1 novembre 2022

Giorno dei morti, giorno dei vivi

Due volte, da bambino, partecipai in campagna, ai funerali di un familiare: si trattava, in entrambi i casi di zie alle quali avevo voluto particolarmente bene. Ricordo le tante lacrime versate al momento definitivo, dopo la benedizione del sacerdote, con la chiusura della cassa; poi il lento corteo, la cerimonia abbastanza lunga nella chiesa gremita, di nuovo in corteo verso il cimitero, l’ultima benedizione prima dell’interramento ed il lento rientro verso casa.

Qui, in entrambe i casi trovai la sorpresa: una donna, parente della defunta era rimasta, e con l’aiuto delle vicine, aveva tolto ogni segno della camera ardente, apparecchiato una lunga tavolata, fatto cuocere i marubini nel brodo ottenuto dalla gallina che stava terminando di bollire e stappate numerose bottiglie di un nero lambrusco, proveniente dalla vigna che allora esisteva ancora vicino alla casa. A questo punto, col rigore della mia mente da bambino, non riuscii a capire come si potesse, dopo tanto dolore, sedersi a tavola per consumare un buon pranzetto, accompagnato da qualche bicchiere di vino genuino, e cominciare a parlare della morta ricordando i momenti belli vissuti in sua compagnia, con un tono che rasentava l’allegria. 

Solo più tardi mi resi conto come il funerale rappresentasse una delle poche occasioni nelle quali tutti i parenti si ritrovavano assieme, allora fra di loro nessuno possedeva l’automobile ed erano giunti tutti con una certa fatica utilizzando il treno: si avviava così una specie di rito consolatorio molto utile per superare il dopo, in assenza della cara persona appena sepolta. Credo che forme del genere siano state presenti presso tutte le civiltà, soprattutto in quelle contadine; mi risulta che in Alto Adige, ancora oggi, i funerali siano seguiti da un rinfresco organizzato presso un ristorante della zona ed ancora di più, i Cappuccini aprano la miglior bottiglia della loro cantina, quando muore un confratello.

Del resto anch’io, avendo potuto sostenere mio padre al momento del suo ultimo respiro, dopo che mia madre l’aveva guidato nel recitare la preghiera dei moribondi, ed avendo molto più tardi tenuto stretta la mano di lei nei suoi ultimi istanti, mi sono sentito consolato, convinto di averli aiutati a soffrire di meno. Così è per il giorno dei morti quando tutti, nei limiti del possibile, facciamo ritorno al paese d’origine, per pulire ed addobbare al meglio la tomba dei propri morti ed accendere un lumino, anche dove l’energia elettrica ha cercato di sostituirlo, quale segno di particolare pietà e di ricordo: in certi momenti, con il contrasto vivace del colore dei fiori, i cimiteri di paese sembrano diventare dei veri e propri giardini. Infine, nel primo pomeriggio tutti ci si ritrova vicino alle tombe dei propri cari mentre il sacerdote celebra la Messa; e non c’è differenza fra credenti e non credenti, perché ogni uomo sente il bisogno di partecipare, convinto di far così piacere al morto, non accorgendosi che fa del bene a se stesso, e si consola confrontandosi col dolore degli altri e provando il piacere di rivedere tanti conoscenti, con un appuntamento che va da un anno all’altro.

Ma allora mi chiedo: il due novembre è il giorno dei morti o dovremmo chiamarlo “festa”.

E ancora di più: il giorno dei morti, con tanta intelligenza messo dalla Chiesa subito dopo la festa di tutti i Santi, non sarà forse il giorno dei vivi?

 

Giorgio Bonali


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Jim Graziano Maglia

4 novembre 2022 10:18

Bellissimo ricordo,un baule tracimante di emozioni:
visi,luoghi,storie che abbiamo nei nostri cuori che la penna del compianto Giorgio ci fa rivedere, rivivere,rigustare.Grazie ancora.