11 giugno 2024

Severina Donati, ritratto di una pittrice

Nella busta che mi era arrivata c’era l’invito alla vernice di una mostra, alla Galleria del Graffito. Era la mostra personale di una pittrice della quale avevo già sentito parlare in famiglia. Però non la conoscevo di persona. Così, sono andato all’inaugurazione. Quando sono entrato, l’ho notata subito. Era una signora giovane, alta e sorridente, sulla trentina o poco più. Mi è venuta incontro in modo molto cordiale, persino affettuoso. Era il 1974, l’anno in cui diventavo maggiorenne. È stato lì, in mezzo ai suoi quadri, cinquant’anni fa, che ho conosciuto Severina Donati.

Severina era nata a Milano il 21 settembre 1940. Suo padre era l’avvocato Giunio Donati (1900-1975) e sua madre era Bruna Monti (1911-1989). La sua famiglia risiedeva a Crema, nello storico palazzo Benzoni, in via Marazzi 7, acquistato nel 1932 dal notaio Francesco Donati (1861-1933), nonno di Severina, da Emilia Martini Giovio della Torre (1854-1953). Il nome Severina le derivava da quello della sua nonna paterna, Severina Chizzoli (1862-1938). Prima di lei, i suoi genitori avevano avuto un figlio maschio, Luigi (1938-1948), che però era venuto a mancare prematuramente.

Severina passa la giovinezza tra Crema e Milano, dove la famiglia mantiene una base stabile. Frequenta a Crema il liceo scientifico, dove si diploma nel 1959 (sezione unica, diciassette diplomati), nell’anno in cui la gestione cessa di essere comunale e il nostro liceo scientifico viene statalizzato. Si laurea poi in Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano. Collabora attivamente con la casa editrice di questa università e con alcune testate studentesche. Consegue l’abilitazione all’insegnamento e la specializzazione in psicologia sociale e pubbliche relazioni. Inizia a mantenere rapporti ed entrature nell’ambiente culturale e artistico milanese, con una rete di conoscenze e relazioni che durerà nel tempo, fino ai suoi ultimi anni. Pur restando profondamente radicata, per tradizioni familiari e storiche, nella realtà cremasca, Severina ha però in questo modo l’opportunità di dotarsi, sin dalla prima giovinezza, di un orizzonte non solo locale ma anche aperto agli influssi culturali di una grande città come Milano, che negli anni Sessanta offre un panorama artistico in continua evoluzione di forme e di contenuti.

Fin dall’adolescenza la sua passione per la pittura è evidente. Frequenta le lezioni private di Carlo Martini (1908-1958), che all’Accademia di Brera è diventato in quegli anni docente e assistente alla cattedra di pittura del direttore Aldo Carpi (1886-1973). Un quadro di Martini la raffigura mentre dipinge al cavalletto. Sarà sempre uno degli oggetti più cari a Severina. Inizia col partecipare ad alcune mostre collettive e a farsi notare positivamente dalla critica. Viaggia molto e soggiorna, dipingendo, in varie località italiane. Intanto inizia ad appassionarsi ai temi storici, soprattutto a quelli di storia locale cremasca. Diventa una frequentatrice abituale di archivi e biblioteche e comincia a compilare note, schede, appunti che poi archivia accuratamente. Verso la fine degli anni Sessanta espone in diverse mostre collettive e in due mostre personali. Si perfeziona soprattutto nelle tecniche pittoriche tradizionali (olio, tempera, acquerello) ma sperimenta anche opere di design, di grafica e di arte applicata. Colpisce il fatto che, pur non avendo avuto una specifica formazione accademica tradizionale (ad esempio a Brera o alla Carrara, come altri artisti cremaschi), la sua tecnica artistica sia così solida e l’impostazione costruttiva delle sue opere sia sorretta da un così abile impianto disegnativo e da un così valido assortimento cromatico.

Le principali collettive a cui partecipa in questo periodo sono la “Monteverdiana” al Palazzo dell’Arte di Cremona (1967); la Nazionale d’Arte Figurativa al Palazzo dei Musei di Modena (1968); l’Annuale della Permanente di Milano (1968); la Mostra Concorso “Il nostro Po” (1968); la Nazionale “Valbruna” a Gabicce Mare (1968); la Mostra del Piccolo Quadro al Poliedro di Cremona (1969); il Concorso Biennale Nazionale “Costiera d’Argento” a Torre Annunziata (1969); la Nazionale alla Galleria Abba di Brescia (1969). Le due mostre personali sono quella del 1968 al Poliedro di Cremona e, sempre nel 1968, quella alla Galleria d’Arte di Peschiera del Garda. Un importante riconoscimento è allora il premio di design della Montecatini Polymer, che Severina vince superando artisti al tempo più accreditati. È il tipico concorso “arte-azienda” di design creativo di quell’epoca, per scegliere il miglior disegno artistico per moquette (lo slogan era “metti un quadro sotto i piedi”). La fotografia di Severina che sta iniziando a tracciare con il gessetto su una lavagna il primo abbozzo del suo disegno vincente fa il giro di tutta Italia.

Gli anni Settanta si aprono con un notevole intensificarsi dell’attività artistica di Severina. Dipinge molto e partecipa a numerose mostre collettive e personali. Anche per questo motivo, è un periodo in cui è spesso in viaggio per l’Italia. Tra le collettive, ci sono la Mostra Concorso Nazionale di Desenzano del Garda (1970); la Mostra Pittori Bergamaschi alla Garitta di Bergamo (1970); il Concorso Nazionale di Arona (1970); il Concorso Nazionale dei “Tavolettisti” a Verona (1971); il Premio “Sant’Ambroeus” presso l’omonima Bottega d’Arte a Milano (1971); la Mostra alla Galleria Equipe d’Arte a Pizzighettone (1971); il Concorso di Pittura indetto del Comune di Azzanello (1971); la 1ª Mostra Regionale Lombarda al Palazzo dell’Arte di Cremona (1971); il Premio “Europa 71” presso la Galleria Europa 71 di Roma (1971); il Premio Nazionale Capalbio in questa località grossetana (1971); la Mostra (3ª edizione) “Idee per una collezione” alla Galleria Teleuropa a Roma (1972); la Mostra “Collettiva ‘73” presso la Galleria Il Centro di Pavia (1973). Le sue principali mostre personali di quel periodo si tengono, nel 1971, alla Galleria Sant’Ambroeus di Milano; nel 1972, alla Galleria Soligo in via del Babuino a Roma; nel 1973, alla Galleria Il Caruggio di Bergamo.

