Arrivano con i borsoni vuoti della Esselunga o della Lidl. Tra loro ci sono l'operaio che ha perso il posto, il pensionato che si barcamenava e ora non ce la fa più, la badante dell'anziano portato via dal contagio, l'artigiano con due figli. Sono i nuovi, nuovissimi poveri. Quelli che prima del Covid avevano una vita normale. Anche nella nostra città si formano code di persone che chiedono da mangiare.
Via san Francesco d'Assisi, quartiere sant'Ambrogio: è qui che, ogni mercoledì, nel magazzino ricavato al pianoterra di un palazzo bianco incastonato tra altri edifici, la San Vincenzo distribuisce i pacchi alimentari.
Si comincia alle 14.30 ma Fiorenzo, 70 anni, cremonese doc, si è presentato in anticipo. “Da giovane facevo il meccanico, poi mi hanno assunto all'Ocrim. Mi sono separato, ogni mese devo tirare fuori 500 euro per mia figlia e 300 per l'affitto: della mia pensione di 1.200 euro ne rimangono 400 per le bollette di gas e luce e per poco altro. Prima del coronavirus, potevo contare su un piccolo lavoro, ora neanche quello. Mi davano una mano i miei genitori, ma sono morti. Non mi era mai capitato di trovarmi in difficoltà. E così, un giorno, mi sono recato alla Caritas, ma ho sbagliato porta e bussato a quella della San Vincenzo”. Poi saluta gentilmente e, piegato sotto il mal di schiena, si incammina con il suo scatolone riempito con pasta, riso, latte, olio, formaggio, frutta, verdura e, da qualche tempo, anche carne, hamburger e bistecche. Oltre a prodotti per la casa e l'igiene personale. Ci sono ancora le colombe pasquali. Se è da qualche tempo che Fiorenzo viene al magazzino vicino al cimitero, per Clara, 34 anni, rumena, è la prima volta. E' guardinga e arrabbiata con il mondo intero, ma poi si scioglie. “Per 8 anni anni ho fatto le pulizie nell'abitazione di una rispettabile famiglia cremonese che però, per paura del Covid, adesso non mi vuole più in casa. Ma ero senza contratto e, quindi, non ho diritto a niente. Ho un marito che da un paio di mesi fa il muratore e un figlio di 14 anni, a cui non ho detto che sarei venuta qui. Mi sento una fallita”.
E' la prima volta anche per Federico, spagnolo, 41 anni, da 15 in Italia. “Lavoravo come ambulante nel settore dell'abbigliamento, mi mantenevo girando per le fiere e le sagre, ma da un anno e mezzo è tutto fermo. Avevo messo da parte pochi risparmi che ora, però, sono finiti”. Lui e gli altri in fila sono vestiti decorosamente, non hanno niente da nascondere, dietro la loro dignità non si indovinerebbe una situazione disperata. Il magazzino chiude alle 16.30, il pellegrinaggio, di singoli, coppie e famiglie, continua. Tutto si svolge in sicurezza. “Mantenete le distanze”, invita un volontario. Un suo collega, Anacleto Tegagni, 66 anni, ex operaio, spiega: “Sono qui da due anni, ma file così lunghe non ci sono mai state. Mercoledì scorso era ancora peggio. Le persone vengono da noi una volta al mese. Prima ne seguivamo 150-180, ora 250-300. Sono raddoppiate. Tra loro molti gli italiani: sono umili, hanno addosso una grande timidezza, la si vede negli occhi. Perché mi sono fatto avanti? Mi sento di aiutare chi fa fatica”.
Lo stoccaggio dipende dal consiglio centrale della San Vincenzo, che è formata da 25 conferenze disseminate nella Diocesi di Cremona, da Bozzolo a Rivolta d'Adda, di cui 9 in città. In ognuna di queste sedi vengono distribuiti pacchi cibo.
Eugenia Rozzi, per tutti Ennia, 73 anni, è la presidente diocesana (al secondo mandato dopo essere stata vicepresidente) di questa inarrestabile e silenziosa 'macchina' della generosità. Il suo ufficio è presso la Casa dell'accoglienza, accanto alla sala delle Cucine benefiche, gestite anch'esse dalla San Vincenzo, che ogni giorno, 365 giorni all'anno, sfornano in media 27-28 pasti caldi serviti a tavoli, rigorosamente distanziati l'uno dall'altro, di due posti. Tutti domandano della presidente, intorno a lei un mondo in fermento. “Le richieste di pacchi cibo sono aumentate di molto. Ci sono, ad esempio, un sacco di giostrai dai paesi vicino che non avevamo mai visto e donne che lavavano i piatti nelle pizzerie o nei ristoranti, ora però, a parte l'asporto, chiusi. Ma, nelle ultime settimane, stiamo assistendo al ritorno di persone che non si rivolgevano a noi da tempo perché probabilmente avevano trovato un lavoro ma poi l'hanno perso. Forse, per ora, gli stranieri sono di più, ma cresce il numero degli italiani. Tra loro gente che aveva un contratto a tempo determinato ed operai la cui cassa integrazione è finita. Collaboriamo con la Caritas e il Comune. Paghiamo, cosa che in genere non facevamo in passato, tante bollette e, a volte, l'affitto”.
Lei e i suoi volontari sono alle prese con un fatto inedito che rivela ancora di più la drammaticità del momento: “Stiamo sostenendo le spese per le cure mediche, compresi gli esami del sangue, e anche quelle dentistiche. A questo proposito, la San Vincenzo nazionale ha lanciato un progetto che coinvolge un centinaio di dentisti disposti a prestare gratis la loro attività a chi ha bisogno. Vediamo se qualcuno aderirà anche qui”.
Per i pacchi cibo e per il resto, l'impegno dei 'vincenziani' è sorretto “dalla partnership con il Banco alimentare, l'aiuto di alcune ditte locali e l'inesauribile solidarietà dei cremonesi”. Ma la presidente non nasconde la sua preoccupazione per il futuro. “Facciamo il possibile, ma cosa succederà quando nei prossimi mesi scadranno gli ammortizzatori sociali, 'cassa' e blocco dei licenziamenti, e le aziende potranno lasciare a casa i dipendenti? Potrei sbagliarmi, ma io ci penso. Noi siamo l'ultima spiaggia. Molti ci chiedono un lavoro, ma non siamo un'agenzia, pur cercando di essere aperti a tutto. Comunque, saremo pronti: nonostante la paura della pandemia, la maggior parte dei nostri volontari non si sono fermati e non si fermeranno nemmeno domani”.
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