Tina Sartorio Bassani, gentile poetessa cremasca
Immagini cariche di lirismo che simili a pennellate impressioniste raggiungono il cuore e vi dimorano, sono la caratteristica della poesia di Tina Sartorio. Così il fruitore avverte un richiamo forte esercitato dalle metafore e dalle similitudini di cui sono ricchi i suoi versi, come quando attinge i ricordi per rivivere emozioni che l’hanno formata e che le permettono di librarsi al di sopra di ogni contingenza. La poetessa ha un approccio dolce, delicato nei toni e nelle immagini a testimonianza di una grande serenità interiore probabilmente generata da un piano di vita realizzato e soddisfacente come emerge dai suoi testi. I temi intimamente legati alla vita familiare vengono esplicitati attraverso l’impiego di versi liberi e di scelte lessicali essenziali e per questo dotate di grande potere evocativo.
Così il Prof. Pasquale Riboli presenta Tina Sartorio Bassani in: Us che vé dal cór, antologia minima di poesie dialettali offanenghesi, Fantigrafica, Cremona, 2024.
BIOGRAFIA
Tina Sartorio Bassani, (Milano 1927 - Crema 1998) trascorre la sua giovinezza in una famiglia adottiva offanenghese. Lei stessa dichiara di aver sempre coltivato la passione dello scrivere fin da piccola, sia in lingua che in vernacolo: da ragazzina la sua passione era comporre scioglilingua in dialetto. Una parte della sua autobiografia è raccontata in un pro-manoscritto del 1993 dal titolo Il treno dei sogni. È questo un racconto della sua esperienza di mondina.
Di questo manoscritto abbiamo avuto da lei una copia dedicata, quando insieme partecipavamo al gruppo poetico: ‘Nturne al Sère.
Così motiva la pubblicazione l’autrice: ”Ora mi piacerebbe che questi ricordi diventassero la favola di tanti altri bambini, affinché quelle fatiche e quegli anni non venissero dimenticati, cancellati dal progresso che vuole tutto meccanizzato e automatizzato. Sarebbe bello che fra tante storie complicate se ne leggesse anche una semplice come la mia e se riuscirò a strappare anche un solo sorriso mi basterà per essere felice”.
Tina inizia la sua esperienza di mondina il 10 maggio 1941: parte per la Lomellina nel carro bestiame del treno. Con lei ci sono tante giovani cremasche pronte a lavorare in risaia: la compagnia delle altre allevia un po’ la paura per ciò che deve affrontare.
Le donne lavorano nella risaia per tutto il giorno: l’accoglienza del padrone fa ben capire che non sarà un lavoro divertente, ma un lavoro che le obbliga a stare con la schiena piegata e le gambe immerse nell’acqua gelida. Imparano ben presto la tecnica del trapianto e restano chinate per ore: la voce delle più anziane che raccontano la loro povertà, i problemi della famiglia, le distrae dalla fatica del lavoro.
Una di loro, la capa, annuncia col fischietto la pausa per il pranzo, costituito da tre mestoli di riso con fagioli e da un pezzo di pane e poi si riprende il lavoro.
I primi giorni del mese di luglio inizia la monda del riso: occorre strappare l’erba gramigna: anche con l’uso del badile per chi non ha abbastanza forza nelle braccia. Si perde spesso l’equilibrio.
Verso la fine della monda le ragazze sono eccitate all’idea di ritornare a casa: dopo i saluti, il viaggio verso Crema dura quasi un giorno. La stazione ferroviaria di Crema risuona dei canti delle ragazze. L’esperienza di Tina si ripete ancora per tutti gli anni successivi fino al 1946.
Nel 1993 l’Autrice ricorda gli anni che l’hanno conosciuta mondina e rende omaggio pubblicando le sue memorie, a tutte le persone che le hanno voluto bene e che l’hanno aiutata nei momenti difficili.
Il matrimonio con Mario Bassani di Ricengo è nel 1949: si trasferisce con lui alla cascina Portici di Ricengo e da lì iniziano vari traslochi, anche nel Lodigiano. Alla fine si stabiliscono definitivamente nella Frazione di San Bernardino di Crema. In quegli anni gli impegni della famiglia prevalgono sulla sua attività di scrittrice. Solo nell’ultima parte della vita, può dedicarsi alla composizione teatrale e poetica, non più solo nei ritagli di tempo, ma promossa dalla creatività personale. Attraverso la poesia Tina esprime l’amore per le persone e per la natura. La sua produzione raccoglie molti riconoscimenti da giurie letterarie di diverse regioni italiane, citate nelle sue raccolte poetiche pubblicate nel pro-manoscritto.
