Adulti con gli occhi aperti. La risposta che l’emergenza educativa attende
In queste ore crescono i segni di speranza rispetto all’emergenza pandemica. Il ritorno in classe degli studenti delle superiori almeno al 50% e dei preadolescenti di seconda e terza media è ossigeno puro per lenire almeno in parte la gravissima crisi educativa che da più parti si denuncia. Si tratta di una fatica spesso sotterranea, o almeno così pare. In realtà è fondato il timore che, proprio come un torrente carsico, il ritiro sociale, l’accomodamento in famiglia per alcuni o l’acuirsi dei disagi domestici per altri riemergeranno, come in parte sta accadendo, e ne avremo per molto tempo.
Nessuno certamente è così ingenuo nel voler cercare, con spirito forcaiolo, responsabilità di singoli, dalla politica al mondo educativo. Troppo ingenuo leggere fenomeni complessi e quasi imprevedibili con giudizi semplicistici. Resta però vero che a tutti è chiesto di aprire gli occhi sulla delicata fase che stiamo attraversando e avere il coraggio di rimettere al centro i ragazzi, la loro vita e soprattutto la loro voce.
Già da troppo tempo si è come imbrigliati in una classificazione dell’adolescenza tra buoni e cattivi, studiosi e lazzaroni, ragazzi che possono accedere alla carriera liceale (in Italia gli iscritti ai licei sfiora il 52%!) e chi si deve accontentare. Si tratta di classificazioni intellettualistiche, che di fatto svuotano il senso preziosissimo delle diversità e minano la serietà di tutti i percorsi, ma soprattutto frustrano le originalità di ciascuno, forse perché occorre frettolosamente incasellarle nelle famigerate “competenze”. Ora non si tratta di guerreggiare sui termini, ma – mi permetto di ripeterlo – aprire gli occhi sui ragazzi: su chi di loro in casa vive la tensione per una connessione debole o un dispositivo inadeguato o, al contrario, la pigrizia del disimpegno. Se questi sono, mi si permetta, gli estremi, possiamo solo immaginare l’infinita sfumatura delle condizioni, spesso silenziate dall’imbarazzo. Tornare alla socialità scolastica e, speriamo presto, sportiva, oratoriana, associativa… in una parola tornare ad essere ragazzi con altri ragazzi e riconoscersi in percorsi di crescita: questo l’obiettivo che ci auguriamo potrà essere di tutti.
Aprire gli occhi, dunque. E non solo sul costo economico della crisi, ma in modo particolare sul futuro che i ragazzi rappresentano: certo come “beni” sociali, ma innanzitutto come le nuove generazioni cui affidare semplicemente e radicalmente il mondo.
Ma da dove ripartire?
Forse dall’ascolto reciproco e dalla condivisione di un pensiero, dalla ricerca, senza pregiudizio, di come stiamo vivendo questi mesi di assoluta difficoltà che, se non è paragonabile a tante e pregresse piaghe mondiali, sicuramente per il nostro piccolo mondo agiato ha la portata di un arrocco, se non di uno scacco matto. Questo ascolto ci auguriamo avvenga sul terreno comune che adulti e ragazzi stanno riscoprendo: non quello della – naturale – contrapposizione generazionale, ma quello degli affetti, della fragilità toccata con mano e della cura reciproca. Torniamo a parlare di umanità non sempre acquistabile, misurabile, trasformabile in soldi. Ridiamo spiritualità, anche molto laica, alla relazione di ascolto.
E poi un altro passaggio: agevolare appena possibile, con sforzi proporzionati alla posta in gioco, il rientro del “corpo espulso”, ovvero la riappropriazione da parte dei ragazzi di spazi, tempi e modalità educative, di esperienze che fanno la differenza e di occasioni di vera maturazione. Appena sarà possibile, si trasformeranno alcune ore di scuola per recuperare uscite ed esperienze? Appena sarà possibile, qualche adulto si metterà a disposizione per riattivare momenti aggregativi, sportivi, culturali? Oppure si permetterà che i frammenti del fatto educativo, sparpagliati qua e là dal vento gelido del distanziamento, restino lì dove sono e sia solo dei “migliori” o dei più strutturati il recupero? Quale sarà, dunque, il ruolo della comunità adulta davanti a questa scomposizione? Non neghiamoci infatti che un rischio c’è: il deserto degli adulti che potrà solo rendere la prossimità un miraggio.
Dunque esserci, ascoltarsi, riaprire spazi e tempi, appena possibile e vincere la paura, ma soprattutto la stanchezza, che in questi mesi sta paralizzando in primo luogo gli adulti. Perché si è preoccupati, e giustamente, per il posto di lavoro e per la precarietà del vivere; perché certe battute di arresto, certi tira-e-molla colpiscono più duramente chi è più strutturato e, fatalmente, più rigido.
Oratori, società sportive e associazioni iniziano a scaldare il motore, guardando all’estate 2021. Devono però sin da ora rinsaldare alleanze di rete, parlarsi, mettersi a disposizione, sintonizzarsi con le famiglie disponibili e sostenere quelle in difficoltà. Una parrocchia, ma anche un allenatore, una scuola o un insegnante dovrà guardarsi attorno e focalizzare i volti che non vede più, e chiedersi che fine hanno fatto; e ricontattarli, manifestare loro prossimità e cura. Le attività estive degli Oratori torneranno a mettere al centro il gioco e la relazione educativa, ma anche il servizio per i più grandi e la spensieratezza per i più piccoli. Sarà l’estate di Hurrà, questo il titolo-tema scelto dalle diocesi lombarde -, ovviamente dentro un assoluto rispetto dei protocolli sanitari. E sono certo che anche altre agenzie educative ce la metteranno tutta.
Ma prima, come condizione di fondo, sarà davvero prezioso, anzi insostituibile, che il mondo adulto abbia davvero occhi ben aperti!
Presidente della Federazione degli Oratori Cremonesi
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