Dall’Agenda Draghi a Tinto Brass, dal rigore fatto persona agli amori di gruppo e ai più temerari accoppiamenti al buio. Molto istruttiva, e nel complesso umoristica, la giornata politica del 2 agosto conclusa con lo storico accordo Letta-Calenda. In che chiave leggerla?
Nell’unica possibile: Il disperato bisogno di rincorrere la quantità ad ogni costo, pessimo effetto di una pessima legge elettorale, ha polverizzato ogni residuo ritegno. Chi aveva visto in Calenda la pietra fondante di un embrionale progetto riformista, non affidato alla solita aria fritta ma a un limitato e concreto elenco di cose da fare -e da fare subito senza se e senza ma- è dunque restato a bocca asciutta. Prematuro orfano della speranza proiettata su chi pareva in grado di pronunciare tutti i sì ma soprattutto tutti i no necessari a perimetrare un semplice e credibile progetto politico improntato ad
autentica cultura di governo. La storia, come è noto, non si fa coi ‘se’. Ma è pur vero che, se la gelata improvvisa del voto anticipato non fosse piombata su un impreparato sistema politico, reazioni chimiche e affinità programmatiche ormai visibili a occhio nudo, avrebbero forse centrifugato una nuova massa critica e dato vita, sulla scomposizione dei precedenti schieramenti, a un nuovo centrismo riformatore. E non fingiamo di ignorare che i donatori di sangue e i potenziali donatori di consensi elettorali ci sarebbero stati, eccome.
Fatto sta che, al dunque, il leader di Azione ha preferito il ricco bottino concesso da un Letta k.o al primo round ai rischi e alle incognite della famosa ’solitudine dei Numeri Primi’. Si vede che non era un Numero Primo. Lo sarà, invece, Renzi? E lo dimostrerà, facendo di necessità virtù e correndo in solitaria? Vedremo.
La situazione a questo punto è paradossale e rafforza, a lume di buon senso, la convinzione che agli interessi elettorali del Pd meglio avrebbe fatto una postura politica più composta e meno freneticamente affannata a raccattare numeri. Per ammissione dello stesso Letta la coalizione che aspira al voto e alla fiducia degli italiani non si fonda su un programma comune. Consumeranno insieme la merenda sullo stesso prato ma ognuno arriverà col suo cestino. E guai a chi glielo tocca. Precisazione superflua per chi negli ultimi mesi abbia anche distrattamente assistito al volare di stracci fra i novelli alleati.
La memoria, specie in politica, non è acqua fresca e ferite apparentemente cicatrizzate possono, in certe condizioni, riconvertirsi in piaghe aperte. La sorte del Pnrr che è, o dovrebbe essere, oggetto di massima apprensione, passerà dunque sotto micidiali forche caudine e dovrà destreggiarsi in una selva di veti incrociati.
La compagnia che Letta sta arruolando è divisa pressoché su tutto: idea di Paese, di società, nucleare, transizione ecologica, fisco, reddito di cittadinanza, diritti civili, salario minimo, su cui già Gelmini si mette di traverso e comincia a sperimentare le rose e fiori del cammino intrapreso. Certo, a chi abbia qualche consapevolezza di quel che fu il partito di Gramsci e Berlinguer, fa una certa tristezza vedere un inedito Letta che, seduto col cappello in mano davanti al Nazareno, s’ingegna a trasformare ogni casuale passante in alleato. Quale disperata determinazione può portare un professionista intelligente e colto, appositamente rientrato da Parigi anni fa per ritrovare la perduta identità del partito, a offrirne quote alla
bizzarra e scombinata platea di azionisti che va da Di Majo al “fortissimamente” voluto Fratoianni? C’è un’unica risposta non smentibile: per non fare vincere ‘troppo’ il centro destra. Ritenuta impervia, sondaggi alla mano, la possibilità di vittoria, si ripiega sul piano B: mutilare la vittoria degli avversari trasformandoli in nemici, delegittimandoli e demonizzandoli con un terrorismo psicologico che, qualora fosse legge, darebbero materia al famoso ddl
Zan. Può essere che lo scopo sia raggiunto.
