Anno terribile quello che si avvia a conclusione. Terribile per il Paese e in particolare per Cremona che subisce impotente un impoverimento socio economico che nessun successo calcistico può pretendere di compensare. Di ben altri gol avremmo bisogno per fermare un declino plasticamente misurabile se solo giri per strada e registri l’amaro conteggio delle attività commerciali che hanno chiuso o si accingono a farlo, ultimo in ordine di tempo lo storico negozio Vergani. Cremona si spegne ma lassù, ai piani alti del potere ‘Tutto va bene madama la marchesa’ e prosegue il monologo degli altisonanti propositi che, buone intenzioni a parte, danno la misura della siderale distanza intervenuta fra città immaginaria e città reale.
Quel che sperimentiamo ogni giorno è degrado, incuria, impatto insostenibile di un’immigrazione incontrollata che, ormai impadronita di crescenti spazi del centro storico, polverizza secoli di civiltà urbana convertendoli in assetti da Terzo mondo. Siamo, grazie anche alla Caporetto dei collegamenti ferroviari, una città balcanizzata in cui l’aria è ferma in ogni senso.
Che dire? Che un fenomeno di questa portata non è attribuibile al caso, allo sfavore degli astri o alle avversità degli ultimi anni.
L’errore strategico viene da lontano, più che dell’accaduto è figlio del non accaduto e del potere di veto di un ceto agrario che sin dal lontano dopoguerra scelse di appartare Cremona da ogni dinamica di trasformazione consacrando le sorti cittadine al rischioso culto dell’immobilismo. Il che, come di norma accade, tiene lontane le cose buone ma non ripara da quelle cattive, come il devastante impatto ambientale di una raffineria e l’impiccarci a quel drammatico aut aut fra posti di lavoro e salute che oggi ci vede in testa alla classifica europea dell’inquinamento. Quattro parole rendono dunque l’idea meglio di tanti libri: a Cremona non circola aria. Banale constatazione ma, a modo suo, chiave di lettura a largo spettro applicabile ormai sia ai fenomeni storici che naturali. Come non accorgersi che preziosi elementi come pioggia o neve si tengono da tempo alla larga da noi, negandoci il sollievo di qualche periodico lavaggio?
Persino la cara, vecchia nebbia pare decisa ad evitarci. Quei bei nebbioni della Bassa, che appena uscivi ti gocciolavano dai capelli e inghiottivano la
città, Torrazzo compreso, in un fluttuante mare di silenzio e misteriosi vapori, non si vedono più. Mentre c’è chi , a proposito delle nostre celebri tre T, propone di aggiungerne una quarta, ben diversa dal ruspante vitalismo delle altre: la T di tumori. Greve scrivere queste cose, altrettanto greve leggerle. Ma nessuna positiva controtendenza è immaginabile senza una osservazione impietosamente realistica dello stato di fatto e delle invalidanti ipoteche che oggi gravano sul futuro di Cremona e rischiano di identificarla, nell’immaginario di chi ci osserva, come luogo inadatto a ospitare la vita.
Arrenderci fatalisticamente al declino o reagire? E, se reagire, come? Se risposta esiste non si può che cercarla nel contesto socioeconomico e politico e nei relativi attori in commedia: classe dirigente, comunità cittadina, opinione pubblica, ruolo dei media. “Gente bonaria e lievemente scettica” così ci definiva nella prima metà del ‘900 un cremonese d’eccellenza come Giuseppe Cappi. Tuttora bonari? Forse. Tuttora scettici? Molto, molto di più. Osservando comportamenti diffusi si direbbe che molti cremonesi sposino la logica del tanto peggio tanto meglio: oltre la porta di casa che custodisce il sacro recinto del privato c’è la città di nessuno, spazio in cui liberare, magari con l’aiuto degli adorati cani di famiglia, i più incivili istinti latenti sotto il sottile strato di un ingannevole bon ton.
Attenti, perché dietro la notazione di costume cova un problema enorme, forse il problema dei problemi: la crisi d’identità e ruolo di una borghesia di provincia che si ripiega su se stessa e si apparta dalla vicenda civile del proprio tempo dopo esserne stata in altre stagioni storiche laboriosa protagonista. Intanto, fra governanti e governati vige una cauta distanza, garantita e pietrificata dalla proverbiale resistenza dei locali a dichiarare ‘apertis verbis’ i malumori e le critiche che riempiono invece le retrovie del quotidiano mugugno. Il guaio è che la democrazia come ogni ingranaggio resta in salute se viene usata e praticata, inutilizzata deperisce e si ammala.
Come non si dà pane senza farina, non si dà autentica democrazia locale senza una reattiva e vigile opinione pubblica, sale e pepe dell’era moderna. Neanche in questo senso dunque l’aria che gira è adeguata al desiderabile. Né ci aiuta un assetto economico lontano dalla ricchezza e dal pluralismo industriale e produttivo di città vicine come Brescia o Bergamo dove la pluralità di forze, interessi, idee e logiche in campo genera spontaneamente bilanciamento di poteri, attitudini mediative e costante ricerca di più soddisfacenti equilibri locali. La nostra città, invece, vive nell’ombra monumentale di un polo siderurgico guidato da un Dominus di altrettanto monumentale personalità, in grado di definire la rotta collettiva con la forza decisionale di una Signoria cinquecentesca.
