Cézanne e il cappotto mancato: la realtà contro la virtualità
Sabato scorso dicevamo che Picasso riuscì nell’arte a fare ciò che la superba e coltissima borghesia francese tentava da anni con Cézanne, che in fondo del cubismo è stato l’inconsapevole patriarca: fare un’arte completamente libera dal significato ma talmente bella da essere indiscutibilmente universale. Cézanne ci aveva provato con le mele, l’italo spagnolo ci riuscì con le donne nude fatte a pezzi come specchi rotti: Les demoiselles d’Avignon, 1906.
Eppure, Picasso deve moltissimo a Cézanne: fu visitando la prima retrospettiva su quest’ultimo, tenutasi a Parigi un anno dopo la morte nel 1906 (proprio l’anno delle Damoiselles…) al Salon d’Autumne, che secondo molti critici nacque il cubismo ad opera dello spagnolo. In effetti, i primi lavori “cubisti”, cioè i paesaggi di Picasso e Braque, somigliano moltissimo alle vedute del Mont Saint Victoire del solitario pittore provenzale.
Paul Cézanne è probabilmente il mio pittore preferito, non tanto per una questione estetica, ma per le sue caratteristiche davvero uniche: per quasi tutti gli artisti, anche quelli di talento straordinario, la contaminazione con altri artisti e ambienti, il viaggio, il cambiare vita e città, fare esperienze ovunque è fondamentale. Per lui no: Ceézanne ha passato la sua vita nel posto dove è nato, lavorando da solo, sempre sugli stessi soggetti, senza committenti, senza galleristi, senza mescolarsi, senza farsi contaminare, ad eccezione di una parentesi parigina che in realtà lo deluderà moltissimo e che lo porterà ancora di più ad isolarsi nella sua Aix-en-Provence.
Una vita intera dedicata solo al suo rapporto con il pennello, ad una instancabile ricerca personale volta a rendere attraverso la pittura la realtà: un iperrealista maniacale che ha finito, senza saperlo e senza volerlo, per essere impressionista e fondare il cubismo. Migliaia e migliaia di ore in anni di quotidiano paziente lavoro nella sua graziosissima casa o en plein air a dipingere sempre e solo le stesse cose: il Mont Saint Victoire e le mele e le tazze del suo studio.
La sua ossessione era rendere la realtà attraverso il pennello, e la scommessa era dipingere e ridipingere continuamente gli stessi oggetti nella maniacale e paziente convinzione di riuscire prima o poi a trasmettere attraverso la pittura l’esatta dimensione della realtà. E poiché per l’uomo la realtà non è fatta solo di oggetti ma anche di percezione degli oggetti, e quindi non solo di vista ma anche di gusto, di olfatto, di tatto, Cézanne arriva a trasfigurare quella realtà, proprio lui che ne era ossessionato, e attraverso la pittura ci trasmette la materia della superficie di una tazza al nostro tatto, il sapore della mela quando ne mordiamo la buccia liscia ma succosa, e perfino ci trasmette con la pittura la brezza calda dell’estate e gli odori e profumi della natura. Il suo habitat naturale è la splendida Provenza, che tanto rassomiglia alla bella campagna senese: sfido chiunque sia stato o in Provenza o in Toscana a non tornare immediatamente con il pensiero il tatto e l’olfatto a quelle estati in quelle campagne quando guarda un paesaggio di Cezanne.
Miracoli dell’ossessione, il più iperrealista dei pittori finisce per capire che la realtà raffigurata perfettamente si sfigura. Esattamente come fa Michelangelo con la scultura: da giovane leviga le sue opere fino alla mania, e da vecchio le lascia grezze perché rendano la percezione fisica del vivere. Assieme a Picasso, sarà il grande poeta tedesco Rainer Maria Rilke ad accorgersi della grandezza smisurata di questo monaco del pennello: descrive alla moglie l’impatto sconvolgente dell’incontro con la pittura di Cézanne vedendo la stessa mostra del 1907, e ne rimane talmente folgorato che le invia un intero epistolario poi divenuto un libro (Lettere su Cézanne): “tutta la realtà è lì, dalla sua parte… le mele sono tutte mele da cuocere, e le bottiglie di vino appartengono decisamente a vecchie tasche logorate”. Rilke capisce immediatamente che quello che sta vedendo non ha precedenti nella pittura. E’ arrivata l’arte contemporanea.
Credo che Cézanne abbia venduto meno di dieci quadri in tutta la sua vita, eppure non hai mai fatto gesti isterici né si ammazzato come fece il tanto idolatrato Van Gogh che a me non è mai piaciuto gran che… e anche per questo è uno dei miei preferiti: Cézanne e la prova che per avere un talento straordinario non occorre necessariamente dar di matto o farsi di eroina. Ironia del mercato e della sorte, ma anche verità del talento, l’ultima sua natura morta disponibile sul mercato è stata venduta ad un arabo qualche anno fa per 30 milioni di dollari: un quadretto 30x40 con tre o quattro mele…mele da dici milioni di dollari l’una.
Già agli inizi del ‘900, ma dopo la sua morte il mondo si accorgeva della sua grandezza, ma sarà solo dopo la seconda guerra mondiale che Cézanne entrerà nella stoia dell’arte e del mercato: in Italia sarà soprattutto il grande Leonello Venturi a farlo conoscere, e Leonardo Borgese sul Corriere nel 1949 farà sapere a tutti che ad un asta della casa Cognac le sue mele “sono andate a 40 milioni di lire”, per l’epoca una cifra assolutamente importante che lo fece entrare assieme agli Impressionisti nel lucroso mercato della contemporaneità fino alle vette assurde degli ultimi anni.
Del resto, per sua fortuna, Cézanne non ebbe bisogno di lavorare: era figlio di Luigi Cesena, un ebreo romagnolo che emigrò in Francia (francesizzando il nome in Cézanne) e dopo aver fatto i soldi come cappellaio fondò addirittura una banca e divenne molto ricco. Ma nonostante il denaro, rimase abbastanza intelligente da capire che quel figliolo così strambo non avrebbe mai potuto fare il banchiere, e nemmeno l’avvocato o il dottore. Suo padre non ne condivideva vita e inclinazioni, e molto probabilmente stando al gusto dell’epoca trovava la pittura del figlio incomprensibile, ma per amor di padre fece in modo che per tutta la vita Paul potesse vivere di rendita e non dovesse preoccuparsi di nulla, se non di dipingere tutto il giorno. Ma il nostro Paul se era strambo di certo non era scemo: all’amico Zola (si proprio il grande scrittore Emile) scriveva spesso di sentirsi decisamente superiore agli altri, che non gli interessava la vendibilità del quadro ma la profondità della realtà, e la ricerca della verità attraverso la tecnica pittorica…insomma una sorta di eremita mistico della pittura ma che aveva chiarissimo il suo compito e il suo obiettivo.
Per la cronaca: il cappotto che ho ordinato on line è arrivato ed è già stato rispedito indietro: il tessuto, la forma, la taglia, la percezione dell’averlo indosso, beh in nulla possono essere rese da una foto su internet. Perché proprio come in Cézanne, la verità della realtà è che è sempre diversa da come sembra, perchè l’uomo non può liberarsi dalla percezione che ne ha su di sé. Mi viene da pensare come avrebbe reagito Cézanne davanti a internet e alla realtà virtuale, che mentre ci propina il Metaverso e una vita futura fatta di nostri avatar proiettati in rete in mondi ideali perfetti non è nemmeno capace di farti capire come ti sta addosso un banale cappotto …mah…
La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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