Calli alle ginocchia e calli sulle mani
C’è un “unico necessario” che offre un significato plausibile alla vita, che unifica il cuore disperso in tanti rivoli di un quotidiano convulso e confuso, che permette all’animo di affrancarsi dall’ansia del fare, che libera dall’affannosa ricerca dei risultati, gli unici che, agli occhi del mondo, fanno credere di essere utili, essenziali, importanti.
Quell’“unico necessario” lo ha scoperto Maria, sorella di Marta e Lazzaro, in quella casa di Betania che Gesù ha eletto come suo “buen retiro”, luogo di legami e di affetti, di rigenerazione interiore che solo l’amicizia, quella vera, può innescare.
Questa donna, descrive il Vangelo di questa afosa domenica di metà luglio, siede ai piedi del Maestro per ascoltare la sua Parola. Maria è così rapita dai discorsi del Nazareno da dimenticare di aiutare la sorella che si sta affannando in cucina per rendere il più gradevole possibile il soggiorno del loro amico. Marta non sta facendo altro che seguire le regole dell’ospitalità, così chiare e importanti per la cultura orientale: il brano della Genesi, proclamato come prima lettura, ci ricorda che Abramo accogliendo tre misteriosi viandanti nella sua dimora, accoglie Dio!
E questa “inattività” di Maria è stigmatizzata dalla sorella che, in buona fede, vuole fare bella figura con Gesù donandogli il meglio! Marta ama sinceramente Cristo e cerca di dimostrarglielo come ne è capace! Il Maestro di Nazareth, invece, rimprovera bonariamente la donna sottolineando l’atteggiamento corretto di Maria che, nella sua semplicità, ha scoperto che cosa è davvero necessario per la vita dell’uomo: ascoltare Dio!
Il grande errore di Marta è credere di poter accogliere degnamente Gesù nella sua casa! In realtà è Cristo che accoglie la famiglia di Betania nella sua dinamica di amore offrendole quella parola di salvezza che libera gli uomini dalle ansie e dagli affanni della vita. Marta, come ogni buona persona religiosa, pensa di poter meritare la benevolenza e l’attenzione di Dio con le proprie opere e i propri meriti. È la grande illusione! Dio non mi ama perché compio perfettamente quei gesti religiosi che mi sono richiesti dalle leggi e dalle norme della Chiesa, Dio mi ama indipendentemente dai miei meriti e dalle mie capacità, dalla mia fedeltà, dalla mia purezza, dalla mia coerenza! Il suo amore viene sempre prima e non è condizionato dai miei risultati!
Maria questo lo ha scoperto per cui lascia che sia Gesù ad accoglierla e a introdurla nel mistero della sua persona e della sua missione di salvezza! Il modo più bello per ospitare Gesù è proprio quello di farlo parlare, di riconoscere che l’unica cosa davvero importante, necessaria, imprescindibile è nutrirsi della sua Parola. Marta si preoccupa – e anche giustamente – del banchetto, ma non si accorge che il cibo che serve a sostenere la vita dell’uomo, lo sta già servendo Gesù!
La grandezza di Maria risiede nella sua umiltà: ella riconosce di non poter offrire niente a Cristo se non la sua disponibilità all’ascolto. Non ha nulla da dargli, ma ha solo da ricevere!
In realtà Gesù, in questo famoso brano evangelico spesso male interpretato, non vuole contrapporre l’azione alla contemplazione: nell’esperienza cristiana esse sono entrambe necessarie, anzi l’una illumina l’altra, l’una purifica l’altra. Un’azione senza contemplazione condurrebbe semplicemente al filantropismo, all’aggregazione fine a sé stessa, ad un umanesimo accartocciato sul presente. Viceversa una contemplazione senza azione porterebbe ad uno spiritualismo disincarnato, ad un intimismo asfissiante, ad un narcisismo interiore.
Gesù, cioè, non rimbrotta Marta perché sta lavorando, ma perché sta lavorando male, perché, cioè, si lascia schiacciare dall’ansia, dall’affanno, dal desiderio di fare bella figura. Marta mette al centro sé stessa, scommette troppo sulle proprie forze e capacità. È cosi presa da sé stessa che non sente l’esigenza di fermarsi per nutrirsi di quel cibo che Gesù sta offrendo a Maria. In fondo Cristo le sta dicendo: “Marta guarda che se vai avanti così, se non trovi il tempo per ascoltare Dio, per lasciarti riempire da Lui, prima o poi cadrai a terra sfinita, perché l’amore vero, una speranza certa, un senso profondo da dare all’esistenza, una meta bella da perseguire, da sola non puoi conquistarli. È una illusione che può costare parecchio!”
Certo che anche Maria corre un rischio: quello di rimanere sempre ai piedi del Maestro, di vivere cioè una esperienza religiosa ripiegata sul proprio io, non aperta al servizio, alla condivisione di quell’amore del quale si è sentita investita in maniera improvvisa ed immeritata! La prova del nove della fede è sempre la carità! Un cristiano vero dovrebbe avere i calli sulle ginocchia e i calli nelle mani: se mancano da qualche parte… beh allora c’è qualcosa che non va!
La fede, dunque, nasce dall’ascolto stupito di un Dio che parla al cuore dell’uomo e dice Parole che l’uomo da solo non è capace di pronunciare, ma per vivere, essa ha bisogno di incarnarsi nel quotidiano dell’uomo, spesso ferito e deluso dalla vita. Ha bisogno di trasfigurarsi nell’amore!
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