La Cremona del terzo millennio è dunque tuttora immersa in una sua peculiare stagione storica di cui presenta le classiche dinamiche politico sociali e i classici strumenti di costruzione del consenso.
Primo fra tutti, il disciplinato collateralismo dello storico quotidiano locale, La Provincia, efficiente cantore delle luci e ancor più efficiente silenziatore delle ombre. Il Dominus riempie il vuoto di proposta politica con geniale capacità di progettazione e generosità di elargizione e investimento. Innegabile il suo positivo ‘ruolo motore’ nel generale panorama di inerzia. Altrettanto innegabili le dure logiche di scambio sul nevralgico terreno
dell’impatto fra siderurgia e ambiente. Ma quel che in fine conta è che, a differenza di altri poteri più defilati e afasici, il Dominus c’è e ci si può contare. Tant’è che, paradosso nel paradosso, sulle inquietanti incognite relative all’ospedale cittadino è a Giovanni Arvedi che si chiede di scendere in campo a sostegno delle sorti della sanità pubblica e del nostro diritto alla salute.
Ma è pur vero che intanto, nel quadro apparentemente statico della città dormiente, qualcosa si muove: una nuova, embrionale opinione pubblica cremonese affiora, interviene su quel che legge, pone domande su scelte amministrative non condivise, aggrega energie sociali sotto traccia. E lo fa nei recenti canali dell’editoria digitale in cui un crescente numero di cremonesi si riscopre partecipe di una comune avventura locale e sceglie le forme di una nuova cittadinanza attiva.
Ma per ora le risposte che sollecita non arrivano. Il Palazzo tace. Su blog e quotidiani on line i partiti si limitano a rare incursioni di propaganda autocelebrativa, ma eludono qualsiasi dialogo e confronto su temi specifici. Brillano per la loro assenza e parlano col loro silenzio. Il gioco delle parti e dei ruoli, lungo l’eterna linea di confine fra governanti e governati, fra potere che blinda le decisioni e opinione pubblica che pretende di capire, si fa via, via più evidente ed esplicito. E tutto questo, per poco che sia, è un primo, indispensabile passo verso la costruzione di un risvegliato
municipalismo che potrebbe un giorno riprendersi il posto che gli spetta nella costruzione del destino cremonese. Non sarà tramontana, ma qualche refolo d’aria persino a Cremona, se Dio vuole, ricomincia a girare.
vittorianozanolli.it
commenti
michele de crecchio
8 novembre 2022 23:56
Non sapevo del bonario giudizio sul carattere dei cremonesi formulato a suo tempo dall'avvocato Giuseppe Cappi (ultimo cremonese ad aver lasciato una sua pur modesta traccia nella vita politica della nazione quando venne eletto come primo presidente della neonata Corte Costituzionale). Certo a tale giudizio immagino che si sia ispirato, pochi anni dopo, il suo bravo praticante di studio Vincenzo Vernaschi, quando, con gran scandalo di parte degli interessati, classificò come "ruminanti" i propri concittadini.
Non saprei dire a quale tipo di animali, noi cremonesi, oggi assomigliamo di più, ma di una cosa sono certo e cioè (come ho già sostenuto in altre occasioni) che la nostra popolazione non riesce più da tempo (praticamente da quando Farinacci soffocò con la violenza il vivacissimo dibattito politico che sin dall'ottocento aveva sempre caratterizzato il nostro territorio) a farsi rappresentare da politici qualificati e adeguati ai tempi. Mentre, prima di Farinacci, i cremonesi erano infatti quasi sempre riusciti a farsi rappresentare, anche molto autorevolmente, nel Consiglio dei Ministri, con l'avvento del fascismo tale presenza non si realizzò più (neppure lo stesso Farinacci fu, infatti, mai nominato ministro!).
Salvo errore, l'ultimo ministro cremonese dovrebbe essere stato Spinelli (non ne ricordo il nome) che però resse il ministero della Industria solo nel "particolarissimo" e triste periodo della Repubblica Sociale.
Anche se la cosa non interferisce con il tema sopra affrontato, ritengo non del tutto inutile ricordare che Spinelli, nel dopoguerra, dopo essere stato a lungo consulente del dittatore argentino Peyron, seppe riacquistare la stima dei cremonesi, guidando l'OCRIM a diventare una azienda di valore mondiale.
Ada Ferrari
9 novembre 2022 09:39
Ritengo importanti questi richiami al passato cremonese che in effetti fino all'avvento del fascismo fu di eccezionale vitalità politica. Cremona fu per secoli incubatrice di culture politiche, filosofiche, sociali, economiche...per non dire della vitalità legata al pluralismo religioso e dottrinale. Come e perché ci siamo addormentati e' domanda più che mai aperta.