8 giugno 2021

A Cremona si è spenta la politica

Cremona è un continuo esperimento di riscatto, spesso mancato.

Irrisolto il rapporto con il fiume Po, dopo il fallimento del canale navigabile,  e problematico il rapporto con un ecosistema fondato sul bene prezioso dell’acqua; irrisolto il rapporto con il proprio tradizionale modello di sviluppo che vede l’agricoltura sempre più industrializzata soffrire di bassa remunerazione, eccesso di chimica, cambiamenti climatici ; irrisolto il rapporto della Fiera internazionale con l’insieme del sistema fieristico italiano ed europeo; irrisolto il rapporto con le città e i territori vicini, Crema e Milano in particolare. Irrisolto persino il rapporto con la propria identità. Ma questo è dovuto anche alle sfide della modernità che richiedono ricomprensione della propria storia, comprensione delle proprie vocazioni e potenzialità, ricollocazione geopolitica, riposizionamento geoeconomico: insomma identità da costruire e rigenerare più che da sfruttare, visione e alleanze, pensiero strategico, iniziativa  se non imprenditorialità politica.

Nei più recenti processi di globalizzazione è evidente che i territori siano stati coinvolti in modo diseguale ma la reazione  di realtà come quella di Cremona e del suo territorio è stata sostanzialmente quella di rientrare in gioco ad ogni costo riproponendo modelli superati:  supermercati in città, impianti di biogas nelle aziende agricole e, per il futuro prossimo, progetto di autostrada regionale tra Cremona e Mantova, megapolo logistico, Gronda Nord e terzo ponte.  In distonia con quell’enorme giacimento culturale rappresentato dalla città della musica, dall’arte liutaria, dai beni comuni immateriali che le nuove tecnologie sanno e possono promuovere senza regredire al mito di pesanti opere infrastrutturali.  

E tutto questo mentre si sta facendo strada a livello internazionale una nuova idea di sviluppo, una nuova cultura ecologica ed economica che dalla Conferenza di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici è arrivata al Green Deal europeo e, adesso, all’occasione di Next Generation Ue per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Nemmeno la tragica esperienza di Covid-19 sembra scalfire un impianto socioeconomico di fondo arretrato e, a mio parere, illusorio perché non in grado di portare ad alcuna rinascita o riscatto. Eppure i dati, le patologie  e i morti per l’inquinamento e gli effetti sinergici tra polveri sottili e pandemia ci dovrebbero spingere non solo a completare l’indagine epidemiologica in corso da troppo tempo ma a modificare la prospettiva e le relative proposte incidendo sulla qualità della cura, della vita, dell’abitare, della mobilità, dello sviluppo industriale e agricolo. 

Il fatto è che da almeno 20 anni subiamo in Italia un impoverimento della vita democratica, una crisi delle forze politiche sia nel numero di iscritti che della propria vitalità interna, una perdita  di ruolo dei soggetti intermedi, la centralità della tecnica al posto della politica. 

So bene che la Repubblica dei partiti di massa, per usare l’espressione di Pietro Scoppola, è tramontata e viviamo in un nuovo quadro politico e sociale dove i partiti sono diventati “cartelli elettorali” basati su convenienze temporanee, più su leader che su valori e programmi, senza una vera vita interna e senza legami sociali profondi. Ma una democrazia vive se politica e Istituzioni elettive riacquistano centralità, se si attivano per limitare e regolare i meccanismi di subalternità al mercato, anzi se superano quella che Pierre Burdieu ha chiamato “violenza simbolica”: l’interiorizzazione del mercato come qualcosa di ovvio, di  naturale, di superiore a tutto, diritti umani compresi. 

Proprio in questi giorni ricorre il decimo anniversario dei Referendum sull’acqua pubblica e contro il ritorno del nucleare come fonte di energia. Ebbene si manifestò allora una estesa mobilitazione di associazioni, una    forte partecipazione popolare e una sensibilità maggioritaria della stessa opinione pubblica italiana verso il cambiamento e il primato dei Beni Comuni che le forze politiche non hanno poi saputo interpretare e valorizzare in modo adeguato.  

In quella prova l’elettorato cremonese sia in città che in provincia non si è comportato diversamente rispetto alla media nazionale, a riprova che i cittadini cremonesi non sono responsabili delle chiusure e arretratezza del ceto politico che attualmente li governa. 

Allora la domanda che dovremmo porci è la seguente: perché in questi ultimi anni particolarmente a Cremona la politica è andata spegnendosi e così il fuoco di passioni, visioni, confronti pubblici che dovrebbe animarla? 

Perché la vita politica a Cremona, utilizzando il pensiero di Nadia Urbinati, si è persa troppo facilmente e più che altrove in piccoli rigagnoli amicali, tribali ?

A me sembra che possano essere molte le ragioni che ci hanno portato a questa situazione imbarazzante almeno per chi ama Cremona, per chi la vorrebbe degna della sua storia migliore. 

So bene che la storia di ogni Comunità è ambivalente, legata a periodi particolari, legata a contesti più generali, legata perché no al peso di personalità e condizionamenti economici, sociali, politici, culturali e religiosi più o meno rilevanti. 

Ma gli iscritti ai  partiti che operano sul nostro territorio, gli attivisti che credono alla bontà dei loro progetti politici, i Consiglieri del Comune di Cremona e quelli eletti in quel fantasma istituzionale che è il Consiglio Provinciale si dovrebbero chiedere quanto ascolto diano alle voci e alle esigenze delle comunità locali, chi si sentano di rappresentare, se il livello di delega affidato sempre più a poche mani non abbia ormai superato il livello di guardia. 

