ le pale luccicano già di buon mattino/ e il sole lecca le sue gocce e poi le indora. // Non ci sono più le voci dei carrettieri/ che pungolano i cavalli per farli partire, / gira la ruota ma senza il mugnaio/ non viene nemmeno più un operaio agricolo col granoturco/ per racimolare piccole quantità di farina gialla/ per fare la polenta ai suoi bambini. // Le voci oggi sono di tanta gente/ che viene a trovarlo come si fa con gli amici del cuore.

Ma anche altri luoghi del territorio cremasco lasciano una traccia nella fantasia di Marì: un piccolo centro abitato, ma caratterizzato da eventi naturali remoti (le Còste da Cef) che l’hanno reso unico nel territorio, le appare in una mattina di sole, seducente per chi vive la sua quotidianità in pianura. Il Palo, riferimento a ritrovamenti medioevali mai chiariti; il nome di una via che ridimensiona ancor di più il perimetro dell’area abitata di un tempo con un riferimento antico se pur ancora presente, dato forse dai primi abitanti del luogo: “Via pus a le ca”.  

A Cef an primaéra 

Spantegade cumè tante pegurine

 le cà da Céf e pò le sò cassine 

vona adré a l’altra lassat al pruincial 

le cumincia pròpe lé andoe gh’è ‘l Pal.

 

A vu che vé da fora la matina, 

al sul, i fior, la strada serpentina, 

j’usèi che canta sura le alberèle,

 le Còste che le par di muntagnèle,
ga par d’iga truàt an altre mund! 

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Adès… la strada la fines là ‘n fund

 e sa presenta ‘na piassa bèla nèta,

 la Cesa… po ‘na qualche butighèta,
an munument ai fioi ch’è mort an guèra, 

an giardinèt per chi gh’è sota tèra. 

 

Gh’è amò ‘na strada da chi temp luntà 

che la sa ciama: “Via… Pus a le cà”.


 A Chieve in primavera- Disperse come tante pecorelle, / le case di Chieve e anche le sue cascine/ una dietro l’altra/ lasciata la strada provinciale, / cominciano proprio là dove c’è il Palo. // Per chi viene dall’esterno la mattina, il sole, i fiori, la strada serpeggiante, / gli uccelli che cantano sopra i bassi pioppi, / le Coste che sembrano delle piccole montagne, / sembra di trovarsi in un altro mondo. // Adesso… la strada finisce là in fondo/ e appare una piazza bella pulita/ la Chiesa… anche qualche piccola bottega/ un monumento ai ragazzi che son morti in guerra, / un giardinetto per chi è sotto terra. / C’è ancora una strada dei tempi lontani con la scritta:” / via... Dietro le case”.

Anche il dolore fa parte della nostra vita e accompagna i giorni del nostro cammino: il dialetto cremasco ha trovato la sua definizione per la perdita di un genitore urfanèl, di un marito èdua, di una moglie èdof. Per la perdita di un figlio non è mai stato trovato un vocabolo adatto, tranne evidenziare che ci resta solo la quintessenza del dolore, che la poetessa ben conosce perché la trae dalla tragica esperienza vissuta in famiglia.

Madre dulurusa

"Capelano... perchè pròpe me fiol? 

Al gh'ia vint'an

quand l'era 'ndat an guèra 

e adès... a vintiquatre... 

Ma sa pol? 

An résol da caèi

an purtafòi,

quatre indirìs,

la me futugrafia...

L'è töt quèst ché

che ma purtif da Lü? 

Me muraró

gh'if mia pensat

gh'if mia?"

E 'na sera...

'na sera urmai luntana, 

l'è 'ndata 'ncuntra a Lü. 

L'era me mama.

 

 Madre dolorosa- Cappellano… perché proprio mio figlio? / Aveva vent’anni/ quando era partito per la guerra/ e adesso… a ventiquattro… / Ma è possibile? // Un ricciolo di capelli, // un portafoglio, / quattro indirizzi, / la mia fotografia. // È tutto ciò che/ mi portate di lui? / Io morirò/ non avete pensato, / non lo avete? // E una sera/ una sera ormai lontana/ è andata incontro a Lui. // Era mia mamma.

 Conclusione

Se gli italiani hanno dovuto attendere fino al 1840 per raggiungere il capolavoro della loro lingua nazionale, è altrettanto vero che i secoli hanno da sempre consacrato una lingua parallela per tutti i giorni della vita. È questo il motivo che ha permesso al dialetto di attraversare le culture e gli idiomi che hanno accompagnato gli avvenimenti storici che si sono succeduti, senza perdere quella originalità che ancora oggi caratterizza la parlata dei dialetti (anche di quello cremasco). 

Dobbiamo essere grati a questa pioniera della poesia dialettale cremasca se oggi possiamo assistere a una riabilitazione della lingua dialettale: non più relegata all’ombra della lingua nazionale. È ormai accertato, anche dalla critica più severa, che parlare dialettale accompagna, con quella spontaneità che scaturisce dai sentimenti più profondi e veri, gli atti quotidiani che battono il ritmo della vita di ognuno. Grazie Marì. 

 

Graziella Vailati


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