Cosa serve per un centro liberal-democratico
Il centro non è un recinto di sigle o ambizioni personali ma è il luogo in cui si va a prendere il consenso e vincere. Se Matteo Renzi, infervorato mattatore dell’XI Leopolda, crede che un pugno di brillanti parole argomenti adeguatamente senso e prospettive di un nuovo polo di centro potrebbe sbagliarsi di grosso. E rischiare che tutto quel che resta della kermesse, insieme alla profezia di voto anticipato, sia l’elogio, scopertamente autocelebrativo, di un Machiavelli che, com’è noto, esaltava fra i vari animali politici la superiorità della volpe. Pur con modesta dotazione di forza muscolare riesce infatti a tenere in scacco gli avversari sapientemente mettendo a frutto l’innata astuzia. Tradotto: pochi voti ma tanto ingegno, o almeno quanto basta a uno spregiudicato e vincente governo del rapporto fra mezzi e fini. Ma se Renzi sia volpe a tutti gli effetti o solo aspirante tale lasciamo che sia il futuro e la sua storia a dirlo. La sindrome volpina potrebbe infatti prendergli la mano condannandolo a una specie di nevrosi psicomotoria che lo porta a destabilizzare sistematicamente quel che ha appena costruito, guarda caso, sulle macerie della distruzione precedentemente procurata. In psicanalisi si chiama coazione a ripetere. Permane dunque il dubbio…volpe o brillante Gian Burrasca quarantenne tanto innamorato del ruolo da rischiare di restarne vittima?
Esaurita la premessa caratteriale, nessun dubbio sul resto. L’ipotesi di metter mano a un cantiere politico d’ispirazione liberaldemocratica che intelligentemente occupi il centro di un sistema polarizzato e paralizzato appare sensata e persino desiderabile. Ma la condizione è un decisivo salto di qualità che disperda la fitta nebbia tuttora gravante su contenuti programmatici e interlocutori da coinvolgere per future parti in commedia. Battendo una strada lastricata di abilità oratoria e puntellata da polemiche dal retrogusto pericolosamente personale non si va da nessuna parte e, a riflettori spenti sull’XI Leopolda, l’enigma della proposta centrista appare sostanzialmente intatto, a parte l’ovvia funzione di tener distanti sovranisti di centrodestra e populisti di centrosinistra dalla stanza dei bottoni. Il che però è fare i conti senza l’oste: prima o poi gli italiani voteranno e il modo in cui i voti si trasformeranno in seggi parlamentari, cioè il tipo di legge elettorale, è il vero cappio cui resta appesa l’ipotesi centrista. Le incognite sono dunque parecchie e se Renzi ha l’indubbia capacità di destabilizzare l’esistente ancora non possiede la divina facoltà di creare dall’inesistente, cioè dal nulla. Non a caso i potenziali interlocutori di comune sentire liberaldemocratico prudentemente restano sulla propria sponda. Ci resta Calenda che a stretto giro risponde ‘la linea di Renzi non si capisce’ e si tiene stretto il tesoretto romano acquisito alle recenti amministrative ma soprattutto un metodo risultato premiante: lavorare sul territorio, batterlo palmo a palmo, e riconiugare l’azione politica a una realistica conoscenza dei suoi destinatari. Restio a bruciarsi con fughe in avanti, pensa sia bene tenersi stretto Draghi fin che c’è e immaginare un futuro centrismo all’interno del suo solco. Scavalca insomma il ruolo strategico di Renzi facendo direttamente discendere un’ipotesi centrista dalla paternità di Draghi. E Forza Italia? Improbabile che Berlusconi, specie in vista d’una possibile corsa al Quirinale, sconfessi la propria storia e abbandoni l’alleanza di centro destra. Per giunta proprio quando, ad astro sovranista palesemente impallidito, è consentito a Forza Italia di recuperare, specie in tema di europeismo, egemonia culturale e ruolo ‘precettistico’ all’interno di una coalizione con evidenti criticità lungo l’asse Salvini-Meloni.
Il punto è che, meritoriamente portato Draghi a palazzo Chigi, il problema che si pone a Renzi è come incassare e politicamente investire al meglio i dividendi dell’operazione. Non si dimentichi in proposito che Draghi non è solo l’anti Conte, è anche l’anti Renzi: nessun egocentrismo, nessun guanto di sfida platealmente lanciato, etica del lavoro e poche polemiche. Esattamente quello di cui il Paese, stretto nella morsa di concretissimi problemi, ha disperato e consapevole bisogno. Il patrimonio elettorale di un futuro centro, stimato dal senatore di Scandicci intorno al 10%, è per ora sulla carta. Esiste certamente uno spazio centrale politicamente insoddisfatto e incompiutamente rappresentato in cui ‘andare a prendere il consenso e vincere’ ma non senza mettere in campo adeguata capacità motivazionale, cioè un’idea di Paese e dei valori intorno ai quali orientarne lo sviluppo dei prossimi anni. Sta a Renzi spiegare con che testa potrebbe ragionare e di che cuore potrebbe battere una competitiva riedizione della formula centrista, più volte strategicamente risolutiva nella storia italiana del secondo dopoguerra, a partire dal maggio del ’47. Fu allora che la divisione del mondo in blocchi
rese impossibile continuare la coabitazione governativa con le sinistre e De Gasperi ne trasse le dovute conseguenze. facendo del centrismo (Dc+liberali+repubblicani) l’alchimia politica in grado di trainare una lunga fase della ricostruzione e dello sviluppo.
Ma anche la cultura liberale, azionista di maggioranza dell’eventuale operazione, è oggi -come tutte le culture politiche che abbiamo storicamente ereditato- un cantiere aperto e quanto mai bisognoso di massa critica e coraggio. Coraggio di lasciar morire quel che deve morire per far nascere quel che merita di nascere. Ma su questo non mancherà occasione di tornare. Nell’ovvio sottinteso che Renzi sappia compiutamente svestire i panni del grande Rottamatore per vestire quelli del grande Tessitore. Impervia mutazione antropologica. Se son rose fioriranno.
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