3 febbraio 2023

Da ‘èl réeciam’ al ‘bèen dèi mòort’. Quando suonano le campane

Per tutta la mattina le campane del Torrazzo hanno suonato a lungo. In tanti sono accorsi in piazza per capire se ci fosse stato qualche evento particolare oppure qualche defunto importante. Niente di tutto questo, si è trattato di normale lavoro di manutenzione del concerto di campane della grande torre affidato alla ditta Capanni di Castelnuovo ne' Monti (Reggio Emilia). Proponiamo uno splendido pezzo di Giorgio Bonali sul significato del suono delle campane nel cremonese.

Un conoscente che abita nella mia stessa via, lamenta di essere disturbato ogni mattina verso le 7 dalle campane della vicina chiesa che cominciano a
suonare; per essere sincero io non ho questo problema dato che la sveglia mi arriva sempre poco dopo le 6 dalla rumorosa moto-carrozzetta dell’edicolante che si ferma nella strada per entrare nei cortili a consegnare alcuni giornali quotidiani. 

Non mi lamento di questa situazione dato che, come tutti gli anziani, dormo poco, ma vi garantisco che preferirei la dolce sonorità della campana dell’Angelus al lancinante rumore di un’Ape 50. 

Cosa rappresenti e quali siano le origini di questo primo scampanio della giornata, che ancora resiste nelle consuetudini devozionali della Chiesa, cerchiamo di capirlo parlandone con una persona che ha una conoscenza diretta del suo “campanile” e che ha mantenuto la passione per le campane e per la loro storia nelle varie tradizioni regionali. 

In origine, con questo suono, si voleva segnalare ai fedeli lontani, per renderli partecipi, il momento del canto del “Benedictus” nelle Lodi del mattino che doveva corrispondere al sorgere del sole; poi l’altro suono era di origine civile e doveva segnalare, a mezzogiorno, la pausa dal lavoro per il pranzo; infine la sera, al tramonto, doveva corrispondere al momento del canto del Magnificat nei Vespri. 

Successivamente il significato da dare a questo scampanio, realizzato con campane a distesa, venne parzialmente modificato per rendere più accessibili questi momenti alla partecipazione di tutti i fedeli: divennero i tre momenti giornalieri dell’Angelus con l’invito a recitare l’Ave Maria. 

C’era un suono, ora andato in disuso, che veniva diffuso subito dopo l’Angelus della sera ed era il cosiddetto “Bèen dèi mòort”, suonato al momento del “Nunc dimittis” nell’Ora di Notte dell’Ufficio Divino, quando Simeone dice a Dio “Lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi han visto la salvezza”; era l’invito ad un’ultima preghiera prima di dormire dedicata ai propri morti, che veniva suonato a “tocchi” con la campana più grossa.
In più non bisogna dimenticare il suono delle ore, delle mezze e dei quarti, che continua tuttora anche se soltanto per le ore diurne; ricordo ancora come da ragazzo, abitando molto vicino al Torrazzo in tempi nei quali l’orologio batteva i suoi suoni anche la notte, sentivo di frequente mia madre, che si lamentava dell’insonnia, dire che aveva contato i due o i tre rintocchi, aggiungendo che per lei rappresentavano una compagnia. 

Quegli antichi suoni delle terre cremonesi. Da ‘èl réeciam’ al ‘bèen dèi mòort’, ai rintocchi per segnalare il sesso del bimbo battezzato.  

Mi vengono segnalati alcuni suoni di devozione o di richiamo come erano in uso, e in parte lo sono ancora, in terra cremonese; ogni venerdì, verso le 15, il suono devozionale che fa memoria della morte di Cristo; la segnalazione della messa con interessanti particolarità come 2 sole campane per la normale feriale, 3 campane per la feriale distinta e tutto il concerto a distesa per segnalare la messa festiva. 

Simpatica e commovente è la poesia-preghiera che i vecchi maestri delle nostre campagne facevano recitare ai bambini delle elementari il venerdì pomeriggio: “Suona la campana / Gesù mi chiama / vuole che mi ricordi di Lui / che è morto in croce per me / e tanto mi ama”.

Per le messe c’erano anche stabiliti i tempi per i vari suoni quasi ad indicare l’ora di prepararsi, quella di incamminarsi e l’ultimo sollecito con il richiamo, “èl réeciam”, per fare accelerare il passo ai fedeli. 

Il sabato e le vigilie di festa, l’Angelus di mezzogiorno veniva e viene suonato da tutte le campane a distesa, mentre nelle grandi vigilie, Natale e Pasqua, si usa il carillon ad indicare il massimo della gioia festiva. 

Durante la celebrazione si suonavano le campane anche al Sanctus ed alla Consacrazione con l’intento di far partecipare spiritualmente coloro che per malattia o lavoro, non potevano essere presenti in chiesa; questa consuetudine è andata in disuso dopo l’ultimo Concilio. 

Anche all’atto del battesimo si segnalava col numero di scampanii il sesso del bambino (3 se maschio e 2 se femmina). 

Potrei continuare a lungo nel ricordare questo linguaggio popolare che va perdendosi quasi completamente sia perché non si può più contare su nuovi appassionati campanari che per “ignoranza” delle tradizioni da parte di molti dei preti più giovani, a volte cambiano a “capriccio” non permettendo più di capire nemmeno ai fedeli anziani; i fedeli più giovani poi non sentono più né la bellezza né la necessità di questo linguaggio. “Eppure la voce delle campane ha regolato la vita per secoli, durante i quali si è sviluppato un vero e proprio linguaggio in codice che serviva a far sapere alla comunità qualunque evento particolare; il rintocco della campana è sempre un evento sonoro carico di contenuti simbolici, è il linguaggio sociale della nostra cultura, il linguaggio degli affetti, delle emozioni e della memoria.” (dal discorso di benvenuto del sindaco di Massarosa in provincia di Lucca, per il 45° raduno nazionale dei suonatori di campane). Credo che sia un patrimonio di civiltà che si sta perdendo e, consentitemi, lascia in me un po’ di amaro in bocca e di nostalgia. 

Giorgio Bonali


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