Dal male non si sfugge, lo si fronteggia!
“The Village” è uno dei film più intriganti e lungimiranti che abbia mai visto: un gruppo di persone, nella disperata ricerca di un mondo senza malvagità e violenza, si rifugia in mezzo ad una vasta tenuta costituendo una comunità perfettamente autonoma fondata sul lavoro dei campi e sulla caccia. Onde evitare la fuga delle nuove generazioni da questo paradiso artificiale, gli anziani raccontano di malvagie creature che popolano il bosco e che uccidono quanti si avventurano nella selva. La grande architettura crolla quando un giovane, malato di mente, per gelosia, ferisce seriamente un suo coetaneo cosicché gli anziani sono costretti a svelare il grande inganno.
C’è sempre stata nell’uomo la tentazione di “isolare” o “circoscrivere” il male come se fosse un’entità estranea al proprio cuore – non mi riferiscono in questo caso al demonio che è chiaramente una creatura e un essere personale – e che entra in lui dall’esterno attraverso i cibi, i contatti umani o chissà quali sortilegi di maghi o fattucchiere. La grande illusione degli anziani di “The Village” è di pensare di allontanare il male – cristianamente il termine esatto sarebbe “il peccato” – come se non fosse una componente dell’animo umano – non certo costitutiva, ma reale ed operante – e con la quale l’uomo deve fare continuamente i conti.
Una volta c’erano le streghe da bruciare sui roghi o efferati assassini da torturare e uccidere su pubbliche piazze, veri e propri capi espiatori, sui quali vomitare tutto il proprio disprezzo. Una sorta di grande rito di purificazione che faceva sentire migliore il popolo. Oggi ci sono i social network che assolvono questo tragico compito e che, in pochi istanti, trasformano le persone in mostri da crocifiggere a colpi di commenti tanto indignati quanto crudeli. Anche in questo caso un’aberrante liturgia collettiva per dire che “i cattivi sono sempre gli altri” e che noi, in fondo in fondo, noi “non siamo così!”.
È questo il messaggio contenuto nel Vangelo di questa domenica di fine luglio, sedicesima del tempo ordinario. Gesù utilizza ancora una parabola – quella del seme buono e della zizzania - per spiegarci come il Signore agisce nella nostra vita e allo stesso tempo cosa alberga nel cuore di ciascuno.
La storia è un campo di battaglia nel quale Dio semina il bene continuamente, ostinatamente, fiduciosamente, ma dall’altra parte c’è un nemico – Satana, ma anche la nostra libertà corrotta e pervertita - che si diverta a traviare, inquinare, ostacolare questo bene, mediante un male che, quasi sempre è mascherato da bene! Il peccato, infatti, si presenta come la via facile per acquistare la felicità: esso è – come l’albero proibito della Genesi – “buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”!
Eppure dopo un primo subitaneo godimento, il peccato mostra il suo vero volto incidendo nel cuore ferite profonde: amarezza, tristezza, fallimento, solitudine. È impensabile raggiungere la felicità senza Dio e senza gli altri, senza investire su un amore autentico e oblativo.
Gesù, dunque, ci mette in guardia: se si vuol vivere “seriamente” e in pienezza, se si vuol seguire Dio con radicalità occorre affrontare il male dentro e fuori di sé. Da esso non si può fuggire e non si può evitare. Il male va sempre fronteggiato!
Molti – alla stregua dei protagonisti di “The Village” - dopo il Covid hanno continuato a rimanere chiusi in casa impauriti da un mondo sempre più ostile e violento: i sociologi parlano di “sindrome della capanna”. Un sintomo preoccupante soprattutto tra le nuove generazioni che nel loro dna dovrebbe abbondare di coraggio e voglia di futuro: li chiamano hikikomori e sono adolescenti che vivono chiusi nella loro cameretta senza nessun, o quasi, contatto umano! Un fenomeno nato e sviluppatosi esponenzialmente in Giappone e poi diffuso in tutto il mondo: nel nostro Paese sono circa 100.000 i ragazzi che si sono autoreclusi!
Un modo, molto inconscio, per fuggire di fronte alle responsabilità dell’esistenza, alla fatica delle relazioni con gli altri, al male che toglie il respiro.
Il male fa fronteggiato sempre, ma come? Anzitutto va riconosciuto, con grande umiltà e realismo, che il peccato alberga dentro il cuore dell’uomo fin dal suo primo vagito! Il male coabita con il bene e a volte è difficile distinguerli nettamente! Il cristiano non è mai un manicheo: non fa battaglie per la purezza e l’integrità in senso assoluto, perché sa, per primo, di combattere questa battaglia dentro di sé. Riconoscere che il male, cioè, il peccato corrode il cuore è l’inizio di un serio cammino di conversione ed è un valido antidoto contro il disprezzo degli altri: i puri e i perfetti sono solo pieni di orgoglio e di superbia e vivono giudicando e biasimando gli altri!
Accettare di fare i conti con il male per tutta la vita è principio di saggezza, pensare di estirparlo è follia, soccombere ad esso, invece, è il gioco del demonio che vuole strapparci la speranza, la convinzione che Dio ci ama nonostante il male di cui siamo gli autori.
C’è poi il male che ci circonda: il peccato va sempre isolato, definito e combattuto perché offusca e denigra la dignità dell’uomo, il peccatore, invece, va sempre accolto e perdonato. Per questo Gesù nella parabola invita alla pazienza e al discernimento: è necessaria più che mai una misericordia che non annacqua o addolcisce la verità, ma la proclama con franchezza non dimenticando mai la carità.
Qualcuno, spinto da indomabile zelo divino, vorrebbe fare come l’abate di Cîteaux, Arnaud Amaury, che durante l’assedio della città di Béziers in mano agli eretici catari disse ai soldati che chiedevano come distinguere i buoni dai cattivi: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”. È una leggenda, l’uomo di Dio non pronunciò mai parole così terribili, ma la tentazione, almeno una volta, è venuta a tutti. Anche a me, inguaribile crociato intransigente! Poi mi sono reso conto che tra quelli da ammazzare avrei dovuto esserci anche io! Allora ho rinfoderato la spada e una volta risalito sul mio destriero ho ripreso a cavalcare verso l’orizzonte infinito.
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