Chi conosce Dio possiede il mondo
“Dammi la sapienza che siede accanto a te in trono”. Così il grande re Salomone si rivolge a Dio per chiedergli in regalo la capacità di regnare, con lungimiranza, intelligenza e prudenza sul popolo d’Israele dopo il grande Re Davide, suo padre. Il Signore si compiace perché l’inesperto sovrano non gli chiede qualcosa solo per sé stesso, ma un dono che va a vantaggio di tutti e per questo lo esaudisce. Salomone godrà di una sapienza del cuore che gli permetterà di governare con giustizia, equilibrio, buon senso, intelligenza e per questo sarà ricordato nei secoli. Tale capacità non è il prodotto di anni intensi di studio e di approfondimento, ma di una docilità interiore che gli fa affrontare la vita con umiltà, con stupore, con un’apertura senza pregiudizi di fronte al mistero, all’ineffabile.
Ci sono persone che non hanno mai letto un libro per intero o che non hanno frequentato le “scuole alte”, ma che posseggono una profonda capacità di comprendere ed interpretare ciò che si muove nell’animo umano, un’attitudine profonda a capire ciò che serve veramente per vivere felici, una propensione ad affrontare la realtà con mitezza e semplicità vincendo anche i cuori più induriti. Una persona fra tutte mi ha sempre meravigliato e commosso: il Santo Curato d’Ars. Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci che festeggeremo il prossimo 4 Agosto, fece sempre molta fatica negli studi teologici tanto che i superiori del Seminario si posero il problema se ordinarlo o meno sacerdote, eppure migliaia di persone, durante il suo ministero presbiterale, si accostarono al suo confessionale: egli con dolcezza e luminosità seppe interpretare i loro moti interiori consigliandoli sempre per il bene. Magari non usò parole difficili o imbastì discorsi eruditi, ma seppe toccare le corde della loro anima. Da dove gli veniva tutta questa sapienza? Da un occhio che riusciva a penetrare la corteccia superficiale e questo grazie ad una robusta e assidua vita spirituale, ad una quotidiana frequentazione con Dio, ad una umiltà che lo ha preservato da pregiudizi e sovrastruttura mentali. Non voglio fare l’elogio dell’ignoranza: oggi più che mai c’è bisogno di cristiani preparati, capaci di rispondere alle sfide culturali della società di oggi, pronti e lieti nel rendere ragione della speranza che è in loro! Però c’è sempre un rischio latente dietro tanta erudizione e cultura: l’incapacità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte al mistero, all’imprevedibilità di Dio e quindi la presunzione di avere già in mano le soluzioni ai problemi. È la grande pecca degli scribi e dei farisei: essi pretendono di sapere tanto, di sapere tutto e non si lasciano interrogare dalla persona di Gesù e dal suo messaggio così inaspettato e dirompente.
Proprio nel Vangelo di questa domenica Gesù, in maniera implicita ma forte, mette in guardia da una erudizione che conduce alla superbia, alla glorificazione di sé stessi, alla superbia di sapere dove trovare la felicità, dove attingere alla salvezza. Una erudizione che spesso conduce al disprezzo degli altri, ad una visione calcolatrice dell’esistenza, ad un formalismo e ad un legalismo che mortificano se non addirittura uccidono l’esperienza religiosa. Gesù, vittima dell’incomprensione e della chiusura mentale di tanti suoi compaesani, benedice e loda Dio per l’apertura e la prontezza dei semplici, dei piccoli, degli umili. Non degli ignoranti, sia chiaro! Perché dietro l’ignoranza spesso si cela sempre la grettezza, l’arroganza, la prepotenza, la volgarità, quell’atteggiamento predatorio che è il grande stigma negativo del nostro tempo!
Gesù guarda con ammirazione i poveri in spirito, cioè coloro che riconosco che di fronte al mistero della vita c’è sempre da imparare e da ricevere, e quindi si accostano ad esso con delicatezza e rispetto, quasi con devozione, perché hanno intuito che l’esistenza umana è terra sacra dove Dio si manifesta in tutta la sua giustizia e potenza! Solo un cuore puro, mite, umile possiede la chiave per poter accedere ai segreti di Dio e quindi dell’uomo. Perché chi conosce Dio, possiede il mondo!
E proprio a questi piccoli Gesù si rivolge quando dice “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. Egli promette consolazione a coloro che rifiutano lo stile tipico del mondo ovvero l’autoaffermazione continua di sé stessi, la rivendicazione di una libertà avulsa da ogni responsabilità, la perversione dell’amore intesa come la ricerca spasmodica di un piacere egoistico ed autodistruttivo. E se il mondo impone sul capo dell’uomo il pesante fardello, il giogo severo dell’edonismo, del narcisismo, dell’arrivismo, del successo a tutti i costi, Cristo offre il giogo dell’amore autentico che è certamente impegnativo perché richiede di morire alla tirannide del proprio io, ma che alla fine conduce ad una sovrana e gioiosa libertà.
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