28 gennaio 2022

Abbiamo il riconoscimento Unesco del violino e non tuteliamo la città di Stradivari e di Guarneri del Gesù?

Vi sono interventi sulle città che non sono paragonabili alle catastrofi naturali né a quelle perpetrate dagli uomini. Sono quegli interventi che le deturpano: risultati  di tecniche avanzate che hanno come effetto un impatto nefasto sull’identità e la memoria cittadina. Sembrerebbero sviste, sembrerebbero inezie, sembrerebbero peccati veniali perché non incidono brutalmente. Per intenderci chi ne è autore appare al cittadino come uno sprovveduto che “non l’ha fatto apposta”. Forse egli stesso è succube di situazioni cui non può sottrarsi. In fine dei conti potremmo definire costui un “bravo ragazzo”, degno di comprensione. Per altro un intervento di ripristino sembra sempre possibile. La tecnologia ci offre certamente tecniche di restauro avanzate, ciò che però non ci restituisce è la cultura di chi aveva realizzato quei beni. Lo si voglia o no il rapporto col passato è interrotto. Le radici sono recise. 

Questi interventi possono essere assimilati alla tradizione dello spargimento del sale sulle città conquistate. La memoria sembra essere affidata alle sole carte d’archivio. Certamente queste costituiscono un bagaglio irrinunciabile per ricostruire gli accadimenti, ma la configurazione della città con i suoi edifici è esperienza che ciascuno di noi vive. Si tratta di una memoria attiva e non differita.  Per questo è doveroso riflettere su quanto è accaduto a Cremona. Anche solo qualche esempio può essere illuminante.

Chi di noi ha una vaga “percezione” di come fosse la città di Cremona prima che venissero distrutte le mura, le porte, il complesso di S.Domenico?. Neppure le stampe ci consentono d’immaginare la ricchezza urbana che per la volontà superficiale degli amministratori di allora è andata totalmente perduta. Eppure, a ben vedere, anche quelle autorità cittadine erano indiscutibilmente “brave persone”.  Le distruzioni sono state considerate segno di progresso: di ammodernamento. Ma veniamo a tempi più recenti, anche se ormai storicizzatisi. Chi di noi ha vagamente nella memoria come era piazza Roma prima dell’edificazione dei complessi abitativi che si affacciano sui giardini?. Piero Gazzola collaborò alla salvaguardia dei tempi di Abu Simbel, ma nulla poté, nonostante fosse Soprintendente, per salvaguardare il centro storico di Cremona: il centro non era vincolato.

Prendo quindi spunto da quanto scritto dall’Assessore Luca Burgazzi perché forse è proprio dalla sua affermazione che è opportuno riprendere l’argomento. L’Assessore scrive: “ben sapendo che la legislazione non aiuta in termini di prevenzione, ma ci si ritrova molto spesso ad agire solo dopo.” Mi chiedo: “un vuoto legislativo può giustificare un atteggiamento fondamentalmente fatalistico da parte di un’amministrazione, oppure è suo compito specifico individuare gli strumenti normativi alternativi che le consentono di salvaguardare il patrimonio culturale di cui essa è responsabile?”. Se non vi fosse altra soluzione che quella di attendere la rovina per poter intervenire, se non vi fosse altra soluzione oltre quella di chiamare la “polizia locale” quando qualcuno contravviene alle disposizioni in vigore, se così fosse ci si chiede se la burocrazia abbia preso il posto della politica. Il sistema innanzi tutto! Sono sconfortata. Necessariamente ci si deve arrendere così facilmente?, necessariamente si deve essere succubi di un malcostume tanto diffuso?. Debbo proprio concludere che su Cremona aleggi la voluntas moriendi?.

   Così non deve essere. Si dice fatta la legge trovato l’inganno; ma si potrebbe anche rovesciare questo detto. Mi spiego: l’Amministrazione è impotente perché non vi è un vincolo a protezione del centro storico; ebbene, lo richieda al Ministero. Non è l’Amministrazione ad istallare sul territorio di propria pertinenza semafori o autovelox dove si ravvisa la possibilità di incidenti? Analogamente, provveda a porre in atto tutte quelle azioni necessarie per ottenere lo strumento essenziale per salvaguardare la città da continue deturpazioni. Solo il vincolo del centro storico evita interventi impropri sulla nostra città. Cremona è forse storicamente meno significativa di Mantova o di Parma?. Le memorie del suo territorio sono forse così prive di valori da ritenerle non degne di attenzione?. Si deve forse ricordare l’importanza della storia per averne coscienza? La storia non è una mera disciplina nata dalla curiosità di sapere come eravamo, ma  costituisce la radice identitaria di un popolo. Non a caso Benedetto Croce, ateo, ha scritto quel mirabile testo che fa riferimento alla civiltà cristiana: Perché non posso non dirmi cristiano

La tutela dei centri storici è disciplinata nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004 e ss. mm. e ii.). Mi limito ad un generico riferimento perché la materia legislativa va affrontata solo da chi per propria formazione ne ha fatto oggetto specifico di studi e di approfondimenti. Per attivare nuove tecnologie (colonnine per la ricarica elettrica delle auto) dobbiamo proprio offendere piazza S. Agata?. Non si tratta di mero rispetto, ma coscienza civica, per altro, condivisa dalla cittadinanza. 

Facendo riferimento proprio alla cittadinanza sento già levarsi obiezioni da parte di chi, non sapendo cosa sia un vincolo, teme che questo costituisca un limite alle proprie libertà, ai propri diritti e alle proprie iniziative.   

Va precisato che il rispetto per i beni che ci provengono dal passato  non comporta  bloccare la città in un tempo che non è coevo ad oggi. Il vincolo porta ad indirizzare le scelte progettuali verso soluzioni congrue che sappiano contemperare le funzioni d’uso (bisogni abitativi d’oggi e una viabilità sostenibile) al rispetto dell’esistente. È questo il compito specifico della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio: indirizzare le iniziative dei cittadini per raggiungere entrambi gli obiettivi. 

Se sono giustificabili i timori dei singoli cittadini, perché il termine “vincolo” può indurre in errore, non altrettanto è giustificabile la posizione di un’amministrazione che non si attiva per ottenerlo. 

Si è voluto il riconoscimento del violino come espressione della cultura immateriale e non si opera per salvaguardare la città di Stradivari e di Guarneri del Gesù. 

Non si vorrebbe che l’indolenza portasse allo sfacelo. Quando un sito è rovinato nessuno può miracolosamente restituirlo. Per questo la conservazione è doverosa e non il restauro definito inopportunamente “ritorno all’antico splendore”. Il tempo che noi sperimentiamo non è reversibile. È un falso ideologico ritenere di poterlo riprendere: nessuno di noi ringiovanisce, non vi è nessuna cura miracolosa in tal senso!.

Altrettanto, un presente senza memoria è una condizione patologica sia per il singolo sia per la collettività. Si è fatto cenno che l’architettura e l’urbanistica devono saper contemperare le esigenze contemporanee con la salvaguardia della memoria. Un contributo all’interno di tale percorso potrebbe essere favorito dall’apposizione del vincolo di tutela paesaggistica per il centro storico della città che l’Amministrazione potrebbe favorire.

Un’osservazione in questo contesto è d’obbligo. Non è lecito semplicemente scaricare sulle precedenti amministrazioni le colpe. Ciò non significa che non ne abbiano, ma siamo tutti adulti: ognuno assuma le proprie responsabilità. Oggi si tratta di non soccombere all’accidia.  Se una multa impingua l’erario comunale, non serve certo a ricompensare Cremona della sua perduta identità. Non si tratta di condividere semplicemente comuni valori, come è stato scritto dall’Assessore, ma di renderli concreti. Quanto è auspicabile per il cittadino, per l’Amministrazione è un dovere specifico. 

Se nel lontano 26 luglio del 1876 il re Vittorio Emanuele II istituiva con Regio Decreto una commissione conservatrice dei monumenti d’arte e d’antichità per la provincia di Cremona, come si può pensare oggi di disattendere al compito di conservare il nostro patrimonio cittadino di cui noi siamo responsabili?. 

Anna Maramotti Politi


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commenti


Marco Ermentini

31 gennaio 2022 18:36

Ha proprio ragione Anna Maramotti Politi, le smemoratezze di chi ci governa non sono giustificabili nel caso dello sfregio davanti al palazzo Cittanova. E non è un caso isolato ma una spia degli smarrimenti e delle smemoratezze attuali. È in atto una vera e propria distruzione del passato, o meglio una distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti. Ma, dimenticare il passato vuole dire anche far scomparire il futuro. Non è questione nostalgica di ritornare al passato: piuttosto si tratta di permettere al passato, ancora una volta, di trovare la sua strada nel futuro.

michele de crecchio

3 febbraio 2022 14:52

Condivido le opinioni di Maramotti ed Ermentini. Aggiungo che mi chiedo spesso perché Cremona, pur possedendo il più grande (per estensione, ma non solo) centro storico di Lombardia (dopo Milano) lo abbia, in passato e ancora recentemente, difeso così poco (molto meno di quanto non abbiano fatto le vicine città di Parma, di Mantova e, aggiungerei, di Pavia). Forse la motivazione sta nel fatto che, in passato, Cremona non fu sede di stato (come invece avvenne per Mantova e Parma) e non maturò mai, di conseguenza, un adeguato orgoglio di sé stessa, e non fu nemmeno sede universitaria (come invece avvenne per Pavia) e non acquistò, di conseguenza quella più diffusa consapevolezza culturale che avrebbe potuto forse evitarle tanti danni. Oggigiorno tali "handicap" dovrebbero essere finalmente superati e spetta solo alla politica locale riprendere, con la necessaria energia, quel discorso di maggiore attenzione per i problemi di tutela della città che, sul finire del secolo corso e agli inizi del nuovo, pur tra non poche incertezze ed errori, sembrava finalmente acquisito dalle amministrazioni di allora.