Tina è ricordata anche come pittrice: sulle tele continua il suo rapporto idilliaco con la natura, spesso nelle sue pubblicazioni si ritrovano i suoi disegni.
È autrice di numerose commedie in vernacolo cremasco, i cui titoli son riportati nel paragrafo seguente.
Bibliografia
Commedie in dialetto cremasco: Mondo Padano (settimanale cremonese) il 10 luglio1995 riporta in un lungo articolo, la citazione dell’autrice tratta da Gose da rusada sulla sua produzione di commedie, portate in scena nel cremasco dalla compagnia teatrale: “Le 4 vie”:
”Ho cercato di esprimere le mie sensazioni, a volte ho colto un sentimento sul viso di una persona, oppure ne ho fatto un pretesto per raccontare di una tradizione che si stava perdendo. (…)
1993: An tredes al Totocalcio
1994: Martì e le so done
1995: I sfulac
1996: An nigol da memorie
1997: Al prucès
1998: Tira, mola, mesèda
Poesie
Tranne Schegge di anima nella quale i componimenti sono tutti in lingua italiana, ogni pubblicazione di poesie contiene, in numero variabile, sia poesie in lingua che in dialetto cremasco. I quadretti locali sono riservati per lo più alla sezione in vernacolo.
1985 Dimensioni dell’anima
1985 Stagioni della vita
1986 Poesie: presentazione di G. Bianchessi
1987 Immagini
1988 Schegge di anima: presentazione di G. Bianchessi
1989 Gose da rusada
1990 Con amore
1991 Poesie parole in versi
1985 Parole con le ali è una raccolta di racconti in lingua. A proposito di questa pubblicazione, il Centro Galmozzi di Crema così riporta nel suo archivio:
Disegni Sartorio
1979 - 1998
Pubblicazione di Tina Bassani Sartorio dal titolo Parole con le ali, raccolta di racconti; disegni a china, acquerello, gessetto, matita di Tina Sartorio e di Bergomi Anna Chiara.
Altra citazione di Tina Sartorio Bassani è in: Poeti e prosatori dialettali cremaschi di oggi, Libera Associazione Artigiani, Crema, 1990. Curatore: C. Alberto Sacchi (pp. 65-69).
Molte pubblicazioni delle sue poesie si trovano sulle pagine del Nuovo Torrazzo, il settimanale cremasco, nella rubrica dedicata alla poesia dialettale e anche nel semestrale del Gruppo poetico ’Nturne al Sère, precedentemente citato.
Proponiamo un frammento della recensione sulla produzione in lingua di Tina del Prof. F. Gallo, pubblicata su Insula Fulcheria: Poesia e pratica poetica a Crema: addendum V, Edizione 2024.
Nella sezione in italiano non mancano i temi religiosi (altro topos della tendenza) e gli scorci paesistici, sia di luoghi della vita personale sia di angoli e contrade del nostro territorio. Interessante la varia attenzione al disagio sociale e ai segni della disumanità. crescente nei confronti dei più deboli, dai vecchi ai disabili e altri, nel segno di quell’umanitarismo di cui si diceva.
Le più accattivanti scritture sono forse quelle dove l’autrice si lascia sorprendere da dubbi e interrogativi sulla tenuta della propria visione della vita, che ne suggeriscono improvvisamente sottili ma dolorose fratture.
Premi
Nelle sue pubblicazioni, sono riportate nei sottotitoli quali poesie hanno ricevuto premi e in quali città. Nell’ultima parte del secolo scorso anche nel Cremasco erano indetti annualmente concorsi poetici da varie associazioni. Nell’edizione del Comune di Offanengo: La poesia cremasca del Settembre offanenghese, Rassegna dei concorsi degli anni 80-90, negli anni dal 1977 al 1990, sono elencati premi e segnalazioni ricevuti dalla poetessa. Nel volume sono riportati anche i testi delle poesie. Un’altra pubblicazione li riporta: Antologia minima di poesie dialettali offanenghesi di Federica Longhi Pezzotti pubblicata dal Comune di Offanengo con il Museo della Civiltà Contadina nel 2024.
