La fede ci dà le ali per sognare il bene e irrobustisce mani e piedi per compierlo
Come si accresce la fede? È una domanda che mi gira in testa in questi giorni, dopo aver letto i pochi versetti che costituiscono la pagina di Vangelo di questa domenica d’autunno. La fede si può accrescere perché diviene più profonda e convinta, ma anche perché è resa più forte da qualche gesto miracoloso che dà più convinzione a chi lo vede. Se fosse stato Gesù a dire ad un gelso: “Sradicati e vai a piantarti in mare” è possibile che gli apostoli gli avrebbero “creduto di più”.
“Accresci la nostra fede”, diciamo anche noi, ma non sempre anche a me è chiaro che cosa sto chiedendo con questa preghiera.
Significativamente Gesù dice che la fede non ha quantità: fosse anche piccola come un granello di senape sarebbe capace di compiere quei miracoli che noi chiediamo di poter vedere per essere più convinti nel nostro credere.
La fede che noi vogliamo sia accresciuta è quella fiducia in Dio che ci fa riporre in Lui e in Lui solo ogni nostra sicurezza. La fede è quello stile di vita per il quale possiamo essere servi senza pretese. Se ci poniamo davanti a Dio con l’atteggiamento del servizio, ma lo facciamo con lo scopo di ottenere un premio, un riconoscimento per quanto bene abbiamo fatto, ci dice Gesù che c’è qualcosa che non va.
Davanti a Dio il nostro servizio è servizio e basta. Non perché Dio sia irriconoscente, bensì perché non possiamo fare del bene compiuto un oggetto di scambio per ottenere qualcosa.
Probabilmente l’Evangelista Luca in questa parte del suo racconto, propone la riflessione di san Paolo sulla fede e sulle opere. A differenza dell’atteggiamento farisaico che riconosceva una specie di credito nei confronti di Dio attraverso l’osservanza della Legge e il compimento delle opere che da questa derivano, Luca ricorda che l’unica “opera” da compiere è quella della fede. Solo gettandosi nelle mani di Dio e attendendo con fiducia da Lui, senza pensare di avere diritti da rivendicare, ci sarà possibile accogliere il premio che Egli con libertà vorrà donarci. La stessa immagine che viene raccontata come breve parabola non deve trarci in inganno nell’intento di stabilire chi potrebbero essere i diversi personaggi che intervengono.
Non possiamo fermarci a dire che qui Gesù ci parla di un Dio pretenzioso, perché questo padrone chiede di essere servito. Il centro della parabola è l’atteggiamento dei servi. Questi sanno qual è il loro posto e lo rispettano, senza pretese. Allo stesso modo il discepolo è chiamato a comprendere quale sia il suo posto: quello di chi si fida, senza pretese verso Dio; quello di chi nella piena libertà consegna se stesso nella mani di Dio, sapendo che Egli non sarà per noi padrone dispotico, ma padre amorevole.
Resta in me ancora una domanda dopo tutto ciò che si è detto. Questa pagina di Vangelo ci dice che il miracolo che spesso pretendiamo da Dio perché aumenti la nostra fede non è fuori di noi, ma dentro di noi, perché da noi sia compiuto, attraverso la fede. Anche se piccolissima, la fede ha la forza di trasferire un gelso dalla terraferma al mare. Con questo gesto si sovverte l’ordine delle cose e l’albero dalle radici più forti, si va a mettere nel mare, dove gli alberi non crescono.
La fede ha la forza di sovvertire gli ordinamenti costituiti dall’uomo spesso ingiusti e violenti; la fede ha la forza di aprire orizzonti nuovi. Per questo ci vuole fede per immaginare un mondo rinnovato, per provare a costruirlo. La fede ci aiuta a credere quel che appare impossibile: il pentimento, la riconciliazione, la stretta di mano fra i nemici, un giardino là dove c’è il deserto, una città ricostruita al posto delle macerie.
Nella sua piccolezza la fede si nutre di rispetto, fa spazio agli altri, trova posto per tutti, uccide l’inimicizia senza annientare il nemico, bensì pregando per lui.
La fede ci dà le ali per sognare il bene e irrobustisce mani e piedi per compierlo. È questo il segreto del cristiano, la sua resilienza anche di fronte al male che sempre incombe sull’uomo.
La forza del cristiano è e resta sempre l’imitazione di Gesù, che dalla croce perdona i suoi uccisori e accoglie il malfattore, promettendogli il paradiso. È nella fiducia in Lui, Figlio di Dio fatto uomo, che possiamo sperare quel mondo migliore che oggi chiediamo gridandolo nelle piazze. È Gesù il vero rivoluzionario, disarmato e disarmante, come la pace che ci ha donato, ci ha ricordato Papa Leone appena eletto. E allora sia anche la nostra fede così: disarmata e disarmante; piccola e povera come un granello di senape e allo stesso tempo così forte e operosa nella quotidianità dei piccoli gesti da poter sovvertire le strutture di morte e di dolore che l’uomo costruisce contro l’uomo.
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