"Mamma, cosa ci facciamo qui?". A Roma nel centenario della nascita di don Giussani
Marco, 4 anni e mezzo, non ha mai visto piazza San Pietro a Roma. Cinque ore di auto da Cremona, tra pianti delle sorelle e capricci, un’attesa infinita fuori dal colonnato con i controlli per entrare e ora tutta questa gente che si ammassa, cantando e pregando. Sessantamila persone, per la precisione, venute da ogni angolo del mondo (letteralmente) per incontrare Papa Francesco nel centenario della nascita di don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione.
Come spiegargli che senza quel sacerdote oggi la mamma e il papà forse non si sarebbero mai incontrati e voluti bene? Un giorno gli racconteremo di quell’uomo dalla voce roca che ha dato inizio a una compagnia cristiana viva e baldanzosa che ha affascinato migliaia di giovani, che è entrata come un vento impetuoso nelle carceri brasiliane, negli slum di Kampala, nelle baraccopoli di Haiti, nelle periferie povere di tante città italiane, nelle università, nelle scuole e poi ancora più avanti in remoti villaggi siberiani o del Medio Oriente, fino a toccare il cuore di tanti: cristiani, atei, musulmani, buddisti.
Un prete per cui Cristo non era un nome da relegare nelle sacrestie ma un uomo vivo e incontrabile ancora oggi. Uno che il cristianesimo non lo ha teorizzato (eppure era un teologo finissimo), non lo ha rinchiuso in dottrine ma lo ha reso sperimentabile nella vita di tutti i giorni, in questo mondo e non fuori da esso. Uno che ha detto che il cristianesimo è bellezza, è gustare una cena fatta bene con gli amici, assaporare del buon vino, godere di un tramonto in cima alla montagna dopo una salita impegnativa.
Le parole migliori forse le ha trovate proprio il Santo Padre, quando ha ricordato al popolo di CL che don Giussani, al quale lo stesso Francesco ha detto di dovere molto come sacerdote, “è stato padre e maestro, è stato servitore di tutte le inquietudini e le situazioni umane che andava incontrando nella sua passione educativa e missionaria”. Per questo “la Chiesa riconosce la sua genialità pedagogica e teologica, dispiegata a partire da un carisma che gli è stato dato dallo Spirito Santo per l’utilità comune”. Sono passati tanti anni, era il 2005, dalla sua morte eppure il Movimento – come lo chiamano affettuosamente i suoi aderenti – ha proseguito la sua strada con esperienze che hanno toccato la vita di migliaia di persone. Ne è stata prova, in piazza a Roma, la testimonianza dell’infermiera ugandese Rose Busingye, che a Kampala guida un centro di accoglienza per donne sieropositive e orfani. Un’opera, la sua, nata dall’amicizia con don Giussani e che l’ha portata non solo a curare quelle donne ma a guardarle ben oltre la loro malattia: e così in un’amicizia operosa fatta di lavoro, di canti e balli, di educazione, di cura di sé si riscopre il gusto di un’esistenza che non è determinata dai limiti di ciascuno e dove tutto è abbracciato e accolto. Brasile, Libano, Argentina, Cile, Cina, Europa, Giappone, Ucraina, Kazakistan, Russia, Venezuela, Colombia, Stati Uniti (l’elenco potrebbe continuare) … sono tanti i Paesi del mondo dove piccole e grandi comunità di CL si sono formate grazie ad amicizie e incontri spesso impensabili.
Come è possibile? E’ stato possibile nella fedeltà a Cristo. “Don Giussani aveva intuito – non solo con la mente ma anche con il cuore – che Cristo è il centro unificatore di tutta la realtà, è la risposta a tutti gli interrogativi umani, è la realizzazione di ogni desiderio di felicità, di bene, di amore, di eternità”, ha detto ancora Francesco.
Certo, non è tutto semplice, il Papa non lo ha nascosto. Ringraziando pubblicamente il successore di Giussani, don Julian Carron (dimessosi circa un anno fa, ora la presidenza di CL è guidata dal laico Davide Prosperi ndr) ha detto che “non sono mancati seri problemi, divisioni, e certo anche un impoverimento nella presenza di un movimento ecclesiale così importante come Comunione e Liberazione, da cui la Chiesa, e io stesso, spera di più, molto di più”. Una correzione piena di carità che è al tempo stesso uno sprone a ritrovare il fascino della prima ora e a guardare avanti “perché la potenzialità del vostro carisma è ancora tutta da scoprire”.
Un invito a “ricordare, ossia "portare al cuore" - ri-cordare - l'incontro con il Mistero che ci ha condotto fino a qui, e generare, guardando avanti con fiducia e ascoltando i gemiti che lo Spirito nuovamente esprime. L'uomo umile e la donna umile non solo ha a cuore il futuro, ma anche il passato, perché sa guardare avanti. Sa guardare i germogli con la memoria carica di gratitudine. L'umile genera, invita e spinge verso ciò che non si conosce”.
Cosa ci facciamo qui, Marco?
Siamo qui per ringraziare il buon Dio di averci messi su questa strada. Siamo qui per tutti gli amici che non sono riusciti ad arrivare a Roma perché bloccati dalla guerra, dalle dittature, dai visti negati, dalle malattie. Siamo qui anche per chi non c’è più, ed è andato più avanti di noi nel cammino. Siamo qui perché anche se hai quattro anni e le tue sorelle sono ancora più piccole, tocchiate una volta di più con mano che siamo parte di una storia grande. Una storia che da oltre duemila anni ci abbraccia e ci fa dire insieme al don Gius e al Papa:“E’ la vita della mia vita, Cristo”.
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