Come di consueto ci limiteremo in questo articolo alla produzione dialettale di Tina Sartorio Bassani e riporteremo spesso estratti delle poesie, non solo per questioni di spazio, ma anche per motivare i lettori a cercare le composizioni integrali. Pure in codesta relazione rispettiamo la modalità di scrittura del dialetto dell’autore.
I ricordi sono per la poetessa un riferimento al passato: una vita la sua con dolori personali che ci emozionano. Nei versi di questa poesia il ricordo all’improvviso diventa presente e ci appare così diverso e così lontano:
G’o ’ncuminciàt
G’o ’ncuminciàt
da bagàia a scrif
prope quant g’o est
an sumàr tirà ‘n carèt
tròp cargàt da rüt
e ’l so padrù picaga
sö la schena
col bastù.
Che pena g’o it pèr lü
e pèr mia müscüral
g’o fac ‘na pastòcia
scrìida isé a la buna.
So mia maestra
ne g’o studiàt
so apena ‘na muér,
‘na dona da ca.
….
Scrie pèr rilès
da che e quarant’agn
la pastòcia dal sumàr,
la stòria dal me laurà
la stòria vècia da le done
prima da me e ’nsèma a me,
che le s’à cuntentade,
che le g’a urìt be.
Ho incominciato- Ho incominciato/ da bambina a scrivere/ nel momento in cui ho visto/ un asino trainare un carretto// troppo carico di concime/ e il padrone picchiarlo/ sulla schiena/ col bastone. // Che pena ho provato per lui/ e per non dimenticarlo/ ho scritto una favola/ molto semplice. // Non sono una maestra/ né ho studiato/ sono solo una moglie/ una donna di casa. // Scrivo per rileggere/ tra quarant’anni/ la favola dell’asino/ la storia del mio lavoro// la storia vecchia delle donne/ che prima di me e insieme a me, / si sono accontentate di amare.
Tina, ha vissuto la prima parte della sua vita ad Offanengo per poi andare ad abitare a pochi chilometri di distanza, nel vicino Comune di San Bernardino, in quella che oggi è una frazione del comune di Crema. Ricorda ancora il luogo, le fatiche di allora e il desiderio di crescere sotto il cielo del paese che per tutta la vita ha sentito suo.
Alcune parole (i pàer, al bazù) ci hanno obbligato a consultare il vocabolario del prof. Luciano Geroldi per tradurre in lingua il loro significato. È cambiato in meno di un secolo il nostro dialetto: ma di certo non potrà più cambiare in futuro, visto che già nel presente è una lingua usata pochissimo nella quotidianità e quindi incapace di generare nuove espressioni linguistiche.
Fanénch
G’o ‘ncuminciàt da picena
A girà ‘ndi taré
A fa le curse söi sentér
A fa l’èrba pèr i pàer,
a spigulà ’l furmét
melgòt e mèi
a purtàl a ca con la carèta.
…
G’o sentìt al caldì di bazù
Prim da ‘nsulnài
E sentìt la me eta ‘ngrandìs
Cumè ’n ala
… an mès al cel dal me paìs.
Offanengo- Ho incominciato da piccola/ a girare per i campi/ a correre sui sentieri/ a far l’erba per le oche, / a cercare le spighe del frumento/ del granoturco e del miglio/ a portali a casa con la carriola. // Ho sentito il calore della zolla, prima della loro semina/ e sentito la mia vita allargarsi/ come un’ala… in mezzo al cielo del mio paese.
Anche gli oggetti riportano alla mente tanti ricordi: nell’infanzia di quei tempi c’erano pochi giocattoli e quando riappaiono dai posti più impensati, nei quali sono rimasti nascosti per anni, fanno tenerezza. Li guardiamo con gli occhi di allora: li troviamo invecchiati, coi segni del tempo, che come su di noi è trascorso. Eppure hanno avuto un valore fondamentale nella vita di chi sapeva apprezzare ciò che aveva. I versi brevi di Tina tratteggiano davanti al lettore un ritratto sì di povertà, ma di profondo attaccamento a ciò che nella vita le ha dato felicità.
Oggi con gli adulti che hanno bisogno di avere sempre di più, con la smania di tenere il passo con i ritmi frenetici attuali… non possiamo meravigliarci se i bambini osservandoli imparano da loro.
