Comuni al voto: da New York una storiella sull'abito giusto...
Diceva Benedetto Croce che “in politica la moralità è la capacità”: tradotto, quando si governa nulla importano garbo e gentilezza se poi si è incapaci, e a chiarire il concetto fu un altro napoletano, Cirino Pomicino, che 50 anni dopo specificò da medico chirurgo avvezzo alle melene, che “la politica è sangue e merda”. Ora, se di sangue per fortuna non ne vediamo scorrere da anni, della veridica presenza dell’altra sostanza gli Italiani hanno avuto a volte una percezione più che sconfortante. Insomma la politica non è roba da damerini agghindati e nemmeno molto da galantuomini imbelli, ma a quanto abbiamo visto, tra gli immorali non c’è stata grande abbondanza di capaci. Ed oggi la politica si fa in un’era totalmente diversa, quella della civiltà globalizzata che ha sostituito la “Cortina di ferro” con il “politicamente corretto” e contemporaneamente abbassato il dibattito politico ad un mero univoco rapporto tra gli slogan e i followers o gli haters ( i sostenitori o delatori di una volta).
Oggi e domani si vota in molti comuni lombardi, e mai come oggi noi tutti, elettori e politici, siamo letteralmente bolliti da un anno e mezzo di clausure infarcite di paure spettrali, maratone televisive e pizze fatte in casa e tutto appare un po' irreale. Proprio da una delle liste civiche candidate nel capoluogo sono stato invitato ad un incontro dal titolo “Educazione nella Res Publica: fair play tra politici”, condotto da un vero esperto di buone maniere. Può sembrare una iniziativa surreale appunto, eppure nel pubblico presente ed anche in me ha risvegliato una imprevedibile quantità di curiosità, domande e riflessioni viste raramente in un incontro elettorale di una lista civica. Il motivo forse è la bollitura di cui sopra, o forse che ormai pensiamo solo o al baratro o all’effimero, o forse chissà che ma mi è venuta voglia di dedicarci questo editoriale in piena Par Condicio.
Nella Prima Repubblica giacca cravatta e comportamenti impeccabili, almeno nel bon ton, erano totalmente bipartisan e in tutte le foto in bianco e nero che ho in Archivio delle bellissime rituali inaugurazioni dell’epoca, spiccano scarpe lucidissime e fazzoletti bianchi al taschino di abiti scuri: icona del tempo Aldo Moro in abito grigio sulla spiaggia coi figli al mare. Poi arrivò l’uragano Umberto Bossi ed esplose la moda del tribuno del popolo feroce e canottierato che è ancora oggi appannaggio di tante cravatte annodate come tovaglioli a colli avidi di polemica, che hanno generato di contro garbatissimi advisors della politica che si vestono in casual friday o come i rampolli dei bramini di Boston sui moli di Newport, con i calzoni cachi e le scarpe da barca.
Del rispetto delle istituzioni si parla fino al vilipendio dell’intelligenza ormai, e se una cravatta ben annodata a mio avviso fa sempre la sua indiscutibile parte, non possiamo negare che più di ogni altra cosa vorremmo dai nostri politici efficienza e legalità ( o almeno uno delle due, tornando a Croce): se Manzoni ci ha indelebilmente convinti che “l’abito non fa il monaco” benchè lodasse la gloria di Frà Cristoforo, tra i calvinisti svizzeri non si transige: “Kleider machen leute” scriveva Keller, gli abiti fanno le persone. Punti di vista opposti che sono stati bistrattati a più non posso, travolti in Italia dal 68 che distrusse assieme all’Autorità anche la giacca bianca da smoking (e nessuna delle due si è più rivista peraltro…): ma c’è una storia di sindaci che mi è sempre piaciuta e che aiuta a dirimere il dilemma.
Il 1 gennaio 1926 venne eletto sindaco di New York James John Walker, detto Jimmy il Bello. Figlio di immigrati irlandesi, politico di lungo corso, divenne arcinoto per aver inciso una delle più belle canzoni del Great Book of American Song, Will you love me in December as you do in May? , che fu un successo strepitoso. Snello, elegantissimo, perfetto compagno di bevute e intrattenitore, vanitosissimo e affascinante rubacuori, fu una vera icona di New York: invitato a Parigi venne accolto come una divinità con i suoi 30 bauli di abiti (pare ne avesse più di 300). Girava per New York da una festa all’altra con le ghette grigie e un fiore all’occhiello elargendo fascino da Harlem a Wall Street senza fare eccezioni e soprattutto venendo regolarmente rieletto sindaco grazie anche all’appoggio della Tammany Hall, potentissimo accrocchio di affari e politica di cui tutti sapevano tutto ma a che a tutti piaceva: erano i Ruggenti anni ‘20, niente poteva andare meglio di così. Poi l’America cambiò: la crisi del ‘29, la fine del Proibizionismo, la Grande Depressione, nessuno voleva più divertirsi e Jimmy Walker dovette dimettersi e perfino andarsene in esilio. Di lì a poco sarebbero addirittura soffiati grandi venti di guerra, serviva un uomo diverso, e i newyorchesi scelsero Fiorello La Guardia: figlio di immigrati italiani, rozzo, brutto, grasso, basso, sembrava uscito da un gangster movie contro gli italo-americani. Diceva: “Ogni volta che sto per fare una cosa buona arrivava un galantuomo e mi combina una puttanata!”, però trovò lavoro a migliaia di disperati e mandava quintali di grano ai conterranei italiani affamati dalla guerra, leggendo alla radio le favole ai bambini.
C’è un politico per ogni tempo, a volte è meglio lo smoking altre volte la canottiera, il problema è capire che tempo tira, e avere però anche da scegliere tra uno smoking e una canottiera…
Io faccio sempre più fatica a capire che tempo tira, e da un po' sotto lo smoking la canottiera me la metto.
Buon voto.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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