C'è un tempo per piangere e c'è un tempo per gioire
All’inizio dell’Avvento si erge, ieratico ed austero, Giovanni il Battista. È l’ultimo dei grandi e impetuosi profeti dell’Antico Testamento, colui che riassume tutte le profezie e le dirige, proprio come il suo dito puntato, verso l’Agnello di Dio.
E da buon profeta il Battista smaschera quella religiosità formale e ipocrita, che invece di convertire il cuore dell’uomo, lo accarezza e lo giustifica: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”! In altre parole: “Riconoscete che il peccato che domina la vostra vita non fa altro che corrodere il vostro cuore dividendolo, spingendovi a guardare gli altri con sospetto e cattiveria e facendovi giudicare Dio come un tiranno, avido della vostra libertà”.
Giovanni, con un linguaggio per certi versi arcaico e terribile, retaggio di un modo duro di vedere Dio e la sua azione nella storia, ricorda che c’è un tempo per piangere su sé stessi, per riconoscere, cioè, di aver inseguito finora solo una caricatura dell’amore.
D’altra parte che cos’è il peccato? La risposta sbagliata al nostro desiderio di felicità, di pienezza, di completezza. Satana, il grande maestro dell’inganno, tenta in tutti i modi di convincerci che il frutto dell’albero proibito è così bello, così buono, così gustoso e che il limite che Dio ci ha imposto è solo un subdolo gioco per renderci infelici e insoddisfatti e per non permetterci di assaporare il suo stesso potere, la sua stessa libertà.
Assai geniale è la scena finale del film “L’Avvocato del Diavolo” con un insuperabile Al Pacino che interpreta il principe delle tenebre. Nel colloquio con il figlio, interpretato da Keanu Reeves, egli spiega: “A Dio piace guardare, è un guardone giocherellone, riflettici un po’… Lui dà all’ uomo gli istinti. Ti concede questo straordinario dono e poi che cosa fa? Te lo giuro che lo fa per il suo puro divertimento… Per farsi il suo bravo, cosmico spot pubblicitario del film. Fissa le regole in contraddizione, una stronzata universale. Guarda ma non toccare, tocca ma non gustare, gusta ma non inghiottire. E mentre tu saltelli da un piede all’altro lui che cosa fa? Se ne sta lì a sbellicarsi dalle matte risate! Perché è un moralista! È un padrone assenteista, ecco che cos’è! E uno dovrebbe adorarlo?! No, mai!”
Il demonio fa bene il suo mestiere perché cerca sempre di convincerci che Dio è un grande sadico che si diletta a tenerci schiavi e che crea le cose, le emozioni, le sensazioni solo per il gusto di impedirci di assaporarle appieno. In verità Dio ci ha messo a disposizione il mondo intero, ce lo ha consegnato quando ancora era un giardino terrestre e lo ha posto sotto il nostro comando. Una sola cosa ci ha chiesto: rispettare un limite – il frutto proibito - così da non cadere nella tirannide dell’onnipotenza che è sempre foriera di arroganza, ingiustizia, crudeltà.
Tutto, nel mondo, è a disposizione dell’uomo ma ha una condizione – l’unica, la sola – che ogni cosa sia fatta per crescere, per maturare nell’amore. E dunque che le cose siano gustate, ma anche condivise con gli altri; che le sensazioni e le emozioni siano assaporate ma per creare relazioni vere, autentiche, durature… oblative con gli altri. Niente è dunque precluso all’uomo che cerca l’amore! Quello, però, che Cristo insegna dall’alto della croce e che è offerta pura e assoluta di sé stessi, non quello che ci propina il mondo che è la ricerca unicamente del proprio piacere e del proprio benessere! L’amore del mondo rapisce, sbrana, divora, umilia! L’amore secondo Dio dona, costruisce, crea legami indissolubili, contempla, ringrazia…
Giovanni, dunque, mi sprona, nuovamente – e non bisogna mai stancarsi – a fare verità in me, a riconoscere quanto il peccato stia inquinando il mio rapporto con Dio – facendomelo apparire lontano, indifferente, crudele -, con gli altri – dipingendoli unicamente come un intralcio alla mia libertà e alla mia autorealizzazione -, ma anche con il mio intimo più segreto rendendomi estraneo a me stesso, come se fossi diviso, sparpagliato!
Dovremmo davvero imparare a capire quanto il peccato sia devastante ed estraniante, fomentatore di odio e di egoismo, di spietatezze e di insensibilità. Più ci si abbandona al peccato e più ci si impoverisce in umanità. Occorre poi grande attenzione non solo al peccato mortale, quello più grave, ma anche ai cosiddetti peccati veniali: non vanno mai sottovalutati, perché creano delle abitudini cattive che, giorno dopo giorno, inaridiscono il cuore negandogli slanci e progetti ambiziosi.
È dunque il tempo del pianto, cioè di riconoscere la gravità del peccato che si insinua nell’animo e impedisce di sprigionare tutte le energie d’amore che realizzano in pienezza l’uomo. C’è una sana tristezza – spiega San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi – che viene da Dio e che “produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza”. Ci sono santi – nella storia della Chiesa – che pensando ai loro peccati piangevano come bambini: sapevano, infatti, di aver dato un dispiacere a Dio, di non aver corrisposto, come avrebbero voluto, all’amore di Gesù che, per loro e per tutti, è morto sulla Croce versando il proprio sangue.
Un ultimo appunto: Cristo, rispetto a Giovanni, – e lo capiremo meglio nel Vangelo di domenica prossima – ha manifestato un approccio diverso anche se non contrastante! Se Giovanni intona il lamento, Gesù suona la melodia dell’amore sponsale; se Giovanni parla di giudizio, Gesù innalza un inno alla misericordia; se Giovanni invoca il sacrificio e la penitenza, Gesù offre perdono e compassione.
Giovanni insiste sulla serietà della vita del credente, sulla drammaticità della libertà umana, sull’importanza della lotta contro il male e il peccato, Gesù, invece, rimarca la gioia del discepolato, la pazienza e la sollecitudine del Padre e, soprattutto, il suo infinito amore. C’è un tempo per piangere e c’è un tempo per gioire.
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