La me poa da pesa
…
La me poa
la ga amò 'n bris
da caèi fac col cutù,
söl facì
sa cunòs pö nigòta...
la istina da organdis
l'è toeta smòrta,
le gambe mòle
per i sò tance ann;
epör lo rimetìda
'n dal casèt
per mia s'müscüras
dal temp...
che gh'èm giùgàt 'nsèma.
La mia bambola di pezza- La mia bambola ha ancora un po'/ di capelli fatti di bambagia, / sul faccino/ non si riconosce più nulla… / il vestitino di cotone trasparente/ è sbiadito// le gambe sgonfie, per gli anni passati; / eppure l’ho rimessa/ nel cassetto/ per non dimenticarmi/ del tempo… / in cui abbiamo giocato insieme.
Se confrontiamo la serenità del testo precedente con la prossima poesia, leggiamo tra le righe la tristezza dell’autrice che già nel secolo scorso, temeva che gli atteggiamenti delle giovani generazioni avrebbero cancellato il significato dei valori dell’esistenza.
Oh bagaia!
Ta ède sö vial da Santa Marea,
ansèma ai bagai da la tò età,
‘na radio la suna a faga la spea
ai tò pensér che i vol mia spetà.
Éde söl tò facì, ’n po da rusèt,
caèi lunch, bèi pié da risulì
quercià zo i òc cumè ’n dispèt
a la tò belèsa che l’è adré a fiurì.
E quand sa zmòrsa la tò frenesia,
la lüs, i sun, e ta set an pèr te,
ta sa séntet straca per la via
cumè ‘na poa nüda zbatida lé.
Oh ragazza- Ti vedo sul viale di Santa Maria, / insieme ai ragazzi della tua età, / una radio suona e fa spia/ dei tuoi pensieri che non vogliono attendere. // Vedo sul tuo faccino un po’ di rossetto, / i capelli lunghi. pieni di riccioli, / coprono i tuoi occhi come un dispetto/ alla tua bellezza che sta per fiorire. // E quando si spegne la tua smania/ la luce, i suoni, e resti da sola, / ti senti stanca sulla strada/ come una bambola nuda buttata via.
I problemi nell’esistenza per Tina si sono presentati già all’inizio della vita, ma leggendo le sue poesie, si possono condividere con lei: la felicità data dal contatto con la natura, dal rapporto con le persone e i luoghi e, dalla valutazione a posteriori di alcuni ricordi. La sofferenza che dovrebbe suscitare la ricerca della propria madre naturale, si stempera nell’immagine di una rondine che cerca il suo volto nella grande città; ma se la richiesta fosse giunta a una colomba, simbolo di pace, il sogno avrebbe potuto avverarsi?
Al me desidere
Vurìe ciamàt Mama
per ampienìm al vot
che mà lassàt al temp
dala prima età,
büsugnusa dale tò mà,
dai tò consigli,
dale tò carèse.
M'arès piasìt
ès 'na rundana,
per pudì vulà
sura i cop dale cà
a circàt an mès a la zent
sò le vie da Milà,
ciamàt, uzà 'l tò nom
per cunoset e parlàt.
Se sentìa le culumbe
al me desidere
le ninàa al me sogn perdìt
con an batet d'ale.
Il mio desiderio- Avrei voluto chiamarti Mamma/ per riempirmi il vuoto/ che mi ha lasciato il tempo/ dell’infanzia, / bisognosa delle tue mani, / dei tuoi consigli, delle tue carezze. // Mi sarebbe piaciuto/ essere una rondine/ e poter volare/ sopra i coppi/ per cercarti in mezzo alla gente/ nelle vie di Milano, / chiamarti, gridare il tuo nome/ per conoscerti e parlarti. // Se avessero sentito le colombe/ il mio desiderio/ avrebbero cullato il mio sogno perduto, / con un battito d’ali.
Eppure in questa infanzia segnata dal grande rimpianto di non conoscere la madre che l’aveva concepita e partorita, Tina ritaglia dei ricordi della famiglia adottiva, in cui i figli sono amati, anzi cresciuti in una povertà condita con l’amore che li rafforza, educata da un esempio materno che insegna loro quali saranno i comportamenti da tenere nel futuro della loro esistenza.
I versi della poetessa sono anche qui brevi, il testo ancora spezzato, quasi che i ricordi si presentino in questo modo, alla mente che li rivive: immagini intense che rievocano la mensa divina in cui si spezza il pane e lo si condivide; si beve il latte in eguale dose come si esige fra pari; ma la figura che pur si ciba delle briciole, predomina nella memoria.
