Cana: un segno per accorgerci dell’azione di Dio nella storia
È conosciuto da tutti il racconto delle Nozze di Cana che si trova all’inizio del secondo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. Questa pagina unisce l’introduzione del testo e la parte più ampia della narrazione, il cosiddetto libro dei segni, che giunge fino al capitolo 13, dal quale prende avvio, con la scena della lavanda dei piedi, la presentazione della passione e risurrezione di Gesù, preceduta dai suoi discorsi di addio.
Nel testo che oggi si ascolta nella celebrazione della Messa, c’è una frase particolare sulla quale, con un po’ di fantasia, ci si potrebbe fermare a pensare. Una volta che l’acqua è stata tramutata in vino, e colui che dirige il banchetto lo ha assaggiato, questi si rivolge all’anonimo sposo e gli dice: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Noi che siamo lettori, abbiamo qualche informazione in più rispetto a chi dirigeva il banchetto e vedendo le cose dall’esterno sappiamo meglio come si sono svolte. Guardandole dall’interno, non è sempre così facile capire tutto quel che accade e riconoscere legami e connessioni, vedere che quanto è successo non è avvenuto per un disegno deliberato e precedente, ma è stato il frutto di un travaglio.
Quel che a Cana stava avvenendo, se non una tragedia, era comunque un momento di grande imbarazzo e certamente qualcosa che non sarebbe dovuto accadere: non può essere che durante una festa di nozze venga a mancare il vino. È sempre motivo di grande disagio per chi ne è responsabile, avere procurato una quantità insufficiente di cibo rispetto alle persone presenti o aver compiuto preparativi insufficienti per l’accoglienza di più persone. Chi sbaglia in queste situazioni si espone a una brutta figura.
Quel che è un incidente, in questo racconto diviene occasione di benedizione e di grande gioia: più buono del vino servito fino a quel momento è quello che da questo momento in poi arriva sulla tavola.
C’è tra le due situazioni una fase di passaggio: fase in cui il vino vecchio è finito (o sta ormai per finire) e manca quello che deve essere servito. Immaginiamoci pure che nessuno dei commensali se ne sia accorto, i servitori tuttavia saranno stati in grande difficoltà e dal racconto sappiamo che almeno un’invitata, la madre di Gesù, si è accorta che qualcosa non andava. Possiamo pensare che come sempre accade in situazioni del genere, un po’ di trambusto debba esserci stato. Vista dall’interno deve essere stata una situazione un po’ complessa.
Se la scena sponsale rimanda in immagine alla comunione fra Dio e Israele, mi piace vedere qui qualcosa che spesso è accaduto nella storia del rapporto di Dio con il suo popolo e, non capisco perché, non possa avvenire ancora oggi.
Ci sono dei momenti in cui il vino finisce, in cui una fase della festa si esaurisce. Chi vede le cose in un certo modo teme che sia finita la festa, chi osa vederle in un altro si rende conto che si sta vivendo solo un passaggio, verso un’altra fase, diversa dalla precedente, ma ancora di festa, una nuova fase della gioia che si vive nel rapporto con Dio.
Riascoltando questa pagina di Vangelo mi viene da pensare che forse è così anche per questo tempo. Dio non ha esaurito tutto il vino della festa di comunione fra noi e Lui, solo perché in questo momento il cristianesimo italiano ed europeo sta attraversando una fase di smarrimento e di cambiamento; forse, come accaduto in altri occasioni della Sua storia con gli uomini, sta accadendo una trasformazione. Egli vuole preparare del vino diverso, forse addirittura più buono (chi potrebbe affermare con sicurezza il contrario?), un vino che sgorga, paradossalmente, dall’acqua che certamente non ha alcun valore di festa, ma che è necessaria per compiere questa trasformazione. Mi piace vedere nelle parole di colui che dirige il banchetto un simpatico rimprovero che anche noi potremmo fare a Dio nella nostra preghiera: «Fino ad adesso ci ha dato tanto, da ora in poi stai preparando il di più che noi non ci potevamo immaginare». In questo, però, Dio ci chiede di avere pazienza e di affrontare con fiducia il passaggio.
Ci sono ancora due elementi significativi che è bello richiamare e che possono sostenere questa interpretazione un po’ libera.
Il primo si riferisce ai contenitori del vino nuovo. Si tratta di sei giare utilizzate per la purificazione rituale, elementi che da una destinazione antica divengono portatori di qualcosa di differente. Si rinnova, per così dire, la loro funzione; non spariscono, ma si trasformano. Non è esattamente l’immagine più bella da vedere, la scena di servi che vanno a prendere il vino da cisterne utilizzate per il lavaggio di mani e stoviglie. Eppure nella logica di Dio viene riabilitato al meglio ciò che era solo parziale. Forse è una provocazione per le nostre strutture, per le nostre abitudini, per le nostre sagre, feste, per le usanze consolidate. Forse servono ancora, forse servirebbero meglio se lasciassimo che Dio ne trasformi il contenuto per questo tempo della storia, operando affinché che si rinnovino, piuttosto che imbrigliarle nella consuetudine della ripetizione.
Il secondo elemento che si può notare è il ruolo della Madre di Gesù. In questo racconto Maria (mai chiamata per none dall’Evangelista Giovanni) è colei che si accorge del problema che si è venuto a creare ed è colei che invita i servi a fidarsi completamente delle parole di Gesù, qualsiasi esse possano essere. In questa pagina di Vangelo, la Madre di Gesù è immagine del fedele popolo di Israele che si accorge di quel che sta accadendo e si fida di Dio, ancora una volta. Da qui possiamo e vogliamo ripartire: avendo visto questo segno compiuto da Gesù Verbo del Padre apparso nella nostra carne, riconoscendo come i suoi discepoli la sua forza, vogliamo accogliere come stile di vita quanto Maria ci invita a compiere, perché diventi esperienza quotidiana per ogni giorno che ci è data la grazia di vivere: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
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