Di fronte all'amore la morte fugge disarmata
Nel mezzo della calura estiva, mentre la maggior parte delle persone si gode la frescura dei monti o il refrigerio di un bagno al mare, i cristiani celebrano la Pasqua della Vergine Santa, il suo passaggio da questa vita terrena a quella celeste. L’assunzione di Maria al Cielo è il dogma più recente: il 1° Novembre 1950, il grande papa Pio XII, l’ultimo principe di Dio, proclamava solennemente, in una piazza San Pietro stracolma di fedeli, che “l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».
Una dichiarazione solenne che sigilla la fede bimillenaria del popolo cristiano! Fin dai primi secoli, infatti, è sorta nel cuore dei credenti questa certezza: Maria, Colei che è avulsa da ogni peccato, che ha vissuto tutta la sua esistenza orientata al Figlio e che sotto la croce, al pari di Cristo, ha offerto tutta sé stessa per la salvezza del mondo, poteva forse essere sfiorata dai segni della morte? Poteva, la Madre dell’autore della vita, corrompersi nel sepolcro?
La tradizione orientale, sempre più immaginifica e poetica di quella latina, proclama la “Dormitio Mariae”: la Madonna si sarebbe abbandonata ad un sonno profondo e Dio l’avrebbe portata in Cielo, risvegliandola nella gloria degli Angeli e dei Santi. Quasi una sorta di rapimento dalla morte che, proprio grazie al sacrificio della Croce, non ha più quel potere egemonico che l’ha sempre resa temibile e invincibile. La Vergine, dunque, è la prima di una lunga serie di persone che, grazie a Cristo, ha umiliato e neutralizzato per sempre le conseguenze della morte!
Il nodo della questione non è se Maria sia morta o no – nemmeno la bolla Munificentissimus Deus chiarisce la cosa - ma che la morte - con il suo carico di angoscia, di lacerazione, di corruzione - in Lei non abbia prevalso. Si potrebbe azzardare che Maria ha lasciato questa terra per approdare al Cielo con naturalezza, serenità, con la stessa tranquillità di una persona che si prepara a passare la notte nel proprio letto, comodo e sicuro.
Questa solennità, che in fondo comunica che il nostro futuro è il Paradiso, cioè la contemplazione eterna della bellezza di Dio, celebra l’amore che vince la morte.
Che cosa, infatti, ci fa temere così tanto la morte? Perché l’uomo vive questa esperienza come qualcosa di tragico, di angosciante, come una sorta di fallimento della propria esistenza, come un evento da scacciare, da fuggire?
Sostanzialmente perché è incapace di amare così come insegna Gesù con la sua vita, ma soprattutto con l’offerta di tutto sé stesso sul Golgota. L’uomo, irretito dal demonio e infiacchito dal peccato, vive ripiegato su stesso e cerca la propria autorealizzazione e il proprio piacere sfruttando cose e persone. Il peccato, che apparentemente appare buono e gradevole (come il frutto dell’albero proibito nel paradiso terrestre), porta conseguenze disastrose: rompe anzitutto quel rapporto vitale di comunione e di fiducia con Dio (il Signore è visto come un antagonista, un dittatore che calpesta la libertà e il desiderio di autonomia dell’uomo), ma anche con i fratelli (essi appaiono degli ostacoli da eliminare per giungere ai propri obiettivi o delle “cose” da usare e sfruttare per i proprio scopi) e con il proprio cuore (alla fine ci si sente disorientati, frantumati nell’intimo, estranei a se stessi…).
Il peccato illude l’uomo di poter trovare la felicità “qui e ora”, “sempre e comunque”, “a discapito di tutto e di tutti”, ma in realtà lo immerge in una solitudine profonda, in una inquietudine perenne, in un senso di insoddisfazione latente, in una ricerca spasmodica di qualcosa di sempre più ardito e accattivante. Il peccato limita lo sguardo al contingente e confina l’uomo nella pura materialità: egli crede di realizzarsi solo se possiede, sfrutta, accaparra, ingurgita, gode, accumula… Il mondo diventa quindi una preda da catturare e non più un dono da rispettare, ammirare, custodire e per il quale ringraziare!
Ecco perché la morte è vista come un mostro terribile e minaccioso: essa smaschera la stolta illusione di trovare la felicità vera nel mondo! Ecco perché viene continuamente confinata ai margini, quasi ignorata, certamente esorcizzata attraverso l’uso smodato e compulsivo di cose e persone. Eppure quando si presenta per chiedere il conto, l’uomo rivela tutta la sua fragilità, la sua impotenza, il suo sbigottimento! Sì, perché, in fondo, la morte fa tremendamente paura a chi ha vissuto solo amando sé stesso, solo cercando il proprio interesse, il proprio tornaconto, il proprio guadagno. La morte con il suo carico di angoscia ha sempre la meglio sugli egoisti, i prepotenti, gli arroganti.
Essa, invece, arretra, disarmata e terrorizzata, dinanzi a chi ha vissuto la propria esistenza nell’amore, a chi, quotidianamente, si è fatto “consumare dall’amore”, a chi cioè ha posto la propria fiducia non nelle cose o nelle persone ridotte a cose, ma nel bene donato, nel pane condiviso, nel perdono offerto, nel tempo speso per gli altri… Di fronte all’amore la morte non ha armi, non ha pungiglioni… può solo abbassare la propria falce, sconfitta e umiliata.
Ecco perché Maria non è stata vittima della morte e delle sue nefaste conseguenze, ecco perché tutto di lei, anima e corpo, è stato trasfigurato in Dio. La Madonna ha vissuto unicamente orientata all’amore, al servizio oblativo, al disprezzo delle cose del mondo quando esse conducono solo all’egoismo e alla bramosia. La morte, in lei, non ha trovato nessun appiglio!
Ricordo, sempre con commozione, il racconto della morte di San Massimiliano Kolbe, la cui memoria liturgica si celebra il 14 agosto, vigilia dell’Assunta. Questo frate, profondamente innamorato della Madonna, internato dai nazisti ad Auschwitz, ottenne di prendere il posto di un padre di famiglia condannato alla pena capitale. Fu decisa la morte per fame e sete, ma dopo due settimane, per affrettare la fine, gli iniettarono nel braccio dell’acido fenico. Il soldato che andò a recuperare il suo corpo, posto in fondo alla cella, restò profondamente turbato di fronte alla scena: «Era appoggiato al muro, con la testa inclinata sul fianco sinistro e il volto insolitamente raggiante. Aveva gli occhi aperti e concentrati in un punto. Lo si sarebbe detto in estasi». La morte lo aveva raggiunto, ma non lo aveva sconfitto. Solo l’amore vince!
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