Notre...
Amò sa nütresem
di ricòrde
dala mama:
quant la edièm
a smesà 'l pà
'n tance tüchèlì
e spartì 'l lac
'n dale scüdèle
a töc precis,
cumè 'n rito
e lè... la sa
cuntentàa
dale fregòe
e a sculà
la pignatìna.
Quanta fòrza
gh'era 'n dala sò
puertà...
la gh'ia fac tas
la fam a notre...
notre siem i böcc
dale sò fadighe
e le sò mà
j'era sempre prùnte
a caresam...
a fam j'òcc dùls
per quetà
le nostre pretese.
Noi. Ancora ci nutriamo/ dei ricordi/ della mamma/ quando la vedevamo/ spezzare il pane/ in tanti piccoli pezzi/ e versare il latte/ nelle scodelle/ uguale per tutti, / come una cerimonia/ e lei… / si accontentava/ delle briciole/ e di ripulire il pentolino. // Quanta forza/ c’era nella sua povertà… // aveva fatto tacere la fame a noi… / noi eravamo i germogli/ delle sue fatiche/ e le sue mani erano sempre pronte ad accarezzarci/ a farci gli occhi dolci/ per acquietare le nostre pretese.
Quant
Quant sie gioena
Stae tant an per me
Sa pugiae ala finestra
Dal me sulér
E per qualche ura
Rimirae la luntanansa
I me ’n ca
I bruntulàa
Forse i credìa
Che gh’ie argót da scunt,
‘nvece sie la fiola
püsé cuntenta dal mund.
Sentie i culp d’ala,
le us di paserì, tenerina,
an bruchèl sèch crudà
‘na rana ‘ndal fòs cantà.
E fae cito per sent
püsé tarde la eta durmì.
Vedie ’l cel nigre,
‘na qualche stèla brilà,
vedie al de finìt,
la sera cuciàda
i camì smursas.
La nòc alsàs…
Quando- Quando ero giovane/ restavo tanto tempo da sola/ mi appoggiavo alla finestra/ della mia camera/ e per qualche ora/ rimiravo, il mondo lontano. // I parenti in casa/ brontolavano/ forse credevano/ che avessi qualcosa da nascondere/ invece ero la ragazza/ più felice del mondo. // Ascoltavo il battito delle ali/ la voce dei passerotti, tenera, / un rametto secco cadeva/ una rana nel fosso gracidava. // E stavo in silenzio per sentire/ più tardi/ la vita dormire. // Vedevo il cielo buio, / qualche stella brillare, / vedevo il giorno finito, / la sera accucciata/ i camini spegnersi. // La notte alzarsi…
In questa figura di madre che attende l’imbrunire, quando tutto incomincia a tacere e le luci si spengono: l’ombra che qui fa da personaggio quasi impercettibile, accentua suggestivamente il silenzio. Ora che lei è madre, sente solo i battiti del cuore pervaso da sentimenti affettuosi per i suoi figli.
L’ültima umbra
La speti ’n vèrs sera
Quant la me ca
La sa ‘ndurmenta
E ’l fosch al toca
Con ma ligera
I ricord di me fioi…
L’umbra silensiusa
La sculta ’nsema mé
E danac a i me òc
‘na fetina da lüna
La sent i me penser.
Al fosch al svanes
i ültem fii da lüs
per ninas ’ndala nòt
con i me ricord.
L’ultima ombra- L’attendo verso sera/ Quando la mia casa/ Si addormenta/ E il buio tocca/ Con mano leggera/ I ricordi dei miei figli… // L’ombra silenziosa/ Ascolta con me/ E davanti ai miei occhi/ Una piccola parte di luna/ Sente i miei pensieri. // Il buio sfuma/ gli ultimi fili di luce/ per cullarsi nella notte/ con i miei ricordi.
Trascriviamo la motivazione del III° premio assegnato alla Poetessa nel concorso poetico del 1990 di Offanengo.
Nei toni appianati e sereni del componimento poetico che si segnala per la sincerità dei sentimenti la complicità dei gesti, l’innocenza delle parole e la primitività delle sensazioni espresse, l’autrice grazie all’essenzialità e alla genuinità di lessico e sintassi sa aderire con disinvolta naturalezza all’animo popolare.
