Cremona vuol salvare il mondo. Medico, cura te stesso
«Roma Glasgow Cremona: ‘Salviamo la terra’» (La Provincia 2 novembre). Provare a salvare Cremona, no?
Medice, cura te ipsum, consigliava Gesù, che vedeva le cose da una angolazione esclusiva, più ampia e trascendente. Ascoltarlo non è peccato e potrebbe fruttare il paradiso. Di sicuro, si guadagnerebbe in salute.
In attesa della messa in sicurezza del mondo per un futuro migliore, sarebbe opportuno abbassare la concentrazione di polveri sottili nell’aria cittadina, diminuire l’incidenza percentuale delle patologie respiratorie e tumorali del territorio provinciale, evitare l’interessamento dei media nazionali sull’inquinamento ambientale di casa nostra. Non ultimo, sarebbe cosa buona e giusta, equa e salutare, retrocedere nella classifica delle città europee con l’aria peggiore. Classifica che vede Cremona al secondo posto.
Sia chiaro, la città non è una camera a gas. Però è sulla buona strada per arrivarci, pericolo che non si evita e non si esorcizza con il Torrazzo trasformato in schermo per veicolare i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs).
L’idea originale e creativa non riduce le polveri sottili, non ferma la costruzione dei supermercati, non spegne l’inceneritore, non impedisce lo sversamento di fanghi tossici sui campi.
Il campanile è scenografico. È bel vedere. È placebo. È mistificazione. È fumo negli occhi. È presa per il culo. Comunque il tempo è galantuomo.
Fatti non parole. Azioni non giochi di luce. Concretezza non dichiarazioni d’intenti.
«La cardiologia di Cremona fa scuola. Caso studio pubblicato sul New England Journal of Medicine» (Cremonasera 4 novembre). Tanto di cappello e applausi.
«In quarant’anni di carriera – spiega il direttore di cardiologia Gian Battista Danzi - non ho mai visto tale tipo di anomalia».
Già, l’incidenza della patologia descritta nel lavoro pubblicato è dello 0,024% nella popolazione generale. Non una pandemia. Neppure un focolaio. Nemmeno un caso sporadico. Una rarità. Un Gronchi rosa per i filatelici. L’averla diagnosticata è fonte di comprensibile orgoglio, ma non giustifica considerazioni un po’ troppo ottimistiche e generose sullo stato di salute - per stare in tema - dell’ospedale di Cremona.
«Pubblicare un articolo su una rivista di questa levatura - sottolinea Danzi - è un’occasione a dir poco unica e il fatto che il nostro ospedale vi compaia è la prova della solerzia della nostra Azienda Socio-Sanitaria».
Uno slurp inutile, fuori luogo e gratuito. La solerzia è della cardiologia.
Questo prezioso cameo medico non contempla la proprietà transitiva. Non certifica che l’intera struttura sanitaria sia efficiente ed efficace come il reparto in questione.
L’impegno e la diligenza di un nosocomio non si misurano dalla diagnosi e cura di una patologia che può sbarcare in un reparto ospedaliero una o due volte in mezzo secolo.
Una struttura sanitaria non si giudica da un solo tassello, ma dall’insieme. Non dal valore dei singoli, che possono aspirare alla medaglia olimpica della propria specialità, ma dalla qualità nel suo complesso.
Un ospedale è promosso non solo per un lavoro finito su una prestigiosa rivista scientifica, ma per l’adeguatezza delle risposte che fornisce al bisogno di cure dei pazienti con patologie ordinarie per il territorio di competenza. «L′impresa eccezionale dammi retta, è essere normale» suggerisce Lucio Dalla.
L’efficienza di un ospedale si misura dai tempi di prenotazione per accedere alle prestazioni, dalla permanenza al pronto soccorso prima di essere visitati, dalla capacità di mantenere le risorse umane migliori ed evitare il loro esodo, dal grado di interlocuzione con i sanitari sul campo e tra questi e i medici degli ambulatori comunali, dal livello medio delle prestazioni, dalla professionalità e gentilezza degli operatori del call center.
L’ospedale è un’orchestra. Per funzionare esige armonia, unità d’intenti e poche stecche. Indispensabile un direttore che sappia dirigere con rigore e autorevolezza e abbia sempre presente che il diritto alla salute è garantito dall’articolo 32 della Costituzione.
Giuseppe Rossi, capo supremo dell’Asst di Cremona possiede tutte queste caratteristiche e sa cosa significa suonare in gruppo, lui che da giovane era chitarrista, nome d’arte Gegè, dei Distretto 51, band messa insieme dall’ex governatore lombardo Roberto Maroni. E sa altrettanto molto bene che le stonature sono inevitabili. Sa pure che il suo ospedale negli ultimi tempi ne ha collezionate alcune sfociate in contestazioni pubbliche, l’ultima una decina di giorni fa, organizzata dai sindacati davanti all’ingresso dell’ospedale. Sa che tra i contestatori c’erano i sindaci di Cremona, di Gerre Caprioli e di Stagno e il consigliere regionale Matteo Piloni? Non una puntura di zanzara.
Rossi sa che le stonature sono tutte rimediabili e dovrebbe sapere che non si eliminano con un ospedale nuovo. Non è con il possesso di una Fender Stratocaster che si diventa Jimi Hendrix. E anche questo lui lo sa.
Medice cura te ipsum. Rossi è cardiologo. Ci pensi. E non dimentichi il passato da chitarrista e il presente da direttore, combinazione perfetta per fare suonare l’orchestra al meglio. Se vuole.
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commenti
Nilla Spotti
8 novembre 2021 07:13
Finalmente qualcuno scrive qualcosa di sensato, complimenti e... Coraggio👋👋👍
Vincenza
9 novembre 2021 13:13
Meritevole di essere letto