28 anni fa la strage mafiosa di via Palestro: una ferita che fu guarita dall’arte
Milano, ore 23:14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplode in via Palestro distruggendo il PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea, causando cinque morti e dodici feriti e segnando la storia di Milano e dell'intero Paese. Un attentato mafioso che raggiunge il culmine della lotta tra lo Stato e il Contro-Stato e che porterà poi alla tanto discussa romanzata e oscura “Trattativa Stato-Mafia”: gli attentati mancati a Maurizio Costanzo e Claudio Martelli, e quelli riusciti delle stragi di Capaci e via D’Amelio contro Falcone e Borsellino, fino all’episodio milanese. Una violenza mafiosa inaudita esce dalla Sicilia e attacca clamorosamente lo Stato attraverso i simboli della cultura e dell’arte in Italia, prima agli Uffizi di Firenze e poi a Roma e Milano, alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro e appunto al PAC.
Quella che doveva essere una esplosione simbolica, si trasforma invece a Milano in un disastro: mentre i vigili del fuoco e i vigili urbani fanno evacuare la zona, l’auto bomba esplode uccidendo uno dei vigili urbani, tre vigili del fuoco e uno straniero extracomunitario che dormiva su una panchina. L'esplosione iniziale danneggia soltanto il PAC, ma all'alba del mattino dopo esplode una enorme sacca di gas formatasi proprio sotto il museo, distruggendolo completamente: lo scenario come mostrano le foto dell’epoca è apocalittico.
Assessore alla Cultura è da poco più di un mese un giovane mercante d’arte, ancora poco conosciuto: si chiama Philippe Daverio, un italo-alsaziano divenuto assessore con la prima Giunta monocolore leghista della storia di Milano, quella del Sindaco Marco Formentini. E’ una Lega molto diversa da quella che verrà poi: una Lega europeista, anti-partitica e che tifa per il Pool di Mani Pulite. Daverio comprende subito che ricostruire il PAC è l’unica risposta possibile alla svergognata crudeltà mafiosa. La cifra è però esorbitante: quasi quattro miliardi di lire dell’epoca, che il Comune non ha. Ed ecco che Daverio pone rimedio dando avvio all’ingresso, molto contestato all’epoca, dei privati nel mondo della cultura pubblica: a sobbarcarsi l’intera spesa è il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, che sborsa senza batter ciglio prima un miliardo e mezzo e poi i restanti due a patto che i lavori vengano eseguiti seguendo pedissequamente le indicazioni di Ignazio Gardella, grande architetto milanese che non solo era stato il progettista del PAC nel 1951 ma anche di tutte le sedi di Esselunga. Le polemiche divampano, la stampa e la politica martellano l’Assessore, ma dopo 3 anni il PAC risorge identico a prima. Dall’allora Ministero dei Beni Culturali arriverà solo un miliardo di lire e solo nel 1996, a lavori ultimati: Daverio devolverà quei soldi a delle scuole del Meridione.
Passato il tempo del dolore e quello della ricostruzione, arriva il momento di festeggiare la rinascita: occorre qualcosa di veramente speciale. Già dal 1994 Daverio immagina di celebrare l’evento con una mostra unica e mai vista Italia: quella dedicata a Leo Castelli e alla Pop Art.
Castelli, ebreo triestino amico di Umberto Saba, era come disse di lui Gillo Dorfless “un uomo estremamente legante. Il resto è nei libri di storia dell’arte”. Trasferitosi in Romania per le Generali Assicurazioni, e anche per sfuggire al clima di persecuzione nazi-fascista italiano, sposa Ileana Sonnabend, figlia del più ricco uomo rumeno, e diviene quasi certamente un agente dell’OSS, la prima CIA americana: molti dei suoi amici e pittori ricorderanno di averlo visto spesso inspiegabilmente esercitarsi con la sua pistola Beretta nel giardino di casa a Long Island…
Da sempre amante dell’arte e del bello, passioni che condivide con la formidabile moglie, lascia la Romania monarchica che alla fine della guerra sta per diventare comunista, alla volta degli USA e di New York, dove inizia a dedicarsi all’arte come gallerista. Il resto, come diceva Dorfless, è storia dell’arte: dagli ultimi momenti dell’espressionismo astratto trae due giganti della pittura come Bob Rauschenberg e Jasper Johns, che danno vita al New Dada, e con Andy Warol e Roy Lichtenstein presenta al mondo intero la Popular-Art, ossia la POPART: una ancor oggi celebratissima e discussa rivoluzione copernicana del concetto di arte e anche del fare soldi (a palate) con l’arte, che tanto però dovette al supporto del Governo Americano, che voleva vincere la Guerra Fredda anche sul piano artistico e culturale, e che forse scelse proprio l’ex spia Castelli come fidato agente in quella così tanto particolare battaglia della Guerra Fredda.
Leo Castelli, nel 1994 quasi novantenne, era una vera e propria leggenda vivente e resistette per due anni alla corte spietata di Daverio, per poi cedere: l’inaugurazione della mostra che coincide con la riapertura del PAC è un evento culturale e mondano straordinario, a cui partecipa il meglio della cultura e del bel mondo: Gae Aulenti, Umberto Veronesi, Emilio Tadini, Vico Magistretti e Achille Castiglioni, Gimmo Etro e molti altri ancora.
Nessuno potrà mai riportare in vita quei cinque morti, uno ignaro e gli altri quattro eroi del quotidiano senso del dovere, ma il PAC è ancora qui e ancora oggi ci regala cultura e bellezza, l’unico antidoto contro l’infamità del male e il dolore delle ferite.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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