Il 21 ottobre del 1973 Severina dona al Museo di Crema un ritratto di Federico Pesadori (1849-1923). È un carboncino da lei realizzato per ricordare questo suo avo materno, notaio e poeta dialettale cremasco. Come ho detto in precedenza, nel 1974 Severina tiene a Crema la sua mostra personale alla Galleria del Graffito, dove la conosco di persona per la prima volta. Ci rivediamo poi in un paio di occasioni e nel dicembre di quell’anno vado a casa sua, nel palazzo Benzoni, che lei cortesemente mi fa visitare. Capisco che è una persona molto gentile e gradevole, dotata di uno stile di relazione speciale, con la quale è un piacere parlare d’arte, di storia, di cultura. Però intuisco che Severina ha anche, sotto quella sua apparenza dolce e cordiale, un carattere forte e determinato, una riservatezza e un modo tutto suo di tracciare tra lei e gli altri un confine, un limite oltre il quale il suo mondo personale e la sua frequentazione restano fuori portata per chiunque non riesca a porsi nel modo giusto, nella maniera corretta nei suoi confronti.

È nata lì, a casa sua, quel pomeriggio, una confidenza, un’amicizia durata poi quasi mezzo secolo. Lei aveva saputo, non so da chi, che negli anni del liceo avevo continuato a prendere lezioni private di pittura (dopo le medie finiva la cosiddetta “educazione artistica” scolastica) e che avevo ancora un cavalletto su cui insistevo a imbrattare delle tele che poi mettevo giù in cantina. Ed era anche venuta a sapere che avevo persino partecipato a delle mostre studentesche di pittura. Negli anni del mio ginnasio, avevo in effetti preso il secondo premio alla studentesca del Sant’Agostino, con un quadro a olio di impianto abbastanza tradizionale. Il primo premio l’aveva preso un ragazzo che era già all’ultimo anno dello scientifico. Si chiamava Alberto Besson. Aveva vinto con un’opera che era stata ritenuta dalla giuria più innovativa e adeguata al clima artistico dei tempi. Ricordo che quel pomeriggio i discorsi con Severina erano poi inarrestabilmente proseguiti parlando di colori e pennelli, discutendo sulle imprimiture della tela, sulle velature a olio, sulle gocciature con l’acquerello e su altre appassionanti (almeno per noi) pratiche di questo genere.

La morte del padre di Severina, nel 1975, aveva interrotto il suo modo di vivere abbastanza spensierato, piuttosto (lo dico con affetto) vagabondo, ricco di viaggi ed esperienze, tutto sommato fortunato e felice. L’avvocato Donati, stimato professionista, già capitano d’Artiglieria da Montagna, personaggio noto e apprezzato in città, era deceduto il 19 settembre di quell’anno e Severina, ormai figlia unica trentacinquenne, doveva occuparsi dei propri affari di famiglia, della madre ultrasessantenne e della pianificazione dei restauri sempre più necessari al palazzo Benzoni-Scotti-Martini-Donati, una delle due o tre magioni nobiliari storiche più belle e importanti di Crema, però bisognosa di interventi conservativi di rilievo ed economicamente gravosi. Ecco perché Severina, pur continuando a dipingere e a partecipare alle mostre e ai premi, pur restando sempre un’assidua frequentatrice di archivi e un’appassionata ricercatrice di storie locali, deve in quei frangenti rallentare in parte la sua movimentata attività artistica e stabilizzare maggiormente la sua esistenza su Crema e, in parte, su Milano.

Nel 1976 Severina partecipa alla Mostra Collettiva che si tiene nella sala Cremonesi al Sant’Agostino di Crema. Era il periodo in cui lei cercava di trovare un dialogo con le istituzioni locali e con l’ambiente artistico cremasco. Qualcosa va storto. Non so bene come siano andate effettivamente le cose. Ripensandoci adesso, forse non era il momento. A Crema, dalla precedente cultura “delle contesse e dei monsignori” (per usare l’espressione usata ai tempi della contestazione giovanile), che anche Severina riteneva superata, dopo le amministrative del 1975 si stava passando a un vero e proprio spoils system locale, che dalla politica municipale si irradiava sulle strutture e sulle scelte culturali, artistiche, letterarie, teatrali della città e del territorio. Forse risale ad allora quell’elemento di mancato incontro, di rapporto non risolto, di reciproco distacco che accompagnerà sempre la relazione artistica tra Severina e l’establishment culturale cremasco.

Sempre nel 1976, si svolge a Bruxelles la “IV Biennale Europa” e Severina decide di partecipare. Ottiene consensi positivi e ricordo il paradosso degli apprezzamenti sulla stampa estera rispetto allo scarso rilievo dato dai nostri media di campanile alla sua partecipazione a questa mostra internazionale. Nel 1977 partecipa al Concorso Nazionale “El Cavalèt” a Cremona. Tra il 1977 e il 1978 la mia frequentazione di Severina aumenta. Ci si vede spesso a Milano, dove dal 1977 io ho iniziato a lavorare lasciando il precedente impiego a Crema. È nel 1977 che Severina tiene, lì a Milano, una mostra personale alla Galleria “Lo Scorpione”. Nel 1978 partecipa, sempre a Milano, al Concorso Nazionale “Torre d’Ansperto”. Ancora nel 1978 tiene un’altra mostra personale al Centro Culturale “Loyola” di Arona. Sta per iniziare il decennio della cosiddetta “Milano da bere”, il periodo del craxismo politico e dell’edonismo più spinto, quando la città sembra offrire infinite opportunità e soddisfazioni (persino ai provinciali venuti dalla bassa, come me). Saranno i mitici anni Ottanta. Severina è spesso invitata a mostre, conferenze, presentazioni di libri, incontri culturali. Ogni tanto mi telefona in ufficio e poi mi coinvolge. Mi presenta Mario Monteverdi (“ah, così tu sei il figlio del Carlo”), che ci accoglie nella sua abitazione all’inizio dei Navigli, vicino alla darsena. Ha una lunga barba profetica. Mi colpisce il fatto che in casa sua le pareti siano quasi del tutto coperte da quadri, fino al soffitto.

