Così si sgretola la memoria di Cremona
Con quale identità si presenta oggi la città di Cremona? Quali segni che la caratterizzavano non sono più leggibili perché l’ambiente circostante è stato alterato? Se un linguaggio è funzionale alla comunicazione, gli interventi urbanistici, cui si assiste quasi quotidianamente,cosa trasmettono della storia e della cultura della nostra Città?
Meglio non porsi queste domande! Le risposte sono palesi nelle azioni che sgretolano la memoria di Cremona. Tutti i recenti interventi sembrano finalizzati a distruggerla. Oggi si abbattono gli alberi, oggi non si riposiziona l’acciottolato in via Bonomelli. Ma c’è di più: in nome di un presunto risparmio energetico anche il centro storico è oggetto di pesanti trasformazioni. Prima di assistere agli effetti di una bolla speculativa, assistiamo ad un decadimento della città.
Due strategie sembrano essere poste in essere.
Constatato un punto critico si sceglie di operare radicalmente: il caso singolo determina scelte che coinvolgono un intero settore. Si parla così di piano nella convinzione di possedere una visione globale che consente di operare sull’intero. Se il medico pietoso fa la piaga purulenta, non per questo gli è lecito intervenire in modo indiscriminato in vista di scenari nefasti. Il medico cura!. Avere cura della città è quanto compete agli amministratori. La città è una realtà che ha una propria identità ed è questa che va salvaguardata. Le innovazioni debbono tener conto che non s’interviene su una pagina bianca, ma su una realtà complessa. Proprio per questo non può essere sottoposta ad iniziative incongrue: tali sono tutti i progetti e gli interventi che pretendono di rigenerarla non avendo attenzione alla sua memoria.
Il monito evangelico “nessuno mette una pezza di stoffa nuova sopra un vestito vecchio: perché il tessuto nuovo strappa il vecchio, e il danno diventa peggiore” va ripreso anche in questo contesto. Non si può dimenticare che la città è funzionale all’uomo, animale storico, ed in essa egli deve ritrovare il suo habitat: la memoria storica.
Ma vi è anche una seconda strategia. Gli interventi sono privi di connessione: si fa perché si deve fare!! La classica pezza è posta come intervento provvisorio che, come è stato puntualmente osservato, diviene definitivo. Eppure, qualcuno da anni parla di rammendo! La delicatezza per la storia è un atteggiamento che ha il proprio fondamento nella memoria, che è strutturalmente la condizione dell’esistente. La perdita di memoria, l’amnesia, è certamente una patologia, ma, quando non si ha memoria della propria identità perché ne sono stati cancellati i segni non si tratta più di una malattia. Si tratta di un mal-essere indotto da chi li ha volutamente o inconsapevolmente eliminati. La memoria, che sia condizione esistenziale del singolo o della collettività, va preservata. Si dice che ogni epoca abbia propri linguaggi per esprimersi, si dovrebbe aggiungere che ogni epoca ha un proprio modo per interpretare il passato. Per questo nessuno di noi può cancellare i segni che costituiscono documenti essenziali anche per chi verrà dopo di noi. Il rispetto per il passato costituisce il rispetto per il futuro. La storia non è solamente potenziale insegnamento, ma è l’humus in cui ogni civiltà è immersa.
La città? La città è lo spazio che consente e testimonia la vita collettiva.
Effettuare interventi, che ne stravolgono l’identità, è dimenticarne i valori spirituali ad essa intrinseci.
Non è certo il caso di riprendere il tema dell’abbattimento delle piante: persone autorevoli già se ne occupano. Ma un’osservazione è d’obbligo: le piante sono vive. L’uomo sa distruggere, sa annientare, ma non gli è dato sperimentare di creare dal “nulla” la vita. L’ingegno umano si arrabatta, talvolta raggiunge risultati eccelsi, ma sempre si serve di quanto trova nel creato. Così, lo spazio verde nelle città, progettato dall’uomo, ancor prima di ogni considerazione degna di nota, si manifesta come contatto immediato con la natura. Se da una parte la presenza delle piante in città costituisce collegamento con l’ambiente naturale, la campagna, e ne tesse il rapporto (il rammendo), dall’altra l’uso “sapiente” delle essenze e la loro cura sono testimonianze di cultura e di civiltà.
Ma anche la seconda modalità va tenuta in seria considerazione.
La città è un insieme strutturato di edifici e di percorsi viari. La relazione che intercorre fra questi ne definisce la stessa fisionomia. Una cattedrale nel deserto è totalmente priva di riferimenti: è decontestualizzata. Un bene spostato dal suo ambiente perde il proprio significato. L’aura che lo circonda ne definisce il valore profondo: storico e al contempo estetico. Trasformare, come è accaduto in via Bonomelli, in asfalto l’acciottolato costituisce di per sé la perdita di una percezione visiva che declinava testimonianza a fruizione. Va ricordato che l’esistente è individuabile attraverso le relazioni stabilitesi con gli altri enti.
I due atteggiamenti, che sembrerebbero contrastarsi, in vero finiscono per concorrere allo stesso obiettivo: perdere l’identità della città. Orbene, molti dotti e saggi cittadini cremonesi, sostengono che la nostra Cremona soffre di voluntas moriendi. In vero, il suo declino sembra testimoniare proprio questo andamento. La città non soffre solo del processo di globalizzazione che altera l’identità della cultura urbanistica di tutto il mondo. L’architettura contemporanea di Dubai, a ben vedere, non differisce da quella New York! Una sorta di omologazione dei caratteri costruttivi è indubbiamente il segno di una cultura che tende velocemente ad un processo in cui vanno espandendosi tendenze progettuali che nulla consentono di contestualizzarle.
Se ben altra è la realtà cremonese, ciò non toglie che vi sia in atto una volontà di potenza che coincide con quella di autodistruzione che corrisponde alla perdita d’identità.
Si dovrà forse stendere su Cremona un velo pietoso?
Non è possibile nascondere i fatti sotto un velo: al posto del velo è già stato steso un manto di asfalto.
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commenti
Maria Grazia Nicolini
22 settembre 2021 11:48
"Sono solo piante" mi dicono. Per me questo "taglio" è un nuovo dolorosissimo "addio del passato". Grazie, Anna.
Michele
25 settembre 2021 05:52
Mi sembra che state parlando di cambiamenti avvenuti e iniziati già molti anni fa. Vedi via Bonomelli è più di 10 anni che è asfaltata. Io gli interventi che lei dice non li vedo come “Pezze” le vedo come un cercare di ridare un immagine a questa città!! Cosa facciamo lasciamo le case cadere ? E se c’è la possibilità di avere un risanamento con possibile risparmio energetico, ben venga, aggiungo inoltre che è ora di finirla che gli alberi non vanno tagliati, quando sono troppi grandi per il contesto in cui sono e diventano anche pericolosi è giusto procedere con il taglio!! L’importante è invece ripiantarli !!Quindi basta polemiche su cosa si fa o non si fa! La città è giusto che si adegui al futuro e che si trasformi, poiché come lei dice non mettiamo le pezze su abiti usati, non possiamo abbattere le case di tutta la città per crearne nuove non pensa !!
anna maramotti
26 settembre 2021 21:34
Credo sia essenziale avere un progetto per la città che sappia declinare identità storica con i nuovi bisogni.
Achille Bonazzi
28 settembre 2021 13:49
Le osservazioni della prof. Politi mi sembrano opportune per una seria riflessione sul futuro della nostra città. Mi pare che manchi davvero un progetto serio: si procede senza una finalità precisa. Era stato nominato un assessore alla "rigenerazione urbana": ma era a conoscenza del valore di queste parole - non erano le onde blu in Corso Garibaldi-: Cremona avrebbe persone culturalmente preparate, ma non si valorizzano. Spiace