2 dicembre 2025

Dicembre: il presepe, l’albero, il tempo sospeso che dimentichiamo

Dicembre arriva sempre allo stesso modo: silenzioso, quasi timido, come se temesse di disturbare la corsa frenetica dell’anno. Porta con sé un bagaglio antico, fatto di simboli che raccontano di fede, di speranza e di sogni. È un mese che dovrebbe restituirci tempo e significato, ma nel nostro mondo moderno — così orgoglioso della propria idea di libertà — rischia di trasformarsi in un semplice sfondo, un calendario che scorre senza lasciare traccia. 

Il presepe e l’albero di Natale erano, e in fondo sono ancora, due metafore dell’uomo: il primo radicato nell’umiltà, nel mistero di una nascita che promette luce in mezzo alla povertà, il secondo elevato verso l’alto, come un desiderio che non si arrende alla gravità del quotidiano. Due simboli che un tempo ci insegnavano la bellezza dei gesti semplici, il valore dell'attesa, la magia della speranza. Oggi, invece, rischiano di diventare oggetti ornamentali, elementi decorativi svuotati del loro respiro più profondo. Nella nostra epoca, dove la libertà è spesso interpretata come abolizione di ogni radice, di ogni tradizione, di ogni limite, ci stiamo forse dimenticando qualcosa di essenziale: la purezza dello sguardo infantile che un tempo dicembre sapeva risvegliare. Era la stagione in cui anche i cuori più duri lasciavano filtrare una scintilla di bontà, in cui si tornava bambini senza vergogna, perché era naturale farlo. Oggi, invece, sembra quasi un peccato credere ancora nella speranza, come se il sognare fosse diventato un esercizio ingenuo o, peggio, fuori moda. In nome di una modernità che corre, corriamo anche noi, senza fermarci ad assaporare il giusto tempo delle cose. Ci dimentichiamo che vivere non significa solo esistere, e che l’Uomo, posto ormai al centro di tutto, rischia di non vedere più nient’altro che sé stesso. È un egocentrismo sottile, non sempre cattivo, ma sufficiente a renderci ciechi alla meraviglia.

Qualcuno ha detto che il Natale è il “tempo dei cretini”. Non ho la presunzione di giudicare, né di sentenziare chi abbia ragione o torto. Ma una cosa me la permetto: difendere il rispetto. Il rispetto per i valori che hanno attraversato generazioni, per le tradizioni che ci hanno cresciuti e che non dovrebbero essere cancellate in nome di un’interpretazione distorta della libertà. Il rispetto per chi crede, per chi spera, per chi sceglie di fare il presepe non per imporre un’idea, ma per coltivare una memoria. Non chiedo un mondo che obblighi a credere. Chiedo un mondo che non obblighi a smettere di farlo. Dicembre non è solo un mese. È un promemoria. È un invito a riscoprire ciò che abbiamo dimenticato: la capacità di sognare, di sperare, di tornare bambini almeno una volta l’anno. E forse, proprio in questo, risiede il miracolo più semplice e più grande del Natale.

 

Beatrice Ponzoni


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commenti


harry

2 dicembre 2025 09:34

Bra-va!