Ma le ‘Vittorie mutilate’, come il Novecento insegna, sono di solito foriere di tempi bellicosi. Se un centro sinistra ‘perdente ma non troppo’ non potrà governare e un centro destra ‘vincente ma non troppo’ non potrà a sua volta governare, chi governerà il disastrato Paese? Tutti e nessuno, come sempre. Fare dell’Italia un Paese ingovernabile, a maggior ragione in una fase drammatica come l’attuale, può essere strategia moralmente oltre che politicamente accettabile? Su quest’aspetto il silenzio è totale, bocche solitamente avvezze a parlare e straparlare di responsabilità, restano stranamente cucite. E intanto l’arruolamento avanza e, incassato il draghiano Calenda, Letta è impegnato nella seduzione di quel Fratoianni che crivellò di voti di sfiducia l’agenda Draghi. Senonché su Sinistra Italiana e Verdi anche Conte, tornato single, sta facendo un pensierino. L’ex avvocato del popolo, che s’indispettiva al solo chiedergli se fosse in vista una patrimoniale, non disdegnerebbe dunque di metter su casa con un personaggio da espropri proletari quale Fratoianni. Nel frattempo per riverniciare di grinta garibaldina l’imborghesito vessillo pentastellato riapre a Di Battista dicendone ogni bene e lasciandocinel dubbio circa la sua residua capacità d’intendere: Di Battista,
infatti, non è la sua risorsa ma la sua mortale alternativa. Stiamo parlando del ruspante ragazzotto con zainetto incorporato che appena apre bocca sulle cose internazionali produce un incidente diplomatico. Mentre quando la apre sulle questioni interne produce…. Già, cosa produce? Niente. Niente per ora. Ma una volta tornato in piazza, potrebbe far di peggio.
Fratoianni, Di Battista e Conte: l’ultimo bastione della sinistra dura e pura che rifiuta l’imborghesito Pd di Letta? Un solo gigante manca all’appello. Che fa Di Majo? In teoria gli aut aut di Calenda circa il ‘vade retro’ agli ex grillini dovrebbero farlo girare al largo. Ma il Pd la scappatoia l’ha trovata. L’ex venditore di noccioline è sempre stato lesto nell’appollaiarsi sul ramo giusto un attimo prima del patatrac. Lo supporta il sempiterno e potente Tabacci, inaffondabile nave scuola tardo democristiana con le mani in pasta ovunque sia utile averle e anni fa legato a quell’Angiola Armellini, chiacchierata
dinastia di immobiliaristi romani, nota per aver nascosto al fisco un’inezia come la proprietà di 1243 immobili. Ironia della sorte: l’ ex grillino che in altri tempi avrebbe ammanettato un gelataio per omesso scontrino su un cono da un euro ha trovato in Tabacci l’anima gemella con cui fare un partito. Potenza delle ‘affinità elettive’. Chi dispone di microscopio ad alta precisione può scovare il soggetto politico in questione alla voce ‘Impegno Civico’.
Santo cielo, ma che se ne fa il Paese di questo materiale umano, compatibile con tutto e tutti, come certi telecomandi universali made in Hong Kong, buoni per la tv, la friggitrice e lo scaldabagno?
Tuttavia Calenda, interrogato sulle indigeste parentele acquisite, non pare scomporsi: con chi si allea il mio alleato non sono fatti miei, sono fatti suoi. Logica non propriamente ferrea. Ma a questo punto la razionalità politica si arrende e cede il passo a quella clinica: la materia è ormai da reparto di alta psichiatria. E dunque continui l’ingaggio. Venghino signori: posto e pasto per tutti. E, male che vada, diritto di tribuna.
vittorianozanolli.it
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