Ambrogio di Milano: una santità tutta lombarda che è ancora oggi attualissima
Mi perdoneranno gli amatissimi lettori cremonesi se oggi dedico un piccolo omaggio al patrono di Milano, ma sono certo che sapranno apprezzarne le virtù, che sono utili anche ben fuori dalla sua città.
Per la verità il più milanese dei santi era tedesco, ed è questa una delle cose che lo rendono ancor più milanese: una città che da sempre accoglie i non milanesi dandogli ruoli di primissimo piano senza alcuna gelosia. Nacque infatti a Treviri (o meglio Augusta dei Trebiti, in omaggio ai discendenti del suo fondatore che in realtà era un Assiro…l’accoglienza era già nella storia di Ambrogio per nascita), all’estremo confine dell’ormai decadente Impero Romano d’Occidente, attorno al 340 d.C. La stessa città dove secoli dopo nascerà anche Karl Marx: ed è questa un’altra coincidenza non secondaria, ché nella “ambrosianità” un po' di socialismo ante litteram non mancò di certo.
Figlio di un funzionario imperiale di rango e funzionario imperiale a sua volta, narra la leggenda che ancora fanciullo davanti agli increduli occhi paterni si addormì in bilico su una seggia ed uno sciame di api dorate gli entrasse e uscisse dalla bocca senza fargli un graffio: segno premonitore di sanità, predicazione e della sua predisposizione a pregare cantando, di cui poi diremo.
Milano diviene capitale dell’Impero Occidentale in decomposizione nel 286 d.C., e lo rimane fino al 402 d.C., emanando un notevole splendore di cui non è rimasta nessuna traccia, giacchè pochi anni dopo le devastanti incursioni di Uraia e dei suoi barbari Bergognoni la raderanno completamente al suolo facendo strage di quasi tutti i suoi 300.000 abitanti, i cui pochissimi sparuti sopravvissuti dovranno accamparsi letteralmente sul Lambro per sopravvivere.
Al tempo in cui Ambrogio giunge a Milano divenendo governatore dell’alta Italia, regna l’inadatto e debole Valentiniano, che di fatto ha consegnato il comando dell’Impero alla moglie Giustina, che non solo è crudele e ambiziosa, ma anche di fede ariana… L’Arianesimo prende il nome dal Vescovo Ario, che negava in sostanza la sostanza divina di Cristo, ritenendolo solo una creatura e non la stessa essenza del Padre. Oggi ci pare una fesseria, ma all’epoca la cosa aveva causato lotte fratricide tra i cristiani, al punto che al famoso Concilio di Nicea Costantino il Grande impose la “consustanzialità” delle due nature divina e umana di Gesù, bollando come eretico Ario: il credo che ancora oggi si recita a Messa “della stessa sostanza del Padre…” viene proprio detto “niceno” e viene da lì. Ma gli ariani erano molto ben piazzati in società e duri a cedere le proprie convinzioni, e Milano era letteralmente spaccata in due tra questi e i cristiani “ufficiali”: Ambrogio era di fede cristiana, la corte imperiale ariana ed anche il vescovo Aussenzio lo era. Alla morte di quest’ultimo la situazione precipita al punto che non si riesce a trovare un successore, e si finisce per imporre ad Ambrogio, stimatissimo e amatissimo governatore, la nomina a Vescovo: il poveretto arriva perfino a riempirsi la casa di prostitute ea scappare di notte pur di schivare la nomina ma non c’è nulla da fare, il popolo l’Imperatore e il Papa sono tutti d’accordo, come in una canzone di Jannacci, e per lui non c’è scampo.
Il resto è storia, dell’Impero e della Chiesa: uscirà vincitore dagli assedi di Giustina, costringerà il sanguinario Imperatore Teodosio a inginocchiarsi per chiedere perdono delle sue stragi, convertirà Sant’Agostino venuto a Milano per contestarlo, inventerà gli Inni ed il recto tono (la preghiera cantata insomma), sarà Padre della Chiesa per le sue vette teologiche, flagello dell’eresia e costruttore di tante splendide Basiliche che ancora oggi possiamo visitare a Milano. La sua comunità era celeberrima per comunione dei beni, solidarietà e accoglienza, tanto appunto da essere da molti indicata come “socialista ante litteram”, ed era iperattiva e laboriosa nel più rigoroso stile lombardo: un’accoglienza asciutta ma reale, che pretendeva il lavoro e il rispetto delle leggi in cambio di pane e solidarietà. Fu un vero paladino della laicità dello Stato e della contestuale autonomia della Chiesa: era vescovo ma anche funzionario imperiale, e batteva come un martello sulla politica come servizio alla Civitas e non come usurpazione del potente di turno.
Sulla scia di Ambrogio la Chiesa di Milano ha generato vescovi illustri e santi, che sono stati non solo pastori di anime ma eccellenti governanti in una città che periodicamente per secoli si è trovata senza autorità: Ausonio, Galdino, Carlo e Federico Borromeo, Schuster e molti altri.
Giorni fa l’Università degli Studi di Milano ha pubblicato una nuova ricostruzione anatomica del volto di Ambrogio, senza capelli e barba ovviamente, realizzata da alcuni suoi illustri anatomopatologi, segno che ancora oggi la sua figura è indimenticata, ed anche che abbiamo bisogno di toccare con mano, in un certo senso, questi intramontabili punti di riferimento https://lastatalenews.unimi.it/labanof-statale-ricostruisce-volto-santambrogio.
Sono passati quasi 2000 anni, e di “ambrosianità” si parla ormai pochissimo: una fiammella che lentamente e inesorabilmente ha perso di intensità. Oggi parliamo di accoglienza in continuazione, ma in modo assistenziale e senza condivisione reale, e senza porre il lavoro e il rispetto delle leggi come condizioni essenziali della solidarietà: tra di noi continuiamo a scannarci per il denaro e guai a chi ci tocca un privilegio. La società dei diritti si è mangiata quella dei doveri, le Festività vengono abolite tutte tranne quelle buone per spremerci soldi, abbiamo una Chiesa sempre più laica e secolarizzata e uno Stato sempre più ecumenico e moralista, in cui la politica appare sempre meno servizio e sempre più un privilegio per pochi.
In questo tempo che è tutto meno che eroico, Ambrogio è autorità con autorevolezza, fatta di rischio e di passione, di rigore, impegno e fermezza e tuttavia di rispetto, apertura e fraternità.
Soleva dire Ambrogio ai suoi fedeli, più o meno: “voi dite che i tempi sono brutti, che i tempi sono cattivi, ma io vi dico: vivete bene e cambierete i tempi”.
Un buon Sant’Ambrogio serve a tutti, non solo a Milano.
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