Al nono
Al circae
Quand al staa an lèc
Per tance de
An d’an sulér
Che ga durmiem
An set.
----
Al ciamae:” Nono, nono”
Ogne mument per faga
Cumpagnea, per fal parlà,
e lü con la ma
al ma circaa söl lèc.
Ga cüntae da le galine
Che le faa pö i of.
Ga cüntae dala ciòsa,
che la ma saltaa adòs.
Ga cüntàe di pàer
Che i ma vignia adré
Töc i pas che fae
Lü töt cuntént
Al ghignaa ‘nsèma a mé.
…
Gh’è restàt al vot
An dal me sulér
Ma la so us ga l’ó sempre
déte an dal mé cor.
Il nonno- Lo cercavo/ quando stava a letto/ per tanti giorni/ su in solaio/ dove dormivamo/ in sette. // Lo chiamavo: “ Nonno, nonno” / ogni tanto per fargli compagnia, per farlo parlare/ e lui con la mano/ mi cercava sul letto/ per accarezzarmi… // Gli raccontavo delle galline/ che non facevano più le uova. / Gli raccontavo della chioccia/ che mi saltava addosso. / Gli raccontavo delle oche che seguivano/ tutti i passi che facevo. / Lui, tutto contento/ rideva con me. // C’è restato il vuoto/ nel mio solaio, / ma la sua voce l’ho sempre/ nel cuore.
Non tutte le poesie di Tina sono riferite ai sentimenti e ai ricordi della sua esistenza: altre presentano quei temi occasionali, citati in precedenza dal prof. F. Gallo: ritratti di coloro, che per scelte proprie o per scelta della dea sfortuna vivevano (e vivono) per le strade. Forse allora un po’ meno violente di oggi.
In questa lunga poesia, di cui riportiamo per inquadrare il personaggio, solo alcune strofe, l’autrice presta la sua voce all’ubriaco di turno. L’uomo non trovando più la strada di casa, chiede aiuto agli amici, o meglio al monumento posto nella piazza del paese in memoria dei Caduti, perché gli concedano un riparo per la notte. Al risveglio, quando le campane suoneranno per il nuovo giorno, pregherà per scusarsi…
Sie cioch ‘mbriach
L’era mea la culpa
se ‘na nòt gh’ie perdìt
la tramuntana…
sie cioch ‘mbriach
e ’l fosch
al m’ia querciat
la memoria.
…
Dizie:” Oh Signùr ütém.
Ta prumète che ègne
sempre ’n ceza
e bestemmie pö.”
…
Caregnae cumè ‘n pupì
e parlae ’n per me:
…
“Pèpo, Piero, Üstì,
Tone, Giacom, Bigì,
so che ‘nsèma otre…
cióch e ‘nvés’c…
al sücèt quand gioghe
ala mora e bie tròp…”
Gh’ie dec:
”Fa nigota se sa böte do
ché arent a otre
per ’na nòt a fà pasà
la cióca?
Dopo, dumà, prima da ’ndà…
quand suna le campane…
Pregaró per pudì scüzam…
Ero ubriaco fradicio- Era mia la colpa/ se una notte avevo perso l’orientamento… / Ero ubriaco fradicio /e il buio mi ha offuscato la memoria. / … Dicevo:” Oh Dio aiutami. / Ti prometto che verrò/ sempre in chiesa/ e non bestemmierò più.” // Piangevo come un bambino/ e parlavo tra di me: / ” Pèpo, Piero, Üstì / Tone, Giacom, Bigì, / sono qui con voi, ubriaco e impacciato… succede quando gioco/ alla morra e bevo troppo…” // Avevo detto: “Fa niente se mi butto qui/ vicino a voi per una notte/ a far passare/ la sbornia? / Dopo, domani, prima di andar via/ quando suoneranno le campane/ pregherò per potermi scusare...”
Un altro personaggio che Tina ricorda di aver incontrato per le vie del paese è un mendicante: in questa situazione il vecchio, vestito di stracci e ammalato chiede la carità. Il soccorso gli arriva dalla natura, quando le nuvole gli risparmiano i raggi del sole cocente e da un misero cane che si ferma ad annusarlo, subito strattonato dalla fretta del padrone. Certo di fronte alla sporcizia, alla vecchiaia, alla povertà, si avverte il bisogno di andarsene lontano, per non vedere, per subito dimenticare…
Al puarèt...
