20 settembre 2023

Cremona degradata e rumorosa, perché non proporre una giornata del silenzio?

Dal portone ancora aperto su un interno ormai buio arriva la frescura, profumata di cera e incenso, della chiesetta di San Luca. Alito ristoratore dopo il penitenziale  percorso che da un supermercato di via Dante mi riconduce verso corso Garibaldi: aria mefitica, marciapiedi lerci, monopattini e bici in rotta sfrenatamente libera sulla pista riservata ai pedoni. Per il momento l’ho scampata.  Ma restano un paio di attraversamenti pedonali da non sottovalutare per la quantità di semafori che ti strizzano l’occhio e perfidamente confondono le idee. Da tempo sospetto che l’organizzazione della viabilità fra viale Trento e Trieste, via Dante e piazza Risorgimento, sagacemente ribattezzata piazza flipper, sia stata pianificata nel corso di un Oktoberfest a gradazione alcoolica particolarmente elevata. Inesprimibile il sollievo di  aprire il portone di casa e abbandonarsi all’abbraccio del silenzio. Se un tempo si usciva per respirare una boccata d’aria, oggi, nei miasmi della seconda città più inquinata d’Europa, siamo noi che aprendo  porte e finestre quotidianamente provvediamo a dare aria alla strada. Il cambiamento fa riflettere.

Riflessioni di una donna particolarmente irritabile?  Non direi.  Casomai, è il contrario: chi possiede ancora risorse di ribellione di fronte al soverchiante  assalto di infinite aggressioni visive e acustiche non è l’esaurito bisognoso di cure ma il sano che, per rimanere tale, sa quando mandare il corpo in autoprotezione per preservarne le funzioni. L’udito, prima fra tutte, minacciato da impennate di decibel  sconosciute al passato. Il moltiplicarsi di centri d’assistenza e vendita di apparecchi acustici racconta, oltre ogni ragionevole dubbio, che stiamo diventando una società di sordi. Non solo sordi vecchi, com’è inevitabile. Ma sordi giovani, dall’udito irreparabilmente compromesso per via di auricolari, cuffie e musica sparata a manetta per il piacere dello sballo. Tempi durissimi per chi  osa ancora aspirare  a un rapporto armonico, o almeno tollerabile, col proprio habitat. La violenza del rumore che ti accerchia e bombarda, sia fuori che dentro casa, ha da tempo azzerato parecchi attributi di quel che comunemente s’intende per libertà personale. Basti pensare alla facoltà di scegliere quale musica ascoltare, quando ascoltarla e come ascoltarla in funzione del libero fluire di personali stati d’animo e  bisogni dello spirito.  La colonna sonora delle nostre giornate è ormai una play list compilata da un esercito di perfetti sconosciuti che ci propinano note del più disparato repertorio non appena entriamo in un negozio, saliamo su un mezzo pubblico o componiamo un numero nella patetica illusione di ricevere chiarimenti su una bolletta del gas o su un collegamento ferroviario. Come agganci un centralino, inizia il calvario acustico e persino un Mozart catapultato a forza nella tazza del tuo caffè alle otto del mattino può convertirsi da sublime musica in insignificante rumore. Capita che strade e stradine del centro storico improvvisamente si trasformino in discoteche a cielo aperto grazie all’ego tanto ingombrante quanto becero di automobilisti  che ti sostano sotto casa, ti impongono la loro musica a tutto volume  e, perché no, le loro privatissime conversazioni in viva voce, facendoti dono spontaneo anche delle risposte dell’interlocutore.

Non stupisce dunque che in questa stagione sfacciatamente kitsch il bisogno di silenzio diventi spesso tanto imperioso quanto un impellente bisogno di acqua o cibo: abbiamo sete e fame di silenzio. Il silenzio non è un vuoto ma è la più armoniosa e compiuta forma di pienezza. Solo nel silenzio ci è dato  compiere quel viaggio dentro noi stessi che ci conduce al nucleo più autentico e profondo della nostra identità. Non c’è civiltà del passato in cui il silenzio, rigorosamente cercato e custodito, non sia stato la condizione naturale per l’esercizio del pensiero in tutte le sue forme: dalla ricerca di una verità scientifica alla domanda su Dio. E’ probabile che chi si dà in ostaggio al rumore nelle sue forme più invasive e violente sia, semplicemente,  in fuga da se stesso, espressione di un’umanità  sempre meno attrezzata ad affrontare le impegnative incognite  della solitudine. Per questo il mondo è in preda a un interminabile chattare collettivo. Si chatta per sentirsi partecipi di una comunità, per non sentirsi soli, perché tutto il carrozzone mediatico, nei suoi messaggi diretti e trasversali, ci trasmette un unico diktat pesantemente valutativo: silenzio e solitudine sono vuoti da riempire, anomalie dello spirito da esorcizzare al più presto. E’ dunque punito l’individualismo dei solitari e premiato il gregarismo dei socievoli. Ed essendo ragionevole supporre che i solitari abbiano più tempo per pensare rispetto ai socievoli troppo impegnati a chattare, ne concludo che il sistema, per intenzionale scelta selettiva, premia chi non pensa.

Restava un unico spazio potenzialmente rischioso: la notte, un tempo consacrata alle magie del silenzio e dei cieli stellati. Ma l’ostacolo è stato aggirato e felicemente superato grazie all’invenzione delle notti bianche in grado di trasformare il nostro tempo nella sbornia di una rumorosa e ininterrotta veglia collettiva.  L’essere umano, biologicamente inteso, può sopportare questo stravolgimento di bioritmi e quest’overdose di sollecitazioni senza patire i danni nervosi che si manifestano poi nelle infinite forme dell’aggressività contemporanea? Qualunque neurologo risponde ‘no’. Ma cosa possono i ‘no’ suggeriti da ragione e scienza rispetto ai sì suggeriti dalle infinite pulsioni, commerciali e non solo, che passo dopo passo stanno smontando componenti vitali dell’equilibrio individuale per convertirci  nel gregge di allegri disperati che senza un sussulto di consapevolezza si lasciano scippare di ogni dimensione storicamente identitaria per scivolare  – calice in mano e  cellulare all’orecchio –  nel rumoroso e informe calderone del gregge globale?

Chi vive a Cremona e ne sperimenta il galoppante degrado degli ultimi tempi, conosce il desolante senso di straniamento  che ti prende quando una dimensione cittadina, che ti è stata a lungo familiare e cara, ti appare giorno dopo giorno più estranea, a volte ostile. Sporcizia, rumore, violenza, strade ridotte a latrine per cani, bande di latinos  che incrociandoti ti sfidano con un finto saluto che ha tutta l’aria di un’arrogante minaccia. Intorno alla stazione ferroviaria ormai è far west diurno quanto notturno. Morso dopo morso, col grave consenso o il distratto fatalismo di troppi cremonesi, il degrado si sta mangiando Cremona. 

Ecco dunque la mia idea. Visto che il Palazzo è ormai convertito a tempo pieno in impresario di eventi,  propongo un evento scandalosamente fuori dal coro. Inventiamoci una Giornata del silenzio e invitiamo i giovani a riscoprirne il fascino, le preziose capacità riparatrici e forse ispiratrici di comportamenti collettivi improntati a più decorosa postura. E’ comprensibile che l’amministrazione si  impegni in strategie attrattive per chiamare in città più visitatori e più popolazione universitaria. Ma non si dimentichi che il primario problema è riconciliare Cremona con se stessa e i cremonesi con la propria città, trattenendo in tempo quanti stanno coltivando propositi di fuga in un altrove migliore. Fare che questo ‘altrove’ diventi il  ‘qui’ e ‘adesso’ di una Cremona ritrovata sarà la vera sfida nell’annata elettorale che sta per aprirsi.

vittorianozanolli.it

Ada Ferrari


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commenti


Pierpiero

22 settembre 2023 09:22

Io abitavo in una via dove i rumori rimbalzavano tra le case e arrivano all'ultimo piano, come fosse il pianterreno.
La fermata della radiale sotto casa era poi oggetto di una bella sgasata quando i mezzi dovevan ripartire e, infine, alla sera e sino a notte fonda, la strada rettilinea diventava una pista di prova per valutare le accelerate delle varie auto. Non si poteva stare a finestre aperte. Alle 4,30 del mattino, puntuale come un orologio di grande marca, un Apecar passava sotto casa e determinava la fine delle 4 ore di silenzio notturno.
Alla fine ho risolto: sono andato a vivere in campagna.

Emanuele

25 settembre 2023 17:46

Condivido in pieno. È meglio andarsene. .ai posteri l'ardua sentenza