Dalla soffitta rispunta il cestino per andare all'asilo
In soffitta, tra le vecchie cose, ho ritrovato il cestino a forma di bauletto da me usato per andare all’asilo e nel quale, giorno dopo giorno, mia madre inseriva il quadernetto con i disegni, la scatoletta di matite colorate Giotto, la immancabile banana per lo spuntino e a volte un dolcetto preparato in casa con lo scarso zucchero resosi disponibile da qualche rinuncia nell’addolcire alla colazione il latte macchiato con quello che chiamavamo “il caffè della corsa”, bevanda nera preparata facendo bollire a lungo in un pentolino l’orzo tostato, la miscela Leone e un po’ di “olandese”: questo perché, se non l’aveste ancora capito, eravamo in piena guerra ed anche lo zucchero veniva razionato. Con questa dotazione mattutina, iniziava il calvario del tragitto da via Volturno, dove allora abitavamo, al vicino asilo Castello dove venivo trascinato di forza ogni mattino da mia madre aiutata da Maria, una vicina volonterosa; infatti ricordo come ci fosse da parte mia un netto rifiuto come reazione al vitto che vi veniva cucinato.
Infatti, a causa delle restrizioni del momento, quasi ogni giorno il pranzo prevedeva riso in brodo (era un prodotto nazionale) “arricchito” da moltissime verdure che io rifiutavo; quando poi si avvicinava la lunga stagione delle verze, la ribellione raggiungeva il massimo grado: ancora oggi che riso e verze può considerarsi un piatto ricercato, come per tutta l’alimentazione povera di una volta, io lo rifiuto.
Così mia madre cercava di arricchire il cestino con qualche alimento che potesse integrare il poco che le maestre dell’asilo, immagino con infinita pazienza, sarebbero riuscite a farmi mangiare. Questi sono ricordi relativi all’anno scolastico 1943-44, prima del violento bombardamento di porta Milano e della stazione ferroviaria, avvenimenti che convinceranno mio padre a ricercare un’abitazione in altra posizione considerata più sicura; è stato così che siamo andati ad abitare in via XX Settembre, sotto l’ombra protettrice del Torrazzo, e che ho provato già dalla prima notte della nuova residenza, l’emozione del bombardamento di “Pippo” proprio in fondo alla mia nuova via: una signora aveva dimenticato accesa la luce del bagno.
Sta di fatto che è ancora un vecchio oggetto conservato, che ritorna dal passato per stuzzicare i ricordi e raccontare la storia di un bambino che “per fortuna”, nonostante il dramma della guerra, non è riuscito ad immedesimarsi a tal punto nella tragedia, da poter accettare l’odiato riso e verze proposto di seguito per tanti giorni.
Dimenticavo di dirvi che nel cestino dell’asilo ho trovato due cannucce e una scatoletta di “Pennino”, i pennini che dall’anno successivo sarebbero stati l’arma di combattimento sui banchi della prima elementare: ma questa è un’altra storia.
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commenti
Fiquet
3 luglio 2023 19:11
Très beau texte. Très émouvant.
Bravo Giorgio