21 novembre 2021

Cristo è Re perché non teme di amare e di ricercare la verità

Questo è un tempo pieno di sfide, soprattutto per chi crede che il proprio presente avrà un riverbero nell’Eterno, per chi non si accontenta di essere fatto solo di carne e di ossa. 

La frenesia del vivere ruba l’anima rendendo cinici e superficiali, il relativismo etico che assurge le opinioni di ciascuno al rango di verità disorienta e divide, l’ipersessualizzazione della società comprime la capacità di amare trasformando l’uomo in rapace predatore per il proprio piacere personale, i mass-media condizionano irrimediabilmente al pensiero unico. Amare e pensare sono diventate due tra le “azioni umane” più rare e difficili. L’incapacità di tessere relazioni significative e durature e il disinteresse di fronte all’oggettività della realtà – vale solo lo sguardo soggettivo, il proprio punto di vista, il proprio giudizio o pregiudizio – stanno minando l’identità profonda dell’uomo e disgregando lentamente la nostra già fragile società. E non è questione solo di giovani generazioni: in questa mentalità fluida e perennemente ripiegata sull’immediato, siamo immersi tutti. La pandemia per Covid19, poi, ha fatto franare anche quelle poche certezze – giuste o sbagliate che fossero - che ci si era conquistati. 

In questi ultimi mesi si nota, da una parte, un grande desiderio di novità, di cambiamento e dall’altra poche energie interiori per inaugurare questa sospirata fase nuova, tanto che molti invocano uomini forti e decisi – da un pezzo i partiti politici si sono trasformati in meri megafoni dei propri leaders e non più luoghi di confronto e di discernimento – che guidino questa transizione.  

Si insinua poi la non più tanto velata accusa – da parte degli ecologisti più ortodossi – che l’uomo sia un misero fallimento perché solo capace di inquinare e distruggere; è il peggiore tra gli animali esistenti, una sorta di parassita che succhia la linfa vitale alla Natura! A leggere certi commenti sui social si rimane basiti di come certa gente odi sé stessa!

L’uomo, dunque, si ritrova sempre più debole e solo, soprattutto dopo questo virus che gli ha tolto anche le sue ultime certezze: l’invincibilità della scienza e della tecnica!

Oggi concludiamo l’anno liturgico caratterizzato dal Vangelo di Marco celebrando la solennità di Cristo Re dell’Universo. Una ricorrenza che può apparire anacronistica – fu istituita da papa Pio XI nel 1925 contro le emergenti ideologie statolatriche che miravano a controllare le coscienze delle persone – ma che in realtà svela, ancora una volta, la bellezza dell’umanità di Cristo.

Una cosa è certa, occorre svestire questa festa da ogni retorica. La regalità di Cristo non reclama gli sfarzi della liturgia o enfatiche professioni di fede! Il brano giovanneo, infatti, ci presenta Gesù in uno dei momenti più umilianti della sua storia terrena: il processo farsa dinanzi a Pilato. Eppure, proprio in questa avvilente situazione, nonostante le catene, le percosse e i dileggi, egli mostra una sovrana libertà, una sublime regalità nell’affrontare l’istruttoria del procuratore di Cesare.

Pilato, pur rappresentando l’imperio di Roma, infatti, appare il vero prigioniero: egli, pur conoscendo la verità, – l’innocenza di Cristo – cederà nei versetti successivi al ricatto dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei e lo condannerà a morte. Il Procuratore ha paura di una ennesima rivolta del popolo, teme che anche questo affare mal gestito possa giungere agli orecchi dell’imperatore e minare la sua carriera. A Pilato, come a molti uomini di potere, non interessa la verità, ma una versione dei fatti che sia vantaggiosa per lui e per il regime che rappresenta. Per questo motivo – pur lottando brevemente con la propria coscienza – farà morire Gesù calpestando la verità. Con quella domanda impressa a caratteri di pietra sull’altare della storia - “Che cos’è la verità” – egli mostra arrendevolezza e rassegnazione: per chi brama il potere, per chi coltiva solo la propria carriera e la propria immagine, per chi cerca il proprio interesse, la verità resta un accessorio. 

Di fronte alla fermezza di Cristo che mai arretra, Pilato svela tutta la sua vulnerabilità: è lui il vero prigioniero, mentre Cristo è il grande accusatore! 

Lo stesso discorso vale per i capi del popolo: essi sono schiavi del pregiudizio, di una visione rassicurante della religione che mai li costringa a mettersi in discussione! Non cercano l’autentico volto di Dio, ma quello che si sono costruiti e che li rassicura in base alle proprie convinzioni.

Gesù è libero, è Re, perché non baratta mai l’amore per qualche interesse di parte: nonostante sia consapevole di andare incontro ad una morte atroce non retrocede. Egli continua a credere nell’amore anche se il destinatario di questo amore risponde con gli sputi, la violenza, la morte. Pilato e i capi degli ebrei non sanno amare perché sono prigionieri dell’egoismo: non conoscono altra legge che quella del tornaconto personale, sono ambiziosi e arroganti. Sono dei deboli e degli schiavi: l’amore, infatti, rende liberi e infonde una forza e una energia straordinari per affrontare anche le prove più terribili.

Gesù è libero, è Re, perché non rinuncia alla ricerca della verità anche se questa costa persecuzione ed emarginazione, anche se lo porterà a perdere la propria dignità e ad assumere il volto dello sconfitto.

La sera del 15 settembre del 1993 un gruppo di killer affrontava sotto casa don Pino Puglisi e metteva a tacere la sua voce. Salvatore Grigoli, l’assassino poi divenuto collaboratore di giustizia, ha raccontato: “Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva il borsello nelle mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano nella mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: padre, questa è una rapina. Lui si girò, lo guardò, sorrise – una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte – e disse: me l’aspettavo. Non si era accorto di me, che ero alle sue spalle. Io allora gli sparai un colpo alla nuca”. Fuggiti gli assassini, il primo ad accorrere sulla scena del delitto fu un vicino di casa che trovò il sacerdote con le braccia in croce, raccolte sul petto, come in un’ultima preghiera. Il suo volto era sereno, quasi sorridente!

Don Pino, imitando Cristo nell’amore e nella ricerca della verità, ha affrontato la morte da Re. È lui il vero vincitore, i suoi carnefici gli sconfitti.

Claudio Rasoli


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