L'era cuciat dò 'n tèra
pore vècc,
al so còrp querciàt
da stràs,
con töt al vì
che 'l gh'ia bìit
l'era dientat gialt
al paria n'òm malat
ogni tant al stendia
la ma, per an palancù
e 'n tüchèl da pa
ma nüsù sa ‘ncurzìa da lù.
I nigui i fermàa al sò pas
per quercià dò al sùl
e faga umbra an pore vècc
che circàa la carità.
La vita la gh'ia negat
le prümèse
perchè l'era puarèt,
apena an ca al sia fermàt...
al l'à nasàt...
al ga lecat la ma,
per faga saì
che l'era al sò amis,
ma 'l mènol al tiràa
tanto tant che 'l pore ca
l'era rutulàt 'n tèra...
al so padrù, sensa cumpasiù
al ga slùngat al pas
a girà l'angol
perchè 'l gh'ia frèsa. ...
Il mendicante- Era accucciato a terra/ povero vecchio/ il corpo coperto/ di stracci/ con tutto il vino che si era bevuto/ era diventato giallo/ sembrava un uomo ammalato… // Ogni tanto stendeva/ la mano, per un soldo/ o un tozzo di pane/ ma nessuno si accorgeva di lui. // Le nuvole si fermavano al loro passaggio/ per coprire il sole/ e far ombra a un povero vecchio/ che cercava la carità. // La vita gli aveva negato/ le promesse/ perché era povero, / solo un cane/ si era fermato/ l’aveva annusato… / gli aveva leccato la mano… / per fargli sapere/ che gli era amico, / ma il guinzaglio tirava/ così tanto che il povero cane/ era rotolato per terra/ e il suo padrone/ senza compassione/ ha allungato il passo/ per girare l’angolo/ perché aveva fretta…
Mi permetto un ricordo personale: quando la prima volta ho sentito leggere da Tina la seguente poesia, ho rammentato le parole di mia madre, che raccontandomi della sua adolescenza mi presentava la stessa condizione, usando le stesse parole… eppure il tempo di Tina era quello di una bambina di vent’anni dopo. Allora, e oggi ancora, mi sento fortunata per aver potuto vivere la mia infanzia in un mondo che aveva imparato a rispettare anche i diritti dei bambini.
Me…
Me… quànt sìe picèna
ghʼìe da crès ʼnsé….
cürà i fradelì,
taià la lègna,
sqüesà i bruchelì,
ʼmpisà ʼl fóch,
la furnèla,
bufà e bufà
sö la lègna vìrda
per vìga la fiamèla
e tucàa tàs… […]
Io- Io … quando ero piccola/ dovevo crescere così… / curare i fratellini, / tagliare la legna, / spezzare i rametti, / accendere il fuoco, / la caldaietta, / soffiare e soffiare/ sulla legna verde/ per accendere la fiammella/ e bisognava tacere…
Questo mesto componimento è il composto addio di Tina Sartorio Bassani a tutto ciò che ha amato nella sua vita. È il momento in cui, per tutti noi, nulla sarà più come prima, siano state gioie che ci hanno allietato, sia dolori che ci hanno sconvolto. È nell’ordine delle cose: anche questo passo va affrontato con dignità. Una lezione di vita da una gentile poetessa cremasca.
L’ è ura
L’è ura da ardà al mund
da salüdà le belèse
fiuride sö la tèra.
Le rundane,
i paserì e j’usignoi.
Salüdà ’l cel,
al sul e la lüna.
Salüdà ’l temp e l’ura
che suna, che và.
Salüdà la gioia,
la tristèsa, l’amor,
la puertà…
Sent pö la viulensa
che gira ‘ndal mund.
Sent pö nigota
che fa mal.
È ora- È ora di guardare il mondo/ dire addio alle bellezze/ fiorite sulla terra. / Dire addio alle rondini, / ai passeri e agli usignoli. / Dire addio al cielo, / al sole e alla luna. / Dire addio al tempo/ e all’ora che suona, che va. / Dire addio alla gioia, alla tristezza, all’amore, / alla povertà… / Non sentire più la violenza/ che gira nel mondo. / Non sentire più nulla/ che provochi dolore.
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commenti
Vittorio Dornetti
9 giugno 2025 06:47
Articolo molto bello e completo scritto in uno stile elegante e terso