Il mio lavoro a Milano va molto bene, a Crema ormai non mi lega più nulla, penso di trasferirmi vicino all’ufficio. Poi però all’inizio del 1979 ci ripenso, anche se intanto sono diventato quasi milanese. Severina mi presenta Raffaele De Grada. Alla fine del 1978 andiamo insieme alla mostra antologica postuma di Leonardo Spreafico alla Permanente e all’uscita lei si arrabbia tantissimo perché trova sul parabrezza dell’auto una multa salatissima. D’altra parte, in via Turati non si parcheggia impunemente per più di un’ora in seconda fila. Di solito, quando salgo sulla sua macchina, sono sempre teso. Lei guida nel traffico di Milano con una spavalderia che mi allarma. Severina organizza poi due mostre personali che le danno molta soddisfazione: una nel 1980, alla Galleria del Torrazzo di Cremona; l’altra nel 1982, alla Galleria Accademia di Milano. Partecipa quindi a due collettive, sempre a Milano, entrambe nel 1985, al Centro Congressi del Jolly Hotel di Milano 2 e quindi al Circolo Culturale Begnis. Nel 1986 viene selezionata per far parte della cosiddetta “giuria popolare” del Premio Campiello a Venezia (quella dei “Trecento lettori”). Vince Alberto Ongaro. Però siamo entrambi dell’opinione che “La partita” non meriti il premio.

Dopo la metà degli anni Ottanta, i miei rapporti con Severina si diradano un po’. Sono più spesso a Crema, anche perché mi nascono due figli, cambio casa, la multinazionale tedesca per cui lavoro mi manda spesso all’estero. Insomma, ci perdiamo abbastanza di vista. Però vado alle inaugurazioni di alcune sue mostre, come la collettiva allestita dall’Assessorato alla Cultura di Cremona in Santa Maria della Pietà nel 1987; poi a quella in cui ottiene un premio acquisto e che è organizzata, sempre nel 1987, dal Comune di Verbania; infine a quella del 2° Premio FIDAPA al Teatro delle Erbe di Milano, nel 1991. Soprattutto, Severina tiene in questi anni due personali che rappresentano per lei due momenti di riconoscimento artistico molto importanti. La prima è la personale che si svolge alla Galleria Baguttino di Milano nel 1986. La seconda è quella alla Galleria Cortina di Milano nel 1993. Penso che forse questa mostra alla Cortina abbia rappresentato, in un certo senso, uno degli apici (e forse l’apice finale) del periodo espositivo più intenso e animato di Severina in ambito galleristico milanese. Ricordo che all’inaugurazione Severina mi ha tirato da parte e mi ha detto con aria complice (anche la Cortina era allora in via Turati): “stavolta non ho parcheggiato in seconda fila”. La mostra aveva, tra le altre, le recensioni di Raffaele De Grada e di un giovane critico di belle speranze, di nome Vittorio Sgarbi. Rileggendo oggi quella recensione di Sgarbi, avendo conosciuto Severina, devo dire che il testo era proprio centrato e appropriato. Probabilmente non ho mai visto Severina raggiante e felice come in quel tardo pomeriggio di sabato 22 maggio 1993, nel cortile interno di via Turati 3.

Dal 1989 al 1994 Severina è “cultore della materia” nel corso di Disegno e Rilievo tenuto dal prof. Mario Antonio Arnaboldi, presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Uno dei suoi incarichi, a supporto di quel corso, è quello di favorire motivi di aggregazione tra l’ambiente artistico e gli studi di architettura, nel periodo formativo degli studenti. Il corso ha un alto numero di partecipanti. Si tratta di un progetto molto innovativo. Da un coevo documento universitario rilevo che “Il corso appartiene al Dipartimento di Progettazione dell’Architettura e approfondisce i motivi interiori ed esteriori del progetto d’architettura su basi culturalmente elaborate nell’innovazione dei metodi espressivi”. Non capisco del tutto il significato di tale formulazione ma comprendo molto bene perché Severina, nelle successive vicende cremasche sul recupero di certi beni architettonici storici cittadini, ne sapesse molto più di parecchi altri. Anche in questo ambito accademico Severina si fa apprezzare, sia dagli studenti che dai colleghi. Realizza alcune dispense ed è presente, con una sua ricerca su tale argomento, nel testo universitario “Progettare Oggi”, a cura del prof. Arnaboldi, edito da Arcaedizioni nel 1992.

Nel 1989 Severina era rimasta orfana della madre, venuta a mancare il 3 ottobre di quell’anno. Sin dalla metà degli anni Ottanta aveva cominciato a portare avanti gli impegnativi e gravosi restauri del palazzo di famiglia. Con il supporto di professionisti del settore e di aziende specializzate, Severina aveva iniziato i lavori necessari per il restauro conservativo di gran parte di questo complesso architettonico, partendo dalle facciate prospicienti la piazza Trento e Trieste. Seguono poi nel tempo i lavori di rifacimento completo di tutti i tetti, con l’attento recupero, laddove possibile, del materiale originario (capriate, travi di colmo, vecchi coppi in cotto) e con la ristrutturazione di tutta la parte sottogronda, compresa la sostituzione dei canali di gronda con le loro sagome e accessioni. È poi la volta del restauro delle facciate interne del palazzo e della sistemazione del cortile.

Alla fine, dopo una serie di interventi che si protraggono per circa un ventennio, vengono ultimati anche i restauri degli ambienti interni. Questi lavori nella parte interna sono molteplici e hanno l’obiettivo di adattare quegli spazi alle esigenze abitative attuali, però senza alterare i pregi architettonici e artistici di quei locali storici, lasciando con grande cura intatti, ad esempio, gli stucchi di Giocondo Albertolli e gli affreschi di Giuseppe Levati. Nel 1998, quando i restauri sono entrati nella loro fase di ultimazione, Severina dà alle stampe una pregevole pubblicazione (poi disponibile anche in rete) riguardante questo palazzo. Oggi il “palazzo dell’Innominato”, come a volte viene chiamato per via dei soggiorni che vi fece Francesco Bernardino Visconti, rappresenta per la collettività cremasca un pezzo fondamentale di storia, arte e architettura, anche grazie alla salvaguardia messa in opera da Severina con questi restauri, condotti oltretutto senza richiedere alcun contributo pubblico per la loro realizzazione.

Negli anni Novanta Severina collabora con alcune case editrici alla pubblicazione di testi e manuali riguardanti le tecniche d’arte e lo sviluppo delle abilità soprattutto pittoriche. Si tratta di opere in genere piuttosto divulgative ma che evidenziano la padronanza che Severina ha delle materie trattate e la sua capacità di trasferire anche al grande pubblico il gusto della creazione artistica e, in particolar modo, il piacere di dipingere. In questo ambito di attività, appare significativa la collaborazione di Severina con la casa editrice Fabbri del gruppo RCS. Ad esempio, ho visto che presso la nostra Biblioteca si trova un numero della serie “Diventare artista” di cui è autrice Severina, dedicato all’apprendimento delle tecniche per l’acquerello. Tra l’altro, ricordo che proprio l’insegnamento della pittura ad acquerello era stato oggetto di un corso specifico tenuto da Severina nel 1998 presso la Società Orticola di Lombardia, una delle istituzioni scientifico-culturali storiche milanesi in ambito naturalistico, fondata nel 1865 (la sede è in piazza Borromeo) ma con precedenti nella rivista “I Giardini” di Francesco Pertusati, pubblicata dal 1854. E questo è solo uno dei tanti esempi del collegamento importante che Severina ha sempre avuto con le realtà culturali e con l’associazionismo milanese, soprattutto in campo artistico ma anche in altri svariati ambiti, a volte insospettabili.

Col passare degli anni, Severina non ha mai smesso di dipingere. Da un certo momento in avanti, le sue mostre personali e la sua partecipazione alle mostre collettive sono andate progressivamente diminuendo, fino a cessare del tutto nell’ultimo periodo. Però i pennelli, le tele, i colori non li ha mai abbandonati. Mi pare che in tutto abbia esposto in una quindicina di mostre personali e in circa una quarantina di mostre collettive. Severina ha anche creato una galleria personale nel suo palazzo e lì per diversi anni ha collocato le sue opere, aggiungendone spesso di nuove, modificandone la disposizione, trovando soluzioni espositive differenti a seconda delle circostanze. Come anche altri artisti hanno fatto, ha creato una sua esposizione permanente ma in un certo senso dinamica, che può aiutare i visitatori a comprendere la sua evoluzione artistica e che può offrire una testimonianza molto significativa del suo stile pittorico e del suo percorso nel mondo dell’arte. Rispetto ad altre esperienze del genere, messe in opera da diversi artisti nel loro contesto abitativo o nel loro studio, questa sorta di compendio espositivo beneficia di una collocazione ragguardevole, in un palazzo storico che si trova in una posizione cittadina centralissima e che possiede un fascino unico all’interno del perimetro dell’originaria piazzaforte altomedievale cremasca.

Nel corso della carriera artistica di Severina, sono molti i critici qualificati che scrivono recensioni lusinghiere sulla sua opera pittorica. Lei le conserva in apposite cartelle, dove ritagli di giornale, dépliant delle mostre, copie di pagine dei cataloghi vanno a formare nel tempo un’altra sezione del suo archivio in perenne accrescimento. Basti citare in questa sede critici come Raffaele De Grada, Mario Ghilardi, Lino Lazzari, Mario Monteverdi, Giulio Nascimbeni, Walter Pozzi, Vittorio Sgarbi, Claudio Toscani, Vincenzo Vicario. Molti altri adesso non me li ricordo, però si trattava sempre di esponenti importanti della critica d’arte di quei decenni, in parte di formazione braidense e d’ambiente milanese, in parte di diversa estrazione accademica, culturale e artistica. Naturalmente, soprattutto nel periodo più vicino ai nostri giorni, non sono mancate a Severina le positive recensioni della critica locale cremasca (ad esempio, quelle di Silvia Merico).

Severina non ha mai perso l’abitudine, sviluppata fin dagli anni dell’università, di collaborare a giornali e riviste, con particolare riguardo alle pubblicazioni in ambito artistico. Anche di questi suoi contributi teneva memoria e ordinata sistemazione in archivio. So che ha collaborato con alcuni quotidiani, tra i quali, con una certa frequenza, “La Libertà” di Piacenza. E che ha scritto su riviste come “Artecultura”, “Lighting Design”, “L’Arca”. Innumerevoli sono stati i suoi articoli sulla stampa locale cremasca. Negli ultimi anni aveva scritto qualcosa anche per un giornale online, mi sembra per il ciclo “Historia et Imago Cremae” (mi ricordo, circa una decina di anni fa, un suo articolo su Federico Pesadori). Non è facile ricostruire, solo a memoria, la multiforme e cospicua attività di Severina nei suoi rapporti con la stampa e ripercorrere il filo dei suoi contributi alle varie testate con cui ha collaborato. Basti qui dire che, anche in questo contesto culturale, Severina non ha mai mancato di essere molto dinamica e proattiva.

Dall’inizio del nuovo secolo, Severina diventa un’utente abituale di strumenti informatici e le sue ricerche non si limitano più agli accessi fisici in archivi e biblioteche ma si arricchiscono grazie a una navigazione e a una ricerca in rete divenute nel tempo, con il progressivo sviluppo tecnologico, per lei sempre più rilevanti. Comincia il periodo delle nostre corrispondenze via mail e del trasferimento informatico di dati, testi, immagini su argomenti storici, artistici e culturali in genere. È un’attività che Severina svolge informatizzando molte delle relazioni che in precedenza erano articolate in una rete di rapporti personali diretti e che ora, almeno in parte, seguono i flussi comunicativi via web. Lo fa con molti suoi interlocutori e anch’io vengo fatto entrare in questa modalità informatica, che lei utilizza in modo sempre più frequente. Io la prendo in giro e le do della cibernauta compulsiva. Lei ci ride sopra e a volte firma le sue mail “la cibernauta”. Ho conservato in molte cartelle tutta questa nostra corrispondenza e ne è venuto fuori un vero e proprio database di messaggi, file e archivi digitali, che va dai primi anni Duemila fino a un paio di anni fa. A un certo punto Severina fa realizzare un sito in rete riguardante il palazzo Donati, un sito che oggi è un po’ datato nei contenuti e nella grafica ma che è ancora accessibile (www.palazzodonaticrema.com). Da questo sito, nella sezione “Pittura”, si rileva che “Nell’ottobre 2002 il Comune di Crema, Assessorato alla Cultura, allestisce una sua mostra presso il Centro Culturale S. Agostino”. Proprio in quel periodo ero all’estero e quindi non ho potuto andarci. Allora mi sono informato ma nessuno (in Biblioteca, al Museo) ne sa qualcosa. La cosa meriterebbe un approfondimento.

A un certo punto, Severina si pone il problema del suo cognome. A Crema la famiglia Donati è articolata in diversi rami, che dovrebbero fare tutti capo ad antenati comuni. Il fatto è che il cognome Donati si rileva, ancora oggi, a volte da solo, a volte come Donati De Conti, altre volte come Donati de’ Conti (e questa sembrerebbe, di recente, la formulazione prevalente). Ricordo quando Severina ha cominciato a compulsare registri anagrafici, libri parrocchiali, vecchi certificati con l’obiettivo di definire bene la questione. Una volta mi ha fatto vedere i certificati di nascita di suo padre e di suo zio Alessandro Donati (1898-1954). Quello di suo padre, Giunio Luigi Battista Donati (e basta), riportava che il nonno Francesco Donati (e basta), “di anni trentotto”, dichiarava nel 1900 di aver avuto un figlio da Chizzoli Severina, in via Chiesa n. 1, a Ombriano. Due anni prima, nel 1898, sempre il nonno Francesco Donati (e basta), “di anni trentasei”, dichiarava lo stesso del suo primogenito, Alessandro Giovanni Battista Luigi Donati (e basta). Benvenuti definisce infatti un ramo di questa famiglia come “oriunda d’Ombriano”. A quel tempo un altro ramo dei Donati era già residente a Crema, probabilmente dal XVII secolo. Severina però voleva andarcene più a fondo. Da dove salta fuori il De Conti (o de’ Conti)? Nonostante ogni tanto lei cercasse di coinvolgermi (“tu che giri spesso per gli archivi”), io preferivo eludere le sue richieste. Personalmente, credo che ogni famiglia possa chiamarsi come vuole e che gli estranei debbano starcene fuori. Però capivo Severina. È giusto che una persona sappia come si chiama di preciso.

Ripensandoci adesso, se ben ricordo, i documenti riguardanti Severina che mi sono passati per le mani fino ai primi anni Novanta la chiamano Donati e basta. Poi però Severina viene indicata come Donati De Conti. Nei suoi ultimi anni c’è infine il Donati de’ Conti (raramente con la particella in versione maiuscola, Donati De’ Conti). Insomma, era normale che Severina si ponesse la questione del suo cognome. Alla fine, mi pare abbia scelto il Donati de’ Conti. Quando le dicevo che erano fatti suoi, lei un po’ se la prendeva. So comunque tre cose. Primo, so che ho fatto bene a non metterci il naso, perché con la politica altrui, la religione altrui e i cognomi altrui è sempre meglio farsi i fatti propri. Secondo, so che comunque la spiegazione basata sul “di cünt”, riguardante Carlo Donati (1804-1875), data in proposito da Mario Perolini (Vicende degli Edifici Monumentali eccetera, p. 140, nota 2, ed. 1995) e ripresa da Giorgio Zucchelli (Le Ville storiche eccetera, Secondo Itinerario, p. 132) non mi convince, soprattutto dopo la pubblicazione del Manoscritto MMS/189 (vedi le pp. 22v e 23r). Terzo, so che altrettanto poco mi convince l’origine dei Donati da Firenze (vedi Zucchelli, op. cit.), mentre è più probabile che la famiglia si sia trasferita a Crema da Venezia qualche tempo dopo la nostra dedizione alla Serenissima. Non dubito, in ogni caso, che in quell’ambito familiare esista oggi una corretta cognizione di causa su questi aspetti, trattandosi di una famiglia cremasca illustre (si pensi all’avv. Pietro Donati e all’ing. Carlo Donati) e ben consapevole dei propri lignaggi.

Quando vent’anni fa sono venuto ad abitare in via Lucini, sono diventato in pratica vicino di casa di Severina, perché basta girare l’angolo in piazza Trento e Trieste e si è subito nella sua via. Da allora ci si incontra quindi spesso in zona, a piedi, e in diverse occasioni mi invita su da lei, nella sua grande stanza studio-scriptorium-atelier, in cui a prima vista regnano un totale disordine e una incredibile confusione di libri e cataloghi, tele e colori, faldoni e raccoglitori. Invece lei sa sempre dove mettere le mani, trova tutto subito, si muove in questa geografia del caos con una sicurezza olimpica, apollinea. Ogni cosa sembra rispondere immediatamente ai suoi comandi. E si capisce che lei ha un suo ordine mentale inconoscibile a noi comuni mortali. Dopo gli anni in cui i nostri rapporti si sono un po’ diradati, riprendiamo così a frequentarci abbastanza spesso. Ci si informa reciprocamente sulle cose di comune interesse, ci si confronta, si discute di iniziative e progetti. Sono argomenti, adesso, meno milanesi e più cremaschi, anche se ogni tanto lei parte, scompare per una settimana e poi torna con il dépliant di un incontro in cui è stata relatrice, a volte in posti a centinaia di chilometri da Crema.

Nel 2007 Severina illustra con le sue immagini il libro “Poetica Terra (Le stagioni della vita)” di Elide Zuccotti. Il saggio introduttivo è di Piero Tinelli, soncinese come la Zuccotti. Il saggio è seguito da un testo, “Il Ritratto. Perché un libro insieme”, pp. 15-25, nel quale la Zuccotti parla della sua frequentazione di Severina. È un testo interessante perché fornisce, in un volume indirizzato al pubblico, alcuni spunti sul carattere di Severina e su alcuni suoi comportamenti. Si tratta di una piccola “finestra”, per quanto non molto estesa come durata temporale (una decina d’anni, tra il 1996 e il 2006), su alcuni aspetti personali di Severina difficilmente rilevabili dalle persone esterne alla sua cerchia. Infatti, in particolar modo con chi non faceva parte del suo giro più ristretto di amicizie, lei ha sempre mantenuto alto il livello di riservatezza intorno alla sua persona e alla sua esistenza.

Nel 2010 Severina cura la pubblicazione della Historia di Crema di Pietro da Terno. Si tratta di una copia anastatica, in cinquecento esemplari, del testo noto a Crema come Manoscritto MMS/7, che contiene la trascrizione fatta dall’originale ad opera di Giuseppe Salomoni, con la convalida notarile del 1739 (l’originale del documento è irreperibile). Questi 189 fogli che riguardano la storia della nostra città dal 570 al 1556 erano già stati oggetto di pubblicazione da parte di Corrado e Maria Verga nel 1964 (sempre in cinquecento esemplari) ma quel testo, nei decenni, era diventato sempre più difficile da trovare. Tra l’altro, Verga nel frontespizio dava come anno finale il 1557, non il 1556. Severina, nel 2010, è presidente del Lions Club Crema Host. L’idea di far diventare questa nuova edizione dell’Historia un service per l’anno lionistico 2009-2010, in collaborazione con la Biblioteca di Crema, si rivela in effetti molto valida. Ricordo che alla presentazione del volume, nella Sala Ricevimenti del Comune di Crema, quel 15 maggio 2010, lei era (giustamente) fierissima di questo risultato. La prefazione all’inizio della pubblicazione era del prof. Romain Rainero dell’Università degli Studi di Milano, con cui Severina era spesso in contatto per le sue ricerche storiche.

Nel frattempo, in preparazione delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, anche a Crema si stava organizzando il calendario di eventi che nel 2011 avrebbe portato a iniziative, conferenze ed eventi di vario genere, che hanno poi riscosso un notevole successo. Severina segue molto da vicino questo calendario manifestazioni, nel quale si dimostrano particolarmente attive soprattutto alcune associazioni culturali cremasche. Il suo contributo non è però soltanto indiretto, attraverso la collaborazione con queste associazioni. Il 24 novembre 2011 Severina organizza a palazzo Donati un incontro, al quale partecipano diverse autorità cremasche, sul tema “Enrico Martini (1818-1869). 150 anni fa. Il conte Enrico Martini, il Re Carlo Alberto e le Cinque Giornate di Milano”. La sua relazione è molto apprezzata e diversi cremaschi hanno in quell’occasione la possibilità di visitare per la prima volta le sale del palazzo. A partire da quel periodo, le corrispondenze di carattere storico tra me e Severina hanno avuto spesso per tema il periodo risorgimentale e il contributo dato dai patrioti cremaschi al processo di unificazione nazionale, a partire da personaggi come Vincenzo Toffetti, Enrico Martini, Ottaviano Vimercati, Paolo Marazzi, Enrico Zurla e altri ancora. Severina si era appassionata a questo tema, si era messa a raccogliere parecchio materiale nel merito e so che intendeva preparare una sua pubblicazione su tale argomento.

Severina ha un archivio notevole, in cui cataloga, inserisce, aggiorna, consulta. All’archivio cartaceo si è aggiunto adesso quello digitale. Ogni tanto si mette a dipingere. Sa di essere una persona fortunata, che può seguire Yeats nel suo “quadro e libro rimangono”. Comincia a interessarsi alla figura di Ranuzio Pesadori, dopo aver raccolto parecchio materiale su Federico Pesadori. Severina è l’opposto di quelli che ambiscono a dar lustro al proprio casato con genealogie, antenati illustri e magari blasoni, veri o presunti. Invece le piace ricostruire storie, avventure, situazioni umane di cui cerca le tracce, con lo spirito di un bravo investigatore. Certo, se poi si tratta di figure di famiglia, perché no? In fondo, la cronica sindrome amnestica cremasca sul proprio passato storico può forse trovare una terapia correttiva proprio nell’opera di coloro che portano, nel proprio DNA e spesso nel loro nome, il legato e la responsabilità individuale di un’azione memoriale compensativa di questa carenza cognitiva collettiva. In parole povere, non c’è niente di male a cercare di capire chi sono i propri antenati, l’importante è che poi non si millantino “quarti al posto di mezzene”, come qualcuno ha scritto.

Prima però di dedicarsi a Ranuzio Pesadori, Severina ricostruisce meglio le vicende della famiglia Monti. Perché tra i Pesadori e i Donati ci sono, in mezzo, i Monti, la sua famiglia materna. A Perugia c’è una famiglia Monti molto nota e stimata. Soprattutto Luigi Monti (1876-1935), scrittore e imprenditore, patriota e artista, trasferitosi poi a Rapallo. Luigi viene da una famiglia di patrioti risorgimentali. Uno zio di Luigi, Nicola Monti, cade giovanissimo il 20 giugno 1859 al Frontone, per la difesa di Perugia. Un altro zio, il colonnello Dante Monti, combatte molte battaglie sui terreni di guerra dell’indipendenza nazionale ed è tra i liberatori di Perugia nel 1860. Un’altra zia Monti, Adelaide, aveva frequentato a Londra Giuseppe Mazzini e Dante Gabriele Rossetti, trasportando lettere e documenti importanti tra l’Italia e l’Inghilterra. Per farla breve, Severina accerta che suo nonno Ercole Monti è un fratello di Luigi e discende quindi da questa importante famiglia di patrioti. Ercole Monti ha sposato Antonina Pesadori, la figlia del notaio poeta Federico Pesadori e di Amina Lantieri di Tirano, ed è il padre di Bruna Monti, madre di Severina.

Le successive ricerche su Ranuzio Pesadori (1800-1871), tenore cremasco alla corte di Sassonia, occupano Severina per parecchio tempo. In certe ricostruzioni dell’ambiente storico le do una mano. Quando le dico che dopo le Cinque Giornate, nei momenti in cui Radetzky passa da Crema in ritirata verso il Quadrilatero, al seguito della nobiltà e dell’ufficialità austriaca in fuga da Milano c’è anche Ranuzio, austriacante e antipiemontese, lei se la prende un po’. Poi però mi perdona. D’altra parte, anche Crema allora era piena di nobili austriacanti, poi frettolosamente divenuti patrioti italiani. Dopo una lunga gestazione, durata diversi anni, Severina pubblica nel giugno del 2012 il suo “Da Crema a Dresda. Storia d’amore e di musica nell’Europa della Restaurazione. 1825-1835”. Il libro è dedicato “A Luigi, amico di giochi”. Severina presenta il suo lavoro in diverse sedi: il 25 novembre 2012 in sala Bottesini al San Domenico, con letture di Celestino Cremonesi e con Alessandro Lupo Pasini al pianoforte; il 21 settembre 2013 nella sala Cremonesi del Museo di Crema, nella rassegna del Sabato del Museo, con organizzazione dell’Arando e del Touring Club Italiano; il 13 giugno 2014 alla Biblioteca Civica di Lodi; il 4 novembre 2014 alla Pro Loco di Crema.

All’inizio Severina non fa parte ufficialmente del Comitato che si propone di restaurare e ricollocare il monumento a Vittorio Emanuele II nella sua piazza originaria a Crema. Però di fatto partecipa alle attività di progetto e tra il 2011 e il 2013 diventa molto attiva, insieme ai sottoscrittori dell’atto costitutivo del Comitato, nel superare tutti gli ostacoli burocratici, economici, politici e mediatici che allora si frappongono alla realizzazione di quest’opera, così impegnativa e così rilevante, a favore della cittadinanza cremasca. Ricordo, come vicepresidente di quel gruppo di progetto, il suo impegno e la sua passione nel sostenere la nostra comune iniziativa. Ci è sembrato giusto che fosse lei, nel momento dell’inaugurazione, quella mattina del 7 settembre 2013, a iniziare la presentazione degli interventi delle autorità. Severina ci è molto mancata quando, l’anno scorso, ci siamo di nuovo riuniti con una cerimonia pubblica per celebrare, nella stessa piazza, il decennale del restauro del monumento.

Nel marzo 2014 il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, nell’ambito della manifestazione nazionale delle cosiddette “porte aperte”, organizza a palazzo Donati una visita guidata che vede un’affluenza di pubblico e un successo notevoli. Grazie alla disponibilità di Severina, questo importante bene culturale storico cremasco viene apprezzato da parecchi visitatori. Molti vengono da fuori Crema ma non sono pochi i cremaschi che scoprono per la prima volta la bellezza e il fascino del “palazzo dell’Innominato”. Da qualche anno ero già tesserato FAI e sapevo, dai suoi discorsi, che Severina era tesserata da molto più tempo di me e che frequentava a Milano la dirigenza regionale FAI, collaborando alla vita associativa di questa istituzione. A Crema, Monica Scandelli, Annalisa Doneda e altre responsabili locali stavano facendo parecchio per favorire la diffusione e lo sviluppo del FAI, dei suoi obiettivi di tutela e salvaguardia, delle sue iniziative sul territorio e del suo spirito così condiviso da Severina e da me. Ogni tanto io e Severina abbiamo partecipato insieme anche a delle iniziative del FAI svolte fuori Crema. Ricordo quando mi ha convinto ad andare con lei, il 17 settembre 2011, alla villa Pallavicino Trivulzio di San Fiorano, dove il FAI aveva organizzato un evento su Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Severina ammirava il personaggio. Io mica tanto. Le voci recitanti erano di Vanda Bruttomesso e Antonio Zanoletti. Al pianoforte c’era Alessandro Beltrami.

Oltre a quanto detto sinora, sono numerosi gli interventi, i contributi, le partecipazioni di Severina alla vita culturale cremasca negli ultimi anni della sua vita. Non potendoli citare tutti, per comprensibili ragioni di spazio, mi limito solo ad alcuni. Severina è spesso relatrice nel ciclo di conferenze dal titolo “Dieci Pagine di Storia Cremasca”, che si articola in incontri di norma mensili e nel quale si tratta di vari temi storici riguardanti la nostra città. Mi limito a citare un paio di eventi, a titolo esemplificativo, anche se Severina interviene in quasi tutti gli incontri. È dell’8 novembre 2015 (prima “Pagina”) la conferenza “Storia di piazza Duomo e del Palazzo Municipale”, che si svolge presso la sala Cremonesi del Museo di Crema. Severina incentra la sua esposizione su uno dei fatti storici più ragguardevoli avvenuti in città, ovvero l’arrivo del re di Francia Luigi XII, che nel maggio del 1509 è accolto in piazza Duomo da una folla festante e che per due giorni viene ospitato nel palazzo Benzoni. È poi del 27 febbraio 2016 (settima “Pagina”) la conferenza “La Basilica di Santa Maria della Croce: l’enigmatico Architetto”, sempre presso la sala Cremonesi del Museo di Crema, in cui Severina è ancora applaudita correlatrice. Sono solo due esempi ma in quasi tutte le conferenze di questo ciclo Severina interviene dimostrando una conoscenza della storia locale cremasca veramente notevole. Le sue ricerche e i suoi studi emergono chiaramente in queste occasioni pubbliche.

Ancora nel 2016 Severina organizza a palazzo Donati un ciclo di tre concerti intitolato “Musica a Palazzo”. Sono tre serate, che si svolgono il 29 giugno (“La ghironda dal Medioevo al Barocco”, con Marco Ravasio e Claudio Demicheli), il 6 luglio (“Tre violoncelli per Vivaldi e Bach”, con Marco Ravasio e i figli Filippo e Giacomo, anche loro al violoncello) e il 13 luglio (“Il violoncello ieri e oggi”, con musiche di Frescobaldi, Bach, Ravasio e altri). Anche questa iniziativa di Severina ha un grande successo. Oggi pochi ricordano questa sua antesignana, disinteressata e mecenatesca anticipazione della successiva “musica in corte” nei palazzi storici del centro cittadino. I concerti si tengono nel nuovo spazio espositivo culturale che Severina aveva da poco allestito al piano terra del suo palazzo, con ingresso adiacente a quello principale e verso il lato che poi scende verso la piazza, fronteggiando l’attiguo palazzo Marazzi. 

Il 21 aprile 2018, presso la sala Cremonesi del Museo di Crema, Severina è correlatrice nella conferenza “Le opere di Bice Benvenuti (1850-1885)”, organizzata dall’Araldo nel ciclo del Sabato del Museo. L’incontro è dedicato alla pittrice e scrittrice figlia dello storico cremasco Francesco Sforza Benvenuti, una artista eclettica prematuramente scomparsa. Severina interviene soprattutto sulla produzione delle opere ad acquerello di questa autrice. Il 12 aprile 2019, nella sala Tina Gobbi dell’oratorio Frassati di Lodi, ospite del Salotto Letterario di Lodi, Severina è relatrice sul tema “Federico Pesadori (1849-1923), notaio in Crema”. La sede del Frassati è in via Callisto Piazza, a pochi passi dal luogo in cui, nella stessa via, ha sede la Società Generale Operaia di Mutuo Soccorso di Lodi, di cui sono socio da una dozzina d’anni. Dopo la conferenza, porto Severina a visitare le sale di questa Società e lei resta ammirata dalle raccolte di libri nelle scansie. Quando torna a Crema, si mette a cercare notizie sulle società mutue operaie cremasche, che non ci sono più da un pezzo, e comincia a meditare di scrivere qualcosa sull’argomento. Non saprei dire che cosa abbia poi imbastito su questo tema. Nell’ottobre 2019 ospita, nello spazio espositivo culturale al piano terra di palazzo Donati, la mostra celebrativa del ventesimo anniversario dell’Araldo. Partecipa all’organizzazione della mostra e, all’inaugurazione, non manca il suo apprezzato intervento.

Il biennio del COVID, nel quale si sono inframmezzate soltanto poche e brevi pause di ritorno alla normalità, comporta anche per Severina la necessità di un lock-down personale e culturale, con una interruzione delle relazioni, numerose e ramificate, da lei intrattenute sino a quel momento con i vari ambienti artistici, letterari e intellettuali con i quali era stata sempre in rapporto, a Milano, in altre città italiane e anche a Crema. Restano attive le comunicazioni via mail e via web, che consentono a Severina di mantenere i contatti con molti suoi amici e conoscenti, in attesa di una possibile ripresa di progetti e iniziative culturali, da porre in essere dopo la fine della pandemia. Oltre a questo, Severina sa di essere malata in modo serio e un po’ per volta questa notizia arriva alla cerchia delle persone con cui ha un rapporto più stretto.

Severina approfitta comunque di questo periodo di limitazioni imposte dal lock-down per cercare di dare maggior impulso a un’opera storico-artistica alla quale sta lavorando da diversi anni. È la storia basata sul palazzo Benzoni-Scotti-Martini-Donati che, partendo dalle vicende architettoniche e artistiche di questo palazzo, dovrebbe portare a comprendere, come in un grande affresco, anche la storia delle famiglie che hanno edificato, ristrutturato, ampliato, abbellito e salvaguardato questo primario bene culturale cremasco. Il tutto dovrebbe essere inserito in un inquadramento storico e in una descrizione delle epoche nelle quali queste famiglie hanno vissuto e operato. L’idea di Severina, agendo come in un campo visuale sempre più allargato (quasi in senso cinematografico), è quella di raccontare una storia vera, ricca di interesse e di fascino, innervata su un antico palazzo cremasco, estesa ai personaggi e alle famiglie che l’hanno abitato nelle varie epoche e, quindi, ai corrispondenti scenari complessivi della società cremasca nella sua evoluzione storica, nell’arco temporale degli ultimi cinque secoli.

Quando Severina me ne ha parlato la prima volta, confesso che mi sono tremati i polsi. Nessuno a Crema, dopo il Benvenuti, aveva più concepito un’opera di così ampio respiro. E, francamente, pur stimando parecchio Severina, le avevo espresso le mie perplessità. Poi però ero sempre stato disponibile a fornirle gli aiuti, i supporti e i contributi che di volta in volta mi richiedeva, per quanto io potessi fare in una simile impresa, a dir poco ambiziosa. Ogni tanto mi inviava degli stralci, degli appunti, delle note e quindi ci si confrontava molto apertamente e in modo costruttivo. Nel periodo del COVID, questi scambi di vedute sulle sue bozze avvenivano fondamentalmente per telefono o via mail. Al termine della pandemia, dalla fine del 2021 in avanti, le condizioni di Severina erano peggiorate. Immagino che anche questo importante progetto abbia lasciato il posto a preoccupazioni di ben altro genere. Non so a che punto fosse arrivata, effettivamente, nella stesura. Qualcuno di recente mi ha detto che, in buona sostanza, il “libro di Severina sul suo palazzo (in realtà, da quanto sapevo, avrebbe dovuto essere molto di più) era ormai terminato”. Non lo so. Quello che so è che nel corso del 2022 Severina ha cercato di evitare gli incontri, gli impegni, le frequentazioni con quasi tutti. Ci siamo visti di persona a metà del 2022. Capivo che era il nostro ultimo incontro. Conoscevo Severina ed ero certo che il suo contegno, il suo senso del decoro, la sua riservatezza sulla propria persona l’avrebbero portata a farsi ricordare dagli amici in condizioni di salute non troppo negative e deteriorate. Aveva sempre avuto stile ed ha avuto stile fino all’ultimo. Ovviamente, se Severina ha davvero lasciato un’opera compiuta come quella che intendeva realizzare, sarebbe un peccato relegarla nell’oblio.

Severina se n’è andata il 3 gennaio 2023. È stata tumulata nella cappella di famiglia al cimitero di Crema il 7 gennaio. Sulla sua lapide sono state scritte le parole giuste, che sintetizzano la sua esistenza: “Dedicò la vita alla Cultura, alla Storia e all’Arte”. Essendo nubile e senza figli, Severina ha lasciato il suo palazzo al FAI. Che però non ha accettato questo lascito. A Crema ne è nata una bagarre, anche mediatica, su cui, per carità di patria, è meglio limitarsi in questa sede a un no comment, anche perché la vicenda è talmente intricata e poco chiara che meriterebbe un articolo a parte. Ci vorrebbe un bravo investigatore. Come era Severina.

Ogni tanto le neuroscienze, la biogenetica e gli studi evoluzionistici si interrogano su un quesito risalente e ricorrente: è possibile l’amicizia tra due soggetti di sesso diverso, tra un maschio e una femmina? La vexata quaestio, dopo l’ennesimo articolo uscito su qualche rivista scientifica, finisce poi sui rotocalchi femminili e nei salotti televisivi. Ecco, io devo ammettere che la mia amicizia con Severina c’è stata per davvero, è durata circa mezzo secolo, è sempre rimasta perimetrata entro i giusti confini ed è stata pure molto affettuosa. Insomma, per me la risposta al quesito è positiva. Dopodiché, la scienza dica in proposito ciò che vuole. 

Mi scuso con i lettori di Cremona Sera per le eventuali imprecisioni che qualcuno di loro potrebbe rinvenire in questo articolo. Molte delle cose che ho scritto si basano su ricordi personali, a volte abbastanza lontani nel tempo, e non sempre la memoria di un settantunenne riesce ad essere impeccabile. Ogni correzione, integrazione o precisazione sarà accolta con sincera gratitudine.

Pietro Martini


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commenti


Alessandro

13 giugno 2024 08:07

E' un articolo meraviglioso quello che ci ha regalato. La storia di una grande artista poliedrica le cui vicende personali, come si deve, passano sotto traccia nella riservatezza che si addice a grandi persone e grandi anime. Bellissimo, quasi commosso, la ringrazio: nel percorso umano dell'artista si intravede anche la storia di tutti noi, la mutazione della società e della cultura negi anni. Non so se in meglio, credo di no... Ad ogni modo rileggerei questi articolo sulle note di Satie, Gymnopedie n.1. Un grazie immenso ancora.

Pietro Martini

13 giugno 2024 15:01

La ringrazio molto per il suo commento e per l'apprezzamento che così cortesemente ha rivolto al mio articolo.

Alberto Raimondi

28 agosto 2024 07:17

Ricordo degno della persona, che ricordiamo con tanta stima anche al Salotto Letterario di Lodi, che l'ha avuta collaboratrice in alcune sue pubblicazioni.