Il dibattito. E' ancora possibile un'arte sacra?
«Quando abbiamo inaugurato il museo, il vescovo ha detto questa frase: “Inauguriamo un museo perché le nostre chiese non diventino solo un museo”. Significa che le chiese non dovