Cottarelli nel governo dalla porta di servizio Cremona costretta all'insignificanza politica
Entra nel nuovo esecutivo dalla porta di servizio Carlo Cottarelli, presidente del consiglio incaricato da Sergio Mattarella di formare un governo il 28 maggio 2018, dopo il tentativo fallito di Giuseppe Conte. La mossa del Presidente della Repubblica costrinse la Lega e soprattutto il Movimento 5 Stelle, vincitore delle elezioni politiche del 4 marzo, a trovare un accordo. Cottarelli, con alto senso dello Stato, si prestò a forzare la situazione di stallo per superare le resistenze delle due forze politiche. L’operazione riuscì. Con l’avvento di Draghi sembrava che fosse giunto il momento di riscuotere la cambiale per l’ex commissario straordinario alla revisione della spesa pubblica. A suggerire come un fatto naturale, quasi automatico, l’assegnazione a lui di un ministero o il ruolo di sottosegretario non era solo la logica dello scambio di favori, del ‘do ut des’ che regola buona parte dei rapporti umani e che è un postulato della politica italiana. A giocare a suo favore, almeno sulla carta, erano e sono la sua competenza, l’autorevolezza , il profilo tecnico del nuovo esecutivo e una sorta di risarcimento morale e professionale all’uomo che non era riuscito a dimostrare il suo valore quale responsabile della spending review.
A Roma Cottarelli si era scontrato con un muro di gomma. Aveva ricevuto l’incarico da Enrico Letta nel novembre 2013 e si era dimesso un anno dopo, di fatto rimosso da Matteo Renzi e rispedito a Washington a dirigere il Fondo monetario internazionale. Via lui, il taglio della spesa dello Stato è sparito dall’agenda di tutti i partiti. Come se non fosse mai esistito. Come se i conti pubblici fossero magicamente tornati sotto controllo. A tenere viva l’attenzione sugli sperperi è sempre e solo Cottarelli con l’Osservatorio che dirige dal 30 ottobre 2017. Politici ingrati, è il caso di dire, ma anche ottusi perché scorrendo nomi e curricula dei 23 ministri e soprattutto dei 39 sottosegretari, pochi tengono testa all’economista cremonese. Ci si aspettava più coraggio dallo stesso Mario Draghi. Ancora una volta l’appartenenza a una famiglia politica è un criterio di scelta delle persone che prevale sul merito. Gli sponsor contano più delle capacità e dei titoli. E anche per questo in Italia l’ascensore sociale è fermo.
Per fortuna esistono ancora battitori liberi come il ministro Renato Brunetta che ha invitato Cottarelli a partecipare ai lavori sulla semplificazione burocratica e la riforma della Pubblica amministrazione, capitolo spinosissimo e nervo scoperto per il nuovo esecutivo, secondo per importanza solo a quello della giustizia.
Fermo restando che non tutte le province possono avere un proprio rappresentante al Governo, constatiamo di nuovo che dopo le parentesi di Luciano Pizzetti sottosegretario per le Riforme costituzionali nel governo Renzi e Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture e dei trasporti nel Conte 1, si torna alla normalità, che è l’insignificanza politica. Cremona resta a bocca asciutta, nonostante la sua forza economica, il reddito pro capite, l’alto profilo culturale e la posizione geografica. La città del Torrazzo e il suo territorio brillano per l’assenza di loro esponenti anche ai vertici della Regione. Conclusa la lunga esperienza al Pirellone di Gianni Rossoni, culminata con la vicepresidenza, siamo al vuoto pneumatico. Un’esclusione dai centri decisionali che è tra le cause del declino del territorio.
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