Quando Cremona festeggiava il Carnevale. Da quello di "Bagonghi, Camél e Candegìina", a quello del quartiere del vecchio ospedale e ai Màascher
C'era una volta il Carnevale a Cremona. Quello che riempiva le strade, le piazze. Una grande festa con tanta gente. Quello più vecchio che portava migliaia di persone in giro per Cremona con Bagonghi e Camèl soppiantato settanta anni fa dall'arrivo in tv di "lascia o raddoppia". Resistevano alcuni rioni cittadini con il loro Carnevale come il Boschetto o la zona del vecchio ospedale. Il Carnevale di piazza Giovanni XXIII era il carnevale dei bambini che ha fatto da preludio alle edizione de "I Màascher" che per diversi anni hanno animato i carnevali cittadini grazie alla collaborazione tra volontari, Anfffas, comune e oratori. Per diversi anni la manifestazione è stata annunciata da un manifesto disegnato da un artista cremonese. La sfilata di Carnevale era il martedì grasso con la grande parata sui corsi cittadini e l'arrivo in piazza Duomo. Ecco come alcune generazioni (le foto sono del 1955) addietro i cremonesi si divertivano nel racconto di Giorgio Bonali.
Il 17 marzo 1955, giovedì di metà quaresima, il grande slargo di Porta Romana ha ospitato quella che sarà l’ultima vera manifestazione del car- nevale cremonese: il processo, l’impiccagione ed il rogo della “strega”, popolarmente la “vécia”.
In altri tempi il carnevale di Cremona aveva grandi giornate con sfilate di carri e manifestazioni varie, arricchite da messinscene pittoresche; l’ultimo tentativo di ricuperare il carnevale era avvenuto nel 1946, quasi a testimoniare la volontà di riprendere tutto come prima e dimenticare gli anni drammatici della guerra: ma era stato un fuoco di paglia.
Veglioncini e veglioni.
Nel 1955 resistevano ancora i veglioncini dei bambini, oltre a quello tradizionale del Filo c’erano anche quelli del Leonardo e dell’UOEI, con classifiche sull’eleganza dei costumi regolarmente pubblicate sul giornale locale; e guai se non erano precise e complete: i genitori che non trovavano citati i loro figli, chiedevano puntuali rettifiche.
Erano inoltre gli anni dei grandi veglioni e l’ultimo giorno di carnevale aveva visto svolgersi l’ormai tradizionale “Veglione della Stampa” al palazzo dell’Arte nella famosa sala da ballo Odeon, con l’elezione della “Stellina della Paramount”; la festa era stata naturalmente molto pubblicizzata nelle cronache, con molti premi omaggiati dalle ditte cremonesi che vedevano così citato, “per riconoscenza”, il loro nome sul giornale.
Non era mancato all’appuntamento anche il “Veglione mascherato del Ponchielli”, con un successo molto legato alle vere o presunte trasgressioni possibili nei vari anfratti, palchi, quinte e camerini, di un teatro destinato normalmente all’opera lirica: questa fama si era creata negli anni, crescendo di peso nei vari passaparola, ed era argomento di maliziose battute che si scambiavano tra la clientela in attesa dal macellaio o dal fornaio: ancora pochi possedevano in casa il frigorifero, per cui alcuni generi come il pane e la carne, dovevano essere acquistati freschi ogni giorno.
Luogo privilegiato d’incontro e chiacchiere sembra essere stato per molti anni il negozio del macellaio Campanini, detto “Strilla” e conosciuto soprattutto come il “cantante”, con una squillante voce che si sentiva ben lontano dal suo negozio di via Lombardini e che le donne ascoltavano volentieri nell’attesa di essere servite; i giovanissimi poi fantasticavano sulle chiacchiere in circolazione perché avevano il sapore del proibito.
Era entrato nella tradizione anche il “Galà di carnevale” dell’hotel Continental che riusciva ad accogliere ben oltre il centinaio di persone in un ambiente elegante, per cene di qualità, accompagnate dalla musica eseguita in taverna.
Il giovedì grasso, quello che precede l’ultimo giorno di carnevale, destinato a gran festa all’aperto per i bambini, nella sosta scolastica appunto del giovedì, era stato disturbato da una nevicata che sembrava volersi sostituire ai coriandoli normalmente lanciati in quantità dai ragazzi, possibilmente fra i ricci o, ancora peggio, in bocca alle ragazze per “punirle” del troppo chiacchierare.
Corteo per le vie della città. Il rito si svolgeva il giovedì di metà Quaresima.
