L’uva di Capodanno “portatrice” di soldi
Era opinione comune, nelle nostre campagne, che bisognasse mangiare un po’ d’uva il primo dell’anno, per aver la certezza di non rimanere senza soldi durante l’anno nuovo; si trattava di una tradizione che faceva il paio con quella che lo stesso giorno bisognava indossare un capo nuovo, fosse anche solo un paio di calze. Devo dire che in casa mia la tradizione dell’uva si rispetta ancora, anche se adesso, proveniente dall’altro capo del mondo, è facile trovarla fresca presso tutti i fruttivendoli.
Ma una volta non era così semplice; in ogni orto si coltivava una vite che produceva l’uva dell’inverno, comunemente chiamata “invérnèenga”.
Questa qualità d’uva, con acini piccoli e rotondi, aveva una buccia particolarmente dura ed era l’ultima a maturare, al punto che rimaneva verdastra non avendo l’opportunità di colorare gli acini al sole estivo.
Maturava a fine ottobre, inizio novembre, e si raccoglieva il più tardi possibile, al limite delle gelate notturne che bisognava però evitare: ricordo che molte volte il raccolto coincideva con la festa dei Santi.
In granaio l’uva raccolta veniva deposta su graticci di canne, gli stessi che a primavera servivano per allevare i bachi da seta, dopo esser stata diligentemente mondata delle foglie secche e degli acini marci; capitava a volte di cogliere due bei grappoli uniti da un pezzo di tralcio, che venivano appesi a bilanciere.
A questo punto cominciava una continua cura per togliere gli acini che minacciavano di marcire e propagare le muffe a tutto il grappolo, tutto questo combattuti dalla tentazione di mangiarla subito, piuttosto che vederla ridursi gradualmente a seguito della continua mondatura.
E così, con molta fatica, si riusciva a festeggiare il primo giorno dell’anno, con un grappolo di uva a testa, appassita ma molto dolce e graditissima, in un momento dell’anno nel quale di frutta fresca se ne mangiava poca.
Chiesi una volta a mia madre perché l’uva mangiata a Capodanno, fosse portatrice di sicurezza economica; la sua risposta in dialetto di campagna, “corrotto” da qualche accento cittadino, mi sembrò l’unica plausibile, senza bisogno di altre verifiche : “Se ün l'è bòon dé téegner a màan l’uva pèr duu mées, èl sarà bòon de téegner a màan àanca i so’ sòolt”.
Traduzione per i non Cremonesi: “Se una persona è capace di conservare l’uva per due mesi, sarà capace di conservare anche i suoi soldi”.
La foto è di Ernesto Fazioli
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