A proposito di dazi americani. Anni Trenta, quando impedivano l'arrivo di violini da Cremona e legni pregiati. La protesta dei liutai americani
Quello che proveremo a raccontare oggi racchiude tantissime cose; storia, passione, commercio, guerra economica e, volendo viverla fino a fondo, è in grado di spiegare uno spaccato della società divisa tra la bellezza di un prodotto e i limiti imposti per poter godere di quella bellezza. Abbiamo bisogno di due persone per poter raccontare questo passaggio due persone che, verosimilmente, non si conoscevano neppure ma che hanno condiviso la stessa passione e le stesse limitazioni, due persone che avevano lo stesso amore segnato, però, da enormi problemi per poterlo vivere in pieno. L'ambientazione è quella degli Stati Uniti poco dopo il crollo della borsa del 29 ottobre 1929, una data destinata a cambiare la storia di quello Stato, ma non solo, per i venti anni successivi. Quel giorno il mercato borsistico cadde a precipizio trascinando con sé immense somme di denaro, un po' come accade oggi, lasciando senza lavoro e facendo finire sul lastrico milioni di statunitensi. Il mutamento repentino delle disponibilità economiche cambia anche le priorità di ogni singolo cittadino, se prima poteva essere importante acquistare un certo bene dopo quel 29 ottobre la priorità, in molti casi, è la mera sopravvivenza.
Samuel Stochek viveva a New York in quel periodo, prima faceva un altro lavoro ma la sua vita erano i violini, la sua storia l'abbiamo già raccontata ed è quella di una persona la quale, amando il suono degli archi più di ogni altra cosa, andava in giro per la città recuperando pezzi di legno dagli edifici abbattuti alla disperata ricerca di materiale che, una volta lavorato a dovere, potesse offrire un suono apprezzabile. Samuel non era un liutaio con curriculum, non commerciava violini ma viveva la sua passione cercando di adattarsi ai tempi di vacche magre che lo circondavano, tempi segnati da quel 29 ottobre ma anche dalle limitazioni degli anni '30 sulla importazione del legname idoneo per gli strumenti ad arco, strumenti che venivano semplicemente chiamati Cremona perché da quella città arrivavano i migliori prodotti al mondo. Divenne famoso dopo la Seconda guerra Mondiale il nostro Samuel, famoso perché la sua storia, raccontata dai più importanti giornali di allora, era quella di una persona che aveva deciso di vivere la sua passione e il suo mondo come un amore a distanza, un amore che non avrebbe mai potuto incontrare di persona ma che lo avrebbe accompagnato per sempre. Nei primi anni '30 i problemi legati al commercio con gli Stati Uniti erano acuti, con l'autarchia l'Italia del ventennio aveva bloccato, anche a causa di dazi su molti prodotti, il trasferimento del pregiato legname necessario per creare gli strumenti musicali. Ma i problemi commerciali non erano solo farina che arrivava dal sacco italiano, nel 1933 il neo presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, impose una politica isolazionista e protezionista nel suo paese con l'intento di sviluppare al massimo l'industrializzazione interna e uscire il più velocemente possibile dal dramma dell'ottobre 1929. In pratica tirava un'aria pesante per quei prodotti che venivano creati oltreoceano, e i violini erano parte di quelli. Julius D. Horvath era, a differenza di Samuel, un liutaio di New York tutto d'un pezzo, i violini avevano rappresentato tutta la sua vita fin da adolescente e conosceva molto bene i prodotti cremonesi. Con oltre 40 anni dedicati alla lavorazione artistica o riparazione degli strumenti musicali il mercato degli archi, per lui, non aveva praticamente segreti. Ma in quel 1933 Julius, spinto dalle limitazioni che arrivavano dalla Casa Bianca, sbrocca di testa e si inferocisce nei confronti delle politiche commerciali che Roosevelt aveva deciso di portare avanti a tutti i costi; con un foglio di carta intestata e la sua macchina da scrivere si rivolge al New York Times e al Dipartimento del Commercio di Washington. Il tono della lettera è perentorio, per Julius lo slogan statunitense “Comprate prodotti americani” era, nel caso dei violini, fallimentare. La scuola di liuteria statunitense non aveva le caratteristiche e le competenze professionali per poter confrontarsi con quella europea e, soprattutto, era in netta e assoluta minoranza rispetto a quella cremonese, tanto che, con l'ulteriore limitazione sulla importazione del legname i liutai statunitensi erano, in pratica, professionalmente finiti, i violini Made in Usa, tirando le somme, non li voleva quasi nessuno. Il mercato dei violini americano continuava ad importare, a anche a caro prezzo visti di dazi, strumenti fatti in Europa e soprattutto a Cremona, per il semplice motivo che questi ultimi erano sinonimo di una qualità superiore. In pratica il mercato, o la legge della domanda e dell'offerta, viveva ancora, come vivrà sempre fino a quando esisterà questa semplice regola, sul concetto che se un prodotto è valido non risente di dazi o limitazioni. Semplice, diretto, storicamente ed economicamente innegabile. Ma Julius amava quello che faceva, capiva bene che quell'amore si stava erodendo ed allontanando più per la politica che neanche per il lavoro in se stesso e, nella sua accorata lettera, propone una soluzione per aiutare i liutai statunitensi ad ottenere prodotti qualitativamente più vicini a quelli cremonesi. Sui quotidiani statunitensi la notizia è ciclica come l'arrivo di un anno bisestile, almeno ogni quattro o cinque anni parte un servizio speciale rilanciato a grancassa in tutto il paese su come un chimico, un liutaio, un ingegnere o un ragazzino che combinava disastri con colori e resine fosse riuscito a scoprire il segreto della vernice dei violini cremonesi più famosi. Julius faceva, in maniera forse più importante di tanti altri, parte di questo corposo gruppo, dato che lui, a suo dire, era stato in grado di scoprire e di trascrivere il segreto della vernice dei violini cremonesi. Sì, va bene caro Julius, buonanotte a te e tanti saluti a tutta la compagnia cantante, se sulla parte commerciale aveva tutte le ragioni del mondo la soluzione prevista non era di certo ottimale, per i liutai statunitensi era di certo meglio cercare di tornare a miti consigli con Roosevelt, infatti la formula di Julius si rivelerà, al pari di quelle precedenti ma anche di quelle future, totalmente inutile. Ma la soluzione proposta da Julius era figlia di una passione che l'aveva accompagnato per tutta una vita, una passione che il liutaio ha visto sfiorire in pochi per motivi ben diversi da quelli legati al suo lavoro, passione che aveva raccontato anche con libri e scritti. Samuel e Julius hanno saputo rappresentare, su lati opposti dello stesso tavolo, non tanto il mondo dei violini quanto quello di una passione verace, propria e unica, quella di legare parte della propria vita, e gli avvenimenti che l'hanno circondata, ad una bellezza unica ma quasi irraggiungibile.
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