Alla sfilata seguiva il processo, la condanna delle “vécia” e l’impiccagione
Resisteva la tradizione veramente popolare, e dura a morire, del “rogo della vecchia”, diffusa nei vari paesi e che in città esisteva ancora a livello dei rioni di S.Bassano e S.Imerio dove il giovedì di metà quaresima si predisponeva la catasta con la legna fornita dagli abitanti e che comprendeva mobili rotti, cassette per la frutta e tutto il legname di scarto che per una volta veniva sacrificato dal normale uso casalingo nella stufa, per questo rogo sul quale si bruciava il fantoccio della “strega”.
Anche il “rogo” di porta Romana, gestito alla grande da un Comitato cittadino sotto l’egida dell’ENAL e rivolto alla raccolta fondi per l’AVIS di Cremona, era entrato nella tradizione; lo slargo di quella “porta” era di tale grandezza e accessibilità, da permettere l’afflusso di grandi folle.
In quegli anni abitavo in Via XX Settembre, non riuscivo ancora a chiamarla pomposamente “corso”, e quanto succedeva a porta Romana non poteva essermi estraneo; ricordo bene la particolare serata del 1955 ed in mezzo alla marea di gente che si vede nella splendida fotografia dei Faliva, c’ero anch’io.
I commercianti del quartiere si erano dati da fare con vetrine ben addobbate che presentavano il meglio dei prodotti in vendita, quasi a mostrare la volontà di risveglio per un rione della città considerato morto.
I personaggi che animavano questa serata speciale erano tutti cremonesi, alcuni divenuti vere e proprie “maschere” della città, generose nel prestarsi per far divertire i loro concittadini: lo erano soprattutto quando bisognava portare un po’ di serenità agli anziani dell’ospizio.
Camél, Bagonghi e Candegìina
Verso le cinque del pomeriggio i protagonisti della manifestazione si sono dati convegno sul piazzale della stazione già abbigliati come previsto dal “copione”: in testa a tutti come direttore del corteo, c’era Renzo Schiavi, conosciuto da tutti col soprannome di “Camél”, vestito da gentiluomo con in testa la bombetta e di traverso una fascia con la scritta “Viva l’Avis”: era un ex dipendente della SEB impegnato a lubrificare gli scambi dei tram elettrici, fino alla loro sostituzione coi filobus, e successivamente addetto al piccolo commercio ambulante durante il quale attirava i clienti con atteggiamenti comici e pittoreschi; dietro a lui, mascherato e con in mano una “enorme” mannaia da boia, Emilio Andreotti, universalmente chiamato “Bagonghi”; seguiva la vecchia strega in cartapesta che sembra fosse sostenuta da un altro personaggio, famoso per il piccolo commercio di dolciumi, Cirillo Mezzadri da tutti riconosciuto semplicemente come Cirillo, o popolarmente “Minéestra”, che si alternava nel compito con Celeste Ghiraldi che faceva anche il banditore; a fianco della strega, i due gendarmi “napoleonici” Tommasini e Vitali la tenevano con delle catene.
Seguiva questa parte del corteo la macchina sonora di Walter Gorno per diffondere, quando funzionava, una selezione di musiche bandistiche e poi una macchina nera con piccolo cassone aperto e ornata dalla bandiera dell’Avis di Cremona, che trasportava i giudici in nero, pronti per formare il tribunale che doveva condannare la “vecchia strega”; ai bordi della strada molti cremonesi guardavano incuriositi e sembrava volessero accodarsi al corteo.
Le due bellissime fotografie che hanno ritratto questa fase della festa, sono state scattate in corso Vittorio Emanuele poco dopo il teatro Ponchielli e mostrano i segni di un luminoso tramonto, che prometteva una splendida serata.
Dopo il corteo i protagonisti ritornavano negli abituali abbigliamenti che li avevano resi famosi come “maschere cremonesi”, pronti per un giro propagandistico sulla carrozzella di servizio pubblico del famoso Politi, l’ultimo “brumista” cremonese, con soste nei punti più affollati della città.
Li vediamo sempre circondati da una folla che li interpella lanciando battute che provocano risposte prevedibili in uno schema di umorismo, a volte un po’ “grasso”, ma collaudato nel tempo: i gesti, gli sguardi e i sorrisi di quelli che fanno ala al loro passaggio, lasciano immaginare “il sonoro” del dialogo.
Una sosta importante davanti al Cittanova con Bagonghi e Camél che tengono desta l’attenzione, un tragitto lungo corso Garibaldi col Politi in una divisa perfetta e il suo cavallo infiocchettato e infine una lunga sosta a porta Venezia davanti all’Hotel Continental, forse allora si chiamava ancora Gallina, sicuramente per volontà di Bagonghi di farsi vedere dal signor Enrico, suo compagno di banco a scuola.
