2 maggio 2025

Malongola, la cascina paese oggi abbandonata dove resta la chiesa di Sant'Anna: è stata depredata dai ladri, che nel tempo hanno fatto scempio di quell'oratorio che custodiva quattro tele di Ricchetti

 

Della storia della chiesa della Malongola ho già scritto su queste pagine (leggi qui) e nel mio libro ‘La fede e l’aratro’. Ma oggi voglio tornare a parlare di questa cascina e di questa chiesetta.

Territorio di acqua e storia

Siamo nei pressi di Malagnino, in un territorio la cui toponomastica è influenzata dalla presenza dell’acqua: Sette Pozzi, S.Lucia Lama (‘lama’ è il termine ricorrente che indica la presenza di acqua stagnante o che scorre lentamente) e anche Malongola, che non è altro che la contrazione in un solo termine di lama longula.

E proprio nelle terre di Malongola, sarebbero stati trovati gli unici (ad oggi) reperti archeologici di età romana, anche se qui i primi insediamenti risalirebbero addirittura all’età del bronzo; nei documenti troviamo traccia già dal 1150 e di nuovo nel basso medioevo, nel 1387 quando il “commune Malongole” era citato tra quelli che non superavano le dieci famiglie, pertanto la zona era in realtà un nucleo scarsamente abitato.

Dunque, origini antiche e acqua a caratterizzare la zona; qui nel ‘700 era già presente un importante mulino sul canale Gambalone, che scorre a lato della cascina; era un edificio di notevoli dimensioni ed aveva addirittura due ruote, ma negli anni settanta, ormai fatiscente, venne abbattuto.

Ma torniamo alla Malongola, quella enorme cascina che si vede in fregio alla via Postumia, una di quelle che si possono definire “cascina paese” per il grande numero di famiglie che vi abitavano e perché al suo interno si potevano trovare botteghe e attività per il sostentamento dei suoi abitanti. Pure la chiesa c’era alla Malongola e oggi rimane ancora questo imponente edificio sulla cui facciata campeggia una lapide con incisa una data, 1696, presumibilmente l’anno di costruzione dell’edificio o, quanto meno, la data dell’ultima eventuale ristrutturazione perché non è da escludere che, date le origini antiche della cascina e della zona, lì vi fosse già un altro luogo di culto prima del XVII secolo.

Dal ricco passato al triste presente  

Ad ogni modo, in questa sede parleremo -dopo il doveroso accenno storico- dell’attualità della chiesa della Malongola, dedicata a Sant’Anna. Oggi è chiusa al pubblico ma per l’occasione ci facciamo accompagnare da chi ha in custodia la cascina ed entriamo in quel mondo fuori dalla frenesia e lontano dal traffico che è questa cascina: una grande corte circondata su un lato dalle case coloniche di recente ristrutturazione e sugli altri due dai suggestivi e maestosi porticati mentre a nord, in fregio alla ferrovia, le stalle nuove e i locali di mungitura. Ovviamente oggi tutti in disuso.

Ma questo non ci stupisce più di tanto, non è certo Malongola l’unica cascina a soffrire l’abbandono dopo lo spopolamento delle campagne a metà del secolo scorso. Quello che fa veramente male da vedere è dentro la chiesa, dove dopo essere entrati viene alla mente una sola parola: scempio.

Passiamo dalla sacrestia perché il portone è stato bloccato per evitare intrusioni e ci troviamo subito davanti la piccola navata deturpata dal saccheggio e dalla devastazione di chi, cercando di rubare ed arraffare più oggetti preziosi possibile, non ha esitato a rompere, strappare, abbattere.

Le due balaustre di marmo, dopo il tentativo evidentemente non riuscito di essere strappate dalla loro sede, sono state rotte e abbattute sui primi banchi; dall’altare è stata rubata la tela che rappresentava la scena di Sant’Anna, patrona della chiesetta: al suo posto resta solo la cornice, buttata in un angolo mentre della tela -tagliata e portata via- non resta traccia; allo stesso modo sono spariti i quadretti delle stazioni della via crucis. Sul muro della controfacciata sono rimasti due buchi là dove erano incastonate le acquasantiere in marmo, strappate pure queste dalla loro sede

Fortunatamente alcuni anni fa la professoressa Liliana Ruggeri aveva scattato alcune foto dell’interno della chiesa (alcune in gallery), quando era ancora in ordine e non era ancora stata profanata; questa è l’ultima immagine di quella pala d’altare. E come se non bastasse, da quell’altare è persino stata scardinata la porta d’oro del tabernacolo, strappata dalla piccola edicola.

Qualcosa si è salvato

Si sono invece salvati quattro ovali di grandi dimensioni raffiguranti i quattro evangelisti -firmati dall’artista piacentino Luciano Ricchetti-, ma solamente perché erano stati portati al sicuro in custodia nella vicina villa Schizzi-Cavalcabò del XVII secolo, in località Ca’ de Marozzi, che fa sempre parte della proprietà dell’azienda della Malongola.

Proprio in questa villa troviamo ancora una piccola cappelletta, ricavata da una stanza all’interno della magione stessa, dove i signori facevano celebrare la messa; qui è stato allestito un semplice altare sovrastato da una tela rappresentante la natività e un antico inginocchiatoio mentre due colonne marmoree sovrastate da una trave completano l’allestimento, separando la zona sacra dal passaggio nel corridoio tra una stanza e l’altra. In questa cappelletta hanno trovato riparo alcune delle statue lignee che erano presenti nella chiesetta, come quella di Sant’Antonio da Padova, oltre agli antichi messali e libri di preghiere che un tempo venivano utilizzati per le celebrazioni.

Almeno questi si sono salvati e sono stati messi al sicuro e custoditi con dignità e cura anche se non più utilizzati.

Alla Malongola invece restano solo quelle suppellettili ritenute di poco valore dai vandali e dai ladri che, probabilmente in più riprese, hanno fatto irruzione depredando il possibile; in quella graziosa chiesa, la luce filtra dalle vetrate colorate, disegnando raggi nell’aria polverosa che si appoggia su pavimenti, banchi, altare in una coltre silenziosa che copre mestamente ogni oggetto segnando lo scorrere del tempo. Su quei muri e sulle alte volte restano piacevoli decori che ingentilivano le pareti mentre nell’alto e slanciato campanile resta una campana, oggi muta, ma che un tempo scandiva le ore, segnava le messe e le celebrazioni e rappresentava il baluardo di quella cascina tanto grande e brulicante di vita da essere quasi un paese.

 

 

 

Michela Garatti


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commenti


Vanna

2 maggio 2025 08:24

Stringe il cuore sapere com'erano questi luoghi e vedere oggi come sono.
Grazie perché anche attraverso questi racconti ne tenete viva la storia e la memoria.