1 giugno 2021

Criminalità, leggi obsolete, scarsi controlli, carenza di personale: ecco come i fanghi contaminati sono arrivati anche sui nostri campi

Eccesso di burocrazia, lacune normative e carenza di controlli a cura di organismi pubblici a tutto beneficio del sistema di autocontrollo del privato. Al netto della condotta criminale dei vertici dell'azienda bresciana Wte Srl con la complicità di alcuni agricoltori – perché di questo si tratta, anche alla luce delle indagini e delle intercettazioni – la vicenda dei fanghi contaminati sparsi su terreni agricoli in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna affonda le sue radici in un contesto normativo obsoleto e in meccanismi di controllo non adeguati. A questo si aggiungono carenze di organico dell'ARPA (regionale e bresciana in primis) e degli uffici preposti ai controlli ambientali nelle amministrazioni provinciali.

E' in questo contesto che va inquadrata la gravissima vicenda scoperchiata dalle indagini dei Carabinieri che hanno permesso di accertare come la Wte Srl avrebbe raccolto nel tempo qualcosa come 150.000 tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altri inquinanti, per poi rivenderle come fertilizzanti smaltiti su circa tremila ettari di terreni. E c'è più di un motivo per ipotizzare che alcuni di quei terreni agricoli sui quali sono state sversate le sostanze inquinanti si trovino nel cremonese: un “contoterzista” (ossia un intermediario) tra la Wte e alcuni agricoltori che hanno accolto i fanghi è del cremonese (Castelvisconti, da quanto emerso). E' invece ancora da appurare se quei fanghi possano essere stati in parte raccolti (per poi essere “trattati” dalla Wte) anche da impianti situati nella nostra provincia.

Per fare il punto su questa vicenda ci siamo rivolti al dottor Fabio Denicoli, presidente provinciale dell'Ordine dei Dottori Chimici nonché direttore tecnico della L.A.C. Srl (Laboratorio di Analisi Chimiche) con sede a Cremona, che ci ha rilasciato l'intervista che segue.

Dottor Denicoli, conosceva già la Wte Srl prima che si guadagnasse l'attenzione dei media nazionali?

“Mi permetta una premessa: per questa intervista svesto i panni del laboratorista della L.A.C. e parlo come chimico, diciamo come presidente uscente (sorride; ndr). Detto questo, sì, faccio questo mestiere da 35 anni e ne ho parlato anche con i colleghi di altre province. Questa azienda da noi è stata messa alla porta da almeno due anni”.

Se ne conoscevano i metodi?

“Diciamo che il suo ambito di attività è piuttosto borderline a causa di un vuoto normativo e che segnalazioni da parte di cittadini del bresciano ce ne sono state, come ha riportato anche la stampa”.

Cosa intende con “vuoto normativo”?

“Voglio dire che il problema sta a monte. Vede, lo smaltimento dei fanghi biologici è un problema. I fanghi altro non sono se non il residuo di acque di depurazione e non possono essere trattati semplicemente come rifiuti, così, nel 1991 la legge ha trovato un modo per far sì che queste sostanze possano essere inviate al recupero agronomico come apportatori di fertilizzante per i terreni. Attenzione: in questo la normativa è puntuale e anche pressante, sia dal punto di vista dei controlli che da quello delle sanzioni. Il punto è che i fanghi prodotti, gestiti e recuperati sono sempre classificati come rifiuti e ne consegue che si applica la relativa normativa. Per essere recuperabili i fanghi devono presentare bassi livelli di metalli pesanti. Poi devono essere stabilizzati, ossia tecnicamente infermentescibili, cioè non devono dare luogo a fermentazione. Infine devono essere limitati al minino i patogeni, a partire da Salmonella ed Escherichia Coli. Chi produce e smaltisce questa tipologia di rifiuti deve rispettare tassativamente queste indicazioni”.

In questa vicenda si parla però anche di gessi di defecazione.

“Sì, questi sono sottoprodotti assimilati ai fertilizzanti e sono sottoposti alla relativa normativa, che è meno pressante rispetto a quella in vigore per i rifiuti. Se mescolo ai gessi le sostanze organiche (ossia i fanghi) ottengo il cosiddetto gesso di defecazione, che non è considerato un rifiuto. Se per la distribuzione dei rifiuti sui terreni occorrono specifiche analisi, questi vincoli non sussistono per i gessi di defecazione”.

Due normative distinte, in sostanza...

“Sì, chi produce gessi di defecazione deve avere un'autorizzazione provinciale e deve essere in grado di dimostrare la filiera (la tracciabilità; ndr) che ha prodotto i fanghi. Chi segue tutta questa procedura, in sostanza, fa una cosa consentita dalla legge. Se invece non si ritirano i fanghi giusti, se non sono rispettati determinati parametri... beh, si arriva a quello che è successo”.

Cosa intende per “fanghi giusti”?

I fanghi provengono dall'acqua di scarico delle aziende. Se si resta in un ambito civile, ossia se i fanghi sono prodotti da depuratori urbani, è una cosa. Ben diverso è se i fanghi hanno natura industriale”.

E arriviamo alla vicenda emersa in questi giorni...

“I malavitosi, purtroppo, esistono in tutti i settori. Riguardo alla Wte, gli odori molesti che i cittadini avvertivano da tempo erano certamente un segnale”.

Ma come ha potuto prosperare questo sistema così a lungo?

“Il problema principale è normativo: molto è demandato all'autocontrollo di chi opera nel settore. In altre parole, chi opera in ambito ambientale deve autocontrollarsi”.

Ma l'ARPA e la Provincia allora che compito hanno?

“In base alla normativa, controllano la documentazione fornita dall'azienda e, una tantum, una volta l'anno ad esempio, devono fare campionamenti e analisi dirette. Lei capisce che questo è un grosso limite”.

Come no. Un limite consentito però dalla legge vigente...

“Esatto. A questo aggiungiamo che sia all'ARPA che in Provincia (in questo caso l'ente Bresciano; ndr) mancano persone, c'è carenza di personale. Sarebbe opportuno che ARPA e Provincia avessero più persone per effettuare controlli più frequenti e più incisivi. A patto, ovviamente, che sia la normativa stessa a imporre maggiori controlli. Adesso abbiamo a che fare con una legge del 1991 e va bene che è stata in parte aggiornata, ma un adeguamento normativo sarebbe necessario. C'è una cosa, vede...”.

Dica...

“Dà quantomeno fastidio che in Italia, per partire con un'attività, ci sia da affrontare un iter burocratico eccessivo. Poi, quando arrivano le autorizzazioni, i controlli sono limitati e tutto si basa sull'autocontrollo. Insomma, la fase istruttoria è un lavoro mastodontico, che succhia risorse vitali agli enti pubblici, poi si va in autocontrollo”.

Tutto molto all'italiana. Senta, ritiene possibile che parte dei fanghi contaminati siano stati sparsi su campi del cremonese?

“E' possibile, sì. Uno dei contoterzisti è del cremonese. E' di fatto un intermediario tra l'azienda (la Wte; ndr) e gli agricoltori. Certo, poi ci sono agricoltori e agricoltori. Sicuramente, quello che un agricoltore può fare è prendere il materiale che gli viene proposto e farlo analizzare. In questo modo sa per certo cosa compra. In tutto questo credo che le associazioni di categoria possano fare molto. Possono fare formazione ai loro iscritti, informarli, metterli nelle condizioni di difendersi. Agronomi, chimici, geologi fanno corsi, ci mettono del loro per divulgare le cosiddette buone pratiche. Purtroppo non tutti raccolgono e molti sono... diciamo pigri”.

Al di là di quello che si è appreso dall'inchiesta, ha idea di cosa ci sia in quei fanghi e come sia andata dal punto di vista pratico?

“Da quello che sappiamo quei fanghi contengono metalli pesanti e idrocarburi. Potrebbero esserci anche fanghi di natura industriale ma spero vivamente che non sia così. Per quanto riguarda la procedura le posso dire che per i fanghi, venti giorni prima dello spandimento vanno avvisati Conune, Provincia e ARPA, quindi la tracciabilità c'è e se ne capirà di più. Quanto ai gessi è diverso: questi arrivano solo con un documento di trasporto ed è più difficile ricostruirne la tracciabilità. In sintesi: per i fanghi credo che il percorso potrà essere ricostruito, mentre per i gessi la vedo più difficile”.

Recentemente il consigliere regionale Degli Angeli (5 Stelle) ha scritto ai sindaci del territorio chiedendo maggiori controlli. Che ne pensa?

“Che dovrebbero farlo ma in realtà non è così semplice. Quando l'ARPA esce per un controllo ufficiale (ad esempio perché sollecitata a seguito di indagine; ndr) i costi delle analisi sono a carico dell'azienda controllata. Ma se l'ARPA la chiama il sindaco, poi la paga il Comune, e le analisi sono costose, mi creda. Per questo dico che sì, il sindaco può attivarsi, ma non è una cosa né gratuita né immediata”.

E il cittadino cosa può fare?

“Se il cittadino ha sospetti può fare segnalazioni ed esposti. Può rivolgersi all'ARPA, che ha l'obbligo di fare verifiche, ma può rivolgersi anche agli uffici ecologia di Comune e Provincia. In ultimo, può fare denuncia alle autorità preposte: Carabinieri, Polizia Locale, attivare associazioni come Legambiente... Ma il punto è sempre quello: bisogna prevenire e per farlo servono semplificazione normativa e aumento dei controlli”.

 

Federico Centenari


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