In una di queste ultime fotografie compare un nuovo personaggio con baffetti ben curati, vestito di “elegante miseria” ma con farfallina, in testa la bombetta, un fiore all’occhiello della giacca e il bastone da passeggio portato con noncuranza: non sono riuscito a trovare riferimenti certi per indicarne il nome; su questo personaggio, per il quale ho interpellato alcuni anziani di Sant’Imerio che conoscevano bene tutti gli altri, ho avuto l’incerta versione che i trattasse di “Candegìina”, tradizionalmente facente parte del trio con Bagonghi e Camél.
La morte di Bagonghi padre
L’anno successivo, siamo all’inizio di febbraio 1956, il freddo raggiunge livelli record toccando per più giorni i meno 15 gradi e il Comitato per l’organizzazione della festa di metà quaresima viene rattristato dalla notizia che, all’età di 69 anni nella sua casa di via Aporti, il mattino del giorno 3 è morto il popolare Bagonghi cremonese, Renzo Andreotti, padre di quello che era stato protagonista nella festa dell’anno precedente, con lo stesso nome d’arte.
Ho scritto Bagonghi cremonese in quanto è il nome che molti nani assumevano entrando nel mondo del circo, anche se c’è chi afferma che il nostro sia stato il primo e che grazie al suo successo, tutti quelli che seguirono nel mondo circense abbiano voluto assumere lo stesso nome. Comunque sia, per i vecchi cremonesi esisteva solo lui con la sua agilità e la freschezza perenne delle sue trovate, che avevano fatto divertire grandi e piccini in tutta Europa. La storia della sua vita racconta come stesse girando il mondo col circo Krone, che in quel momento si trovava a Brescia, quando il circo Gatti, che lavorava al Politeama di Cremona senza successo, sia riuscito ad ottenere come prestito Bagonghi per risollevare le sue sorti ed era la prima volta che i cremonesi, che tanto ne avevano sentito parlare, potevano godere ed entusiasmarsi per la sua bravura. Renzo aveva avuto molto coraggio quando, sin da bambino, aveva deciso che per riuscire nella vita con la sua intelligenza ma con un corpo sgraziato, poteva solo entrare in un circo equestre; e il coraggio era stato necessario per vincere le riluttanze di un padre organista in Cattedrale e di uno zio materno Vescovo di Bergamo.
Ad un certo punto era partito riuscendo ad entrare nel circo Busch, uno dei più grandi del mondo, e farvi un trionfale debutto a Berlino; da allora il nome di Bagonghi fu conosciuto dai pubblici delle grandi città europee e sembra che altri cento clown si siano impadroniti del suo nome d’arte senza però mai superarlo in abilità. Passata in fretta la giovinezza, non fu più in grado di presentarsi con i numeri che lo avevano reso famoso. Tornò a Cremona povero come quando era partito e col carico familiare di cui faceva parte anche il figlio Emilio; si adattò così a vendere gelati, a custodire biciclette, a fare il lustrascarpe fino alla lunga malattia che lo ha portato alla cecità ed alla morte nella mattinata di quel freddissimo 3 febbraio 1956.
Lascia o raddoppia uccide la festa
Per il grave lutto, il figlio Emilio non era più disponibile ad esibirsi e poi una sorpresa attendeva gli organizzatori: la ormai celebre trasmissione televisiva “Lascia o raddoppia”, nata nell’autunno dell’anno precedente e trasmessa con enorme successo ogni sabato sera, a seguito delle proteste dei proprietari di teatri e cinema che vedevano rovinata la serata di maggior afflusso, veniva anticipata al giovedì, obbliga do gli organizzatori della festa, che nel frattempo erano diventati i giovani del Mappamondo, a spostarla il sabato successivo e in piazza Marconi, provocando le rimostranze del parroco della Cattedrale monsignor Boccazzi, per questo carnevale in piena quaresima.
Pensate che questa trasmissione di successo, durante la stagione lirica di carnevale, aveva costretto il teatro Ponchielli a installare un schermo televisivo sul palcoscenico, spostando l’inizio della Manon al termine della trasmissione.
Così la televisione aveva cominciato a mietere le sue vittime e finivano i tempi in cui ci si poteva divertire con nulla!
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commenti
Marzio
1 marzo 2025 13:56
Crema....carnevale
Pescarolo...carnevale
Cremona....delinquenza, cantieri, degrado, percezione sicurezza, decoro top....e altro ancora...
Ah non ricordavo....ora arriva il tedoforo....facciamogli fare la tangenziale....almeno gli evitiamo lo schifo del degrado.