Una delle spiegazioni possibili che mi sento di avanzare è la sproporzione eccessivamente grande tra potere economico e potere politico. Nel caso di Cremona utilizzerei la chiave interpretativa che ispirò il politologo statunitense Robert Dahl nel suo fondamentale libro “ Who Governs ? democrazia e potere in una città americana”, fondamentale perché ha aperto un metodo di analisi sul campo valido tuttora. Il “liberal” Robert Dahl analizzò le strutture di potere formali e informali nella città di New Haven, per capire chi aveva lo scettro del “comando”: ceto politico, banche, giornali, industriali, attività commerciali, sindacati. Non per criminalizzare la gerarchizzazione del potere, ma per renderla evidente e dunque saperla democratizzare. Infatti il grande politologo statunitense è noto a livello internazionale per il suo sostegno al “modello poliarchico”, cioè policentrismo basato sulla pluralità di attori, poteri e responsabilità diffuse, rispetto al modello oligarchico  che “concentra” potere decisionale in poche mani.  

Riportando la domanda “Who Governs ?” alla situazione cremonese di oggi, a me pare che sempre più l’ambizione e la bandiera del riscatto sia passata in altre mani, quella del Gruppo economico più forte che  però la interpreta e piega alle proprie convenienze. Non esiste in alcuna città capoluogo di provincia, come è Cremona, una influenza e un condizionamento paragonabile a quello  del Gruppo Arvedi. Eppure Mantova o Brescia o Bergamo in Lombardia, oppure  Parma, Reggio Emilia o Piacenza in Emilia non mancano di grandi imprenditori e di un capitalismo dinamico persino più rilevante a livello nazionale. Penso al gruppo Marcegaglia nel mantovano o al gruppo Zanetti a Bergamo.

Sia chiaro: il problema principale non è lo straripare di un Gruppo economico che crea lavoro e si batte per intercettare risorse pubbliche e finanziamenti del Recovery Plan, anche se purtroppo rimuove il disagio degli abitanti di Cavatigozzi che chiedono da tempo chiarimenti sul parco rottami. Non è il mecenatismo che supplisce alle carenze non solo finanziarie, ma persino a quelle programmatorie e urbanistiche dell’Amministrazione comunale e contribuisce a recuperare il ritardo sull’offerta universitaria della città. Il problema principale è la debolezza di una politica che dovrebbe avere spessore culturale, schiena dritta, attenzione al disagio dei cittadini e volontà di dotare le Istituzioni di una più alta capacità di autonoma elaborazione  e programmazione. 

Mi auguro che sempre più persone leggano i “segni dei tempi” come sa fare Papa Francesco. Mi auguro che sempre più persone si impegnino in politica per una politica trasparente e nuova, per battere l’insofferenza verso la democrazia e la complessità che ci ha portato nel vicolo cieco del decisionismo, del plebiscitarismo, del cesarismo inseguito anche in periferia da “piccoli Cesari”.  Riproponiamo il “noi” al posto dell’”io”! 

Ai giovani chiedo di non piegarsi a conformismi e clientele in attesa di succedere ai capi tribali; piuttosto a curare le malattie della politica cremonese: subalternità agli interessi più forti ed eccesso di delega. 

Desiderio sincero di ogni democratico penso sia una città, una Polis, parte una comunità territoriale più vasta, capace di riscattarsi suscitando energie nuove, generando partecipazione, rafforzando e non indebolendo il ruolo autonomo delle Istituzioni. 

In questi giorni a Trento il Festival dell’economia 2021 discute “il ritorno dello Stato e la fine del neoliberismo”. Mi auguro che le idee di Stiglitz, Piketty, Sachs, degli italiani Barca, Mazzuccato, persino del vecchio Prodi, trovino ascolto e discussione pubblica anche da noi. 

Quello che serve urgentemente è riabilitare il ruolo autonomo della politica in tutte le sue dimensioni: locale, regionale, nazionale, sovranazionale e internazionale.

Marco Pezzoni


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Pier Luigi rizzi

8 giugno 2021 12:25

commento misurato utile per la discussione, per cittadini consapevoli del loro ruolo

Michele de Crecchio

8 giugno 2021 12:43

Con parole estremamente corrette e realistiche, Marco Pezzoni fotografa la drammatica situazione di una città che, non avendo mai maturato sufficiente consapevolezza del proprio valore, non riesce a trattenere le intelligenze più vivaci e autonome, con la conseguenza che la politica locale non riesce rendersi autonoma rispetto ai potenti locali e continua a intorpidirsi su pochi e vetusti obiettivi di politica territoriale.

Benito Fiori

8 giugno 2021 12:47

Condivido sostanzialmente

Benito Fiori

8 giugno 2021 12:53

Condivido sostanzialmente. Utile per aprire un “tavolo” di discussione con l’obiettivo di favorire la nascita di in primo luogo virtuale di confronto sul domani.

Daniele Aglio

10 giugno 2021 12:42

Per superare questa politica spenta, perché ancorata ad un modello di business e democrazia non più conformi alle necessità di sostenibilità e giustizia, si deve proprio ripartire dal lavoro degli economisti e politici citati da Marco Pezzoni.

Vittorio Foderaro

18 giugno 2021 19:06

Chiaro ben fondato e coraggioso. Poi c'è ben altro.
Raccogliamo i testimoni di un'antica originale libera civiltà