"Around Bach": Alexander Lonquich chiude la rassegna pianistica all'Auditorium tra realtà e poesia
Si è conclusa in grande stile la rassegna “Around Bach”, nuova appendice dello StradivariFestival dedicata alla musica pianistica.
Sono pochi i pianisti di oggigiorno che possono definirsi interpreti completi, o meglio, artigiani dell’interpretazione, e sicuramente Alexander Lonquich, protagonista della serata, è tra questi. Le sue letture sono da sempre acclamate per la lucidità e la trasparenza con cui il testo musicale viene reso e stasera ne abbiamo avuto una grandiosa riprova.
Un programma accattivante che ha proposto alcuni dei capolavori più amati della letteratura tastieristica tedesca composta tra il secondo ‘700 e il primo ‘800 in cui Lonquich si è trovato perfettamente a proprio agio: non soltanto prove di maestria tecnica ma soprattutto spessore musicale derivante da una ricerca che è andata ben oltre la restituzione sonora della partitura.
Tre autori e tre microcosmi messi a nudo da un solo interprete e proposti in ordine cronologico per consentirci apprezzare nell’arco di un paio d’ore i cambiamenti della scrittura per tastiera e delle forme musicali avvenuti nell’arco di pochi decenni.
Il turbinio di eventi sociali e culturali avvenuti in Germania tra le generazioni di Carl Philipp Emanuel Bach e di Robert Schumann (passando per quella di Beethoven) è stato illustrato in maniera perfettamente intelligibile sotto i nostri occhi e le nostre orecchie.
In apertura la Sonata Wq 65/47 di Carl Philipp Emanuel Bach (1714 - 1788), forse il più noto dei figli del Kantor di Lipsia nonché personaggi di spicco nella transizione tra la musica barocca e quella classica.
Un brano di carattere piuttosto estroverso e spensierato e ciò si è percepito già dalle prime note dell’Allegro iniziale. Ogni abbellimento è stato finemente cesellato facendo fluire queste note un po’ cortigiane in maniera naturale. Espressivo il secondo movimento, a tratti un arioso operistico che si è immediatamente allacciato al sobrio Andante conclusivo.
Secondo brano in scaletta una delle composizioni più rappresentative del Bach di Berlino, la Fantasia Wq 67. Lonquich si è perfettamente appropriato della prassi esecutiva del tardo Settecento facendo rivivere questa piccola perla: linee melodiche spezzate, cromatismi, armonie dissonanti ed evasive sono solo alcuni dei tratti emersi in questa fantasia che mostra un lato più cupo ed intimo della musica di Carl Philipp Emanuel.
Un timbro ricco e scelte musicali “sul filo del rasoio” hanno restituito a questi brani una patina più verace e autentica. Notevoli i silenzi oltre che le raffinatezze sonore.
A conclusione della prima parte la Sonata Op. 109 di Beethoven, prima delle ultime tre del catalogo del compositore. Anche qui un mondo che si dischiude. La maestria del pianista è emersa ancora una volta la resa precisa, espressiva e profonda di un brano blasonatissimo che spesso viene sovraccaricato di nuance fuori luogo.
Dal mondo esteriore e cortigiano di Carl Philipp siamo passati a un ambiente etereo e metafisico in cui la musica vive per sé stessa.
L’esecuzione è stata unitaria, coerente e al contempo coinvolgente. Le forme musicali racchiuse in questo capolavoro sono state valorizzate e lette con estrema intelligenza: dagli antichi contrappunti pre-bachiani alla più recente Forma-Sonata passando per le variazioni (fil rouge delle produzione degli ultimi anno di Beethoven), ognuno di questi elementi è emerso dall’intricata scrittura pianistica e ha brillato candidamente.
La limpidezza del tocco e la chiarezza della visione musicale sono state le armi vincenti: un perfetto equilibro fra teoria e pratica.
L’arte europea al suo apice, la mente umana che trascende e riesce ad esprimere ciò che normalmente sarebbe inesprimibile, questo è l’ultimo Beethoven che abbiamo ascoltato.
Molto audace ma altrettanto gradita l’insolita scelta di eseguire tutte e otto le Novelletten Op. 21 di Robert Schumann, uno degli autori prediletti da Lonquich.
Normalmente questa lunga raccolta viene proposta in una versione ridotta sia a causa delle sue voluminose dimensioni (circa quaranta minuti di musica) che per l’unitarietà del carattere del brano che in genere spaventa tanto gli interpreti quanto il pubblico.
A differenza di pezzi più celebri come la Kreisleriana Op. 16 e la Fantasia Op. 17 l’autore preferì comporre brani più distesi e brillanti a sottolineare momenti di gioia vissuti assieme a Clara.
L’ottimismo che intercorre tra le varie sezioni non è tuttavia spensierato: emergono momenti bui e uno humor tetro non troppo velato.
La varietà di forme musicali e le sottili sfumature stilistiche fanno anche di questa composizione un microcosmo vivido e appassionante.
Lonquich è stato in grado di far emergere una varietà squisita e caratteri cangianti quasi fossero dei personaggi di qualche romanzo: il brano ci è stato narrato quasi fosse un’opera letteraria, impossibile non rimanere ammaliati.
La franchezza del linguaggio non è mai stata tradotta in maniera volgare o sguaiata, ogni brano, ogni mattone di questa incredibile costruzione, è stata caratterizzato con dovizia di dettagli.
L’ascolto integrale di questo pezzo, di per sé una rarità, ha convinto il pubblico che ha risposto entusiasticamente. Tra i fuori programma una travolgente Valse di Scriabin.
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