6 ottobre 2023

Avremo un nuovo ospedale ma, per l'assistenza, assai difficilmente migliore di quello attuale

E’ difficile non essere d’accordo con le recenti dichiarazione del presidente del Consiglio Giorgia Meloni a proposito della mancanza di fondi per la sanità pubblica e quindi “provare a confrontarci tutti con coraggio, lealtà e verità anche su come quelle risorse vengono spese. Perché non basta necessariamente spendere di più per risolvere i problemi se poi quelle risorse venissero utilizzate in modo inefficiente”, specie se analizziamo l’attuale situazione cremonese, ove l’impiego di trecento milioni (diconsi 300.000.000) di euro per la costruzione di un nuovo ospedale senza un piano sanitario complessivo e senza sapere con quali contenuti verrà riempito, dimostra che c’è ancora molta, troppa strada da fare per risollevare le sorti di una sanità pubblica in crisi e da molti vissuta esclusivamente come gestione del potere politico.

Il Presidente del Consiglio sostiene che non ci sono fondi per rimediare ad una spesa sanitaria che ci vede all’ultimo posto nel G7 e al 14° posto in Europa (dati Fondazione GIMBE) e tuttavia i 300 milioni di cui sopra (teorici per difetto, non si è mai visto un progetto di questo tipo rispettare né i preventivi di spesa né i tempi di realizzazione) sono evidentemente disponibili per la soddisfazione di politici e stakeholders e meno, molto meno dei cittadini, ormai destinati alla sanità a pagamento. C’è qualcosa che stride tra le dichiarazioni del Governo e le scelte locali, in un campo dove ogni politico deve per forza piantare la sua bandierina, indipendentemente da una riflessione più ampia e che dovrebbe riguardare il bene e la salute di tutti. Anche perché l’assistenza sanitaria non la fanno gli annunci e l’impegno edilizio, bensì il personale, le attrezzature, l’organizzazione.

C’è poi il discorso relativo al DEA di II livello, quello che stabilisce l’eccellenza di un ospedale e che, è bene sottolinearlo, è del tutto indipendente dalla struttura muraria. A chi ha avuto la fortuna (o sfortuna) di frequentare molti ospedali lombardi di eccellenza (dal Niguarda alla Clinica Mangiagalli ad alcuni padiglioni del Policlinico di Milano e di Pavia) si è reso conto che la competenza, l’esperienza, l’organizzazione, il successo dell’assistenza sono fattori del tutto indipendenti dalla data di costruzione degli edifici.

In altre parole, il DEA di II livello non fa riferimento alla struttura, bensì ai contenuti. Non risulta poi da nessuna parte che un ospedale si debba qualificare per la presenza di un parco ricreativo con giochi, laghetti, anatre e cigni, ciclo-officina. Perché un ospedale possa venire definito di II livello sono invece necessarie, lo dice la legge, numerosi reparti ad elevata specializzazione, indipendentemente dal contesto edilizio e dal panorama. Ancora una volta si punta sul contenuto, non sul contenitore. Fortunatamente alcuni di questi reparti sono già operativi nell’attuale ospedale di Cremona e per questo deve essere apprezzato lo sforzo dell’attuale Direzione, specie se confrontata con i risultati di molte delle precedenti gestioni.

Tuttavia quando si legge che “l’attribuzione del DEA di II livello all’ospedale di Mantova non inficia il percorso che porterà al medesimo riconoscimento per l’ospedale di Cremona. Fine della discussione” (Malvezzi, Fasani, Simi (FI) 4 ottobre 2023), qualche dubbio sorge spontaneo. Ci auguriamo tutti che le cose finiscano bene, però  il decreto ministeriale 70, tutt’ora in vigore, stabilisce che il DEA di II livello ha, testualmente, “un  bacino di utenza compreso tra 600.000 e 1.200.000 abitanti”.  Dal momento che l’intera provincia di Cremona di abitanti ne fa circa 350.000 e quella di Mantova arriva a 412.000, una banale addizione arriva al risultato totale di 762.000, rendendo evidente che più di un DEA di II livello nel sud della Lombardia non ci può stare.

E’ pur vero che viviamo nel Paese del “fatta la legge trovato l’inganno”, però sui numeri è difficile mentire.  Mancano comunque, come prescritto dalla normativa, almeno il reparto di cardiochirurgia e la Terapia Intensiva Neonatale, sì proprio la TIN, quella trasferita d’imperio, senza spiegazioni e nonostante la mobilitazione cittadina, dall’ospedale di Cremona alla Poliambulanza di Brescia. Se quindi restiamo alla legge attualmente in vigore, il conto è presto fatto: a Cremona potremo avere un incantevole contesto naturalistico con i droni nel cielo e le paperelle nel laghetto, ma assai difficilmente un ospedale migliore dell’attuale, per lo meno in termini assistenziali.

vittorianozanolli.it

 

Pietro Cavalli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Pasqy

7 ottobre 2023 04:46

" La corte degli asini "e la " salute dei cittadini " due romanzi inediti che chiarirebbero bene la situazione in cui vive il territorio dal punto di vista sanitario e la insipienza e la incapacità o gli interessi ? di chi dovrebbe bene amministrare

Innominato

15 ottobre 2023 19:02

L'ospedalino la vergogna degli incapaci