Cristiani contagiosi della gioia della Risurrezione
Delusione, disincanto, paura. Tre sentimenti che sono veri e propri ostacoli per la fede, quasi dei macigni che ci impedisco di guardare al Cielo e di trovarvi ristoro.
Delusione: quel Dio nel quale ho creduto e ho sperato e al quale mi sono rivolto con le mie preghiere non è quello che mi aspettavo. Mi ero fatto un’immagine di Lui che purtroppo si è scontrata con la dura realtà. I miei desideri non sono stati esauditi, i miei tempi non sono stati rispettati, il mio modo di giudicare e di vedere il mondo non è stato accettato. Credevo che pregando i miei progetti fossero esauditi e invece egli è rimasto muto e in silenzio.
Disincanto: quel Dio nel quale ho creduto e ho sperato è così oscuro, incomprensibile, misterioso. Io che sono abituato a pianificare tutto, ad avere ben chiaro quello che devo fare e dire, mi ritrovo a camminare con Lui in una valle oscura. Cercavo in lui sicurezza e conforto e cosa mi ritrovo in mano? Un comandamento, uno solo, quello d’amore, che vorrebbe costringermi a ribaltare tutto il mio modo di agire e pensare. Prima gli altri e poi me… ma stiamo scherzando? Io pensavo alla fede come ad un gesto consolatorio e devo fare i conti con uno che offre la sua vita per gli altri. Volevo un Dio che mi lasciasse in pace, nel mio torpore, invece mi spinge continuamente a convertirmi…
Paura: quel Dio nel quale ho creduto e sperato come ricompensa alla mia sequela mi offre persecuzioni e croci. Mi riserva solo emarginazione e dileggio da parte di quella “sapienza del mondo” che disprezza tutto ciò che non è ricerca di sé stessi e del proprio piacere. Invece di infondermi pace, egli mette in pericolo la mia vita, la mia immagine, il mio posto nella società, la mia onorabilità… Ma Dio non è onnipotente? Dio non decide tutto? Non è il motore del mondo?
Delusione, disincanto, paura… questo devono aver provato i discepoli chiusi nel Cenacolo, alla sera di un giorno convulso. Con ancora negli occhi le atroci sofferenze subite dal loro Maestro, qualcuno ha osato insinuare di averlo visto e addirittura di aver parlato con Lui. Che insensati… come si può dire una cosa del genere proprio ora che i capi del popolo sono sul piede di guerra?
E proprio nell’ora in cui la delusione, il disincanto e la paura sembrano soffocare il cuore degli apostoli. Proprio nell’ora in cui ogni via di speranza è chiusa e sbarrata, come le porte e le finestre della stanza al piano superiore, Gesù irrompe per “stare in mezzo a loro”. Che bella questa annotazione: Cristo Risorto è nel mezzo della comunità degli apostoli! In mezzo ai loro timori, ai loro tradimenti, alle loro ritrosie, alle loro infedeltà. Gesù non può stare in un altro posto se non dove l’uomo è più debole, indifeso, solo. È lì che Cristo viene a cercarci, perché lì possiamo davvero fare quell’esperienza di povertà e di umiltà che sono indispensabili per accoglierlo come Salvatore.
E a questi uomini tremanti e inaffidabili Cristo consegna dei doni straordinari: la sua pace e il suo Spirito attraverso il quale essi potranno perdonare i peccati agli uomini. Dalla sua croce e dalla sua risurrezione sgorga un vero e proprio fiume di perdono, di riconciliazione, di misericordia. Non è un caso che Gesù, attraverso le apparizioni a Santa Faustina Kowalska, abbia voluto che proprio la domenica dopo Pasqua fosse consacrata alla sua Divina Misericordia. Dio è amore ed uno dei volti più belli dell’amore è proprio la misericordia. Non c’è peccato, non c’è miseria morale, non c’è incredulità che Dio non possa perdonare. Anche Giuda, se si fosse abbandonato all’amore di Gesù, avrebbe trovato pace nel cuore.
Ma c’è anche Tommaso! Alla prima apparizione del Maestro è assente e quando gli altri compagni gli raccontano il prodigioso incontro egli non crede. Troppo orgoglio? Troppa superficialità? O troppa delusione perché Cristo si è mostrato quando lui non c’era?
Quando leggo questo brano mi sorge sempre un dubbio: non è che Tommaso non ha creduto perché la testimonianza degli altri apostoli non è stata abbastanza convincente? Hanno visto il Signore e sono ancora chiusi nel Cenacolo! Hanno visto il Signore è non sono ancora usciti ad annunciare il lieto evento! Hanno visto il Signore è il loro cuore è ancora prigioniero della paura e dell’incertezza! I discepoli non sono contagiosi! Forse è per questo che Tommaso non crede. Forse è per questo che tanti uomini e donne di oggi faticano ad accogliere il Vangelo come parola piena di senso, bella, buona e soprattutto conveniente per la propria umanità! E non hanno tutti i torti! Noi cristiani che segni concreti diamo di risurrezione? Siamo gioiosi, fiduciosi nel futuro, certi che Dio volgerà al bene tutto ciò che è male nel mondo? Noi cristiani siamo pronti a scommettere sull’amore come unica via di cambiamento della società? Siamo pronti a perdonare, a dare una nuova possibilità a chi sbaglia e ci offende? Siamo consapevoli che il nostro contributo di bene può realmente anticipare il Regno dei Cieli? E soprattutto siamo desiderosi di incontrare il Signore in quella Patria celeste piena di luci, di suoni, di colori inenarrabili?
Se davvero credessimo alla Risurrezione noi cristiani saremmo davvero contagiosi, perché la nostra vita acquisterebbe uno spessore diverso. Saremmo luminosi! Dei piccoli fori attraverso i quali vedere Dio e il suo Cielo!
Tommaso non si accontenta di una testimonianza scialba e incolore dei suoi compagni di avventura. Vuole qualcosa in più. Vuole una prova d’amore! Ed ecco che Gesù ritorna, mite e paziente come sempre! A Tommaso non mostra la sua gloria e la sua bellezza di risorto, ma le piaghe delle mani e dei piedi che ancora segnano il suo corpo. Esse sono la prova che l’apostolo cercava disperatamente. Noi incontriamo Gesù e lo riconosciamo come vivo e risorto solo e soltanto se facciamo esperienza del suo amore, che ci precede, che ci avvolge, che ci stupisce. Solo l’amore di Dio riconosciuto e accolto in noi è l’unica forza capace di abbattere il muro eretto attorno al nostro cuore dalla delusione, dal disincanto, dalla paura.
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