8 agosto 2021

C’è ancora qualcuno che confonde Dio con una beauty farm

La confusione umana nella quale siamo immersi ormai da diversi anni – una vera e propria “crisi antropologica” – inevitabilmente si riverbera nella sfera religiosa e spirituale. Ormai è un dato di fatto che l’uomo di oggi abbia eliminato – o cerchi di farlo – alcune dimensioni del vivere che fino a qualche decennio fa erano accettate da tutti: la fatica, la sofferenza, il sacrificio, il fallimento… Realtà che hanno consentito alle precedenti generazioni di maturare nella propria umanità, di irrobustire il proprio carattere, di fortificare la propria volontà.

Quanti genitori, purtroppo, fanno di tutto perché i loro figli non incontrino sul loro cammino esperienze di prova, di dolore, di insuccesso, di sconfitta. Credono che farli vivere in un paradiso artificiale contribuisca alla loro serenità, ad una loro crescita armonica e non si accorgono, invece, che stanno impedendo loro di assumere quegli anticorpi così indispensabili per il futuro. Per poi lamentarsi se a trent’anni non riescono a fare delle scelte definitive, se guardano al futuro con terrore e immobilismo e se di fronte al primo smacco si lasciano vincere dalla disperazione. Eterni bambinoni che non riescono a staccarsi dal nido materno per spiccare il velo.

Siamo la società del benessere, cerchiamo e vogliamo solo quello a prezzo anche di una vita incolore, monotona, senza sfide, conflitti e provocazioni.

E tutto questo, certamente, ha un riverbero nell’ambito religioso. Aumentano le persone che vanno alla ricerca di una religiosità che li consoli, che offra una tranquillità interiore, la certezza di una felicità immediata e a buon mercato. Diversi anni fa era in voga la New Age, poi si è passati alla Next Age per ritornare a certe filosofie orientali o un sincretismo che mette insieme il “meglio” delle diverse religioni. Si va a Dio come si va in una “Beauty Farm” per uscire belli, tonici e rilassati.

Che si cerchi la religione solo per trarre vantaggi lo aveva già intuito Gesù nel capitolo VI del Vangelo di Giovanni che stiamo leggendo in queste calde domeniche di luglio e di agosto: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. 

Un Dio “a mio uso e consumo”, che utilizzo solo quando mi serve: cioè quando ho bisogno di essere rassicurato, consolato, protetto. Un “Dio cerotto” che adopero solo per coprire le ferite della vita. Forse è per questo che per molti è difficile aderire pienamente alla fede cristiana: essa è estremamente esigente perché chiede un coinvolgimento pieno della persona, chiede di mangiare addirittura il pane della vita che è il corpo di Cristo, cioè di entrare in una relazione intima e profonda con Lui condividendo così il suo modo di pensare e di agire. Per essere cristiani, infatti, non basta postare una foto di Padre Pio su Facebook invocando dai propri “amici” degli improponibili “amen” o andare in chiesa il giorno di Santa Rita per ritirare la rosa benedetta, amuleto a buon mercato contro la sfortuna!

Essere cristiani significa lasciarsi avvolgere totalmente dallo stupore! Il primo passo è sempre lo stupore, guai se la fede non si nutrisse di stupore: faremmo la fine dei giudei che, in preda al disincanto, rifiutano di vedere in Gesù la presenza di Dio! Lo stupore è, invece, il motore di tutto: stupore di essere amati immeritatamente, di avere qualcuno che si prende cura di noi, di essere pensati fin dal principio. Stupore perché il Dio che ha fatto il Cielo e la Terra si è fatto uomo e si è messo a camminare accanto a me condividendo tutto il peso del vivere e offrendomi la possibilità di liberare la mia umanità.

Certo lo stupore non basta perché poi si presenta il combattimento contro sé stessi per purificare un amore che spesso è solo desiderio di possesso, per vincere quelle passioni che ci rinchiudono nel nostro egoismo, per imparare che è perdendo la propria vita che la si conquista, per non lasciarsi sopraffare dall’abitudinarietà e dalla superficialità.

Cristo, infatti, non ci dona un benessere interiore a buon mercato. Tra l’altro il benessere che ci offrono certe filosofie o tradizioni orientali così in voga oggi è qualcosa di estremamente individualista al limite dell’egoismo e dell’indifferenza: si ricerca, infatti, una serenità, un equilibrio interiore a prescindere dagli altri, da chi ci sta intorno. Tutto il contrario dell’esperienza cristiana!

Il maestro di Nazareth non ci promette un benessere a scapito di tutti o di tutto, ma una gioia profonda che nasce da un amore che è sempre traboccante, dal riconoscimento dell’altro come un fratello da onorare e servire. Allora questa gioia, che è dono dello Spirito, comporta un lungo e duro cammino di ricostruzione del proprio io ferito dal peccato. Occorre, cioè, passare dalla Croce – fare esperienza di morte – per risorgere uomini e donne nuovi che non usano Dio per i propri scopi ma che si lasciano inondare dalla sua presenza fino al punto da considerare la propria esistenza un nulla dinanzi allo splendore della vita senza fine. Uomini e donne che, come San Lorenzo martire - la cui festa celebreremo il prossimo 10 agosto - hanno offerto tutto a Dio. Lorenzo, Santa Chiara (11 agosto) e San Massimiliano Kolbe (14 agosto) non hanno cercato il proprio benessere, non si sono rivolti a Dio solo per trovare consolazione e protezione, ma per essere inondati dai doni dello Spirito.

Claudio Rasoli


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commenti


anna maramotti

12 agosto 2021 06:47

ricordo quando, anni fa, Lei a S.Abbondio per la S. Messa della domenica predisponeva un foglietto con una breve esegesi del Vangelo. Non ho mai avuto occasione di dirLe grazie, oggi la ringrazio per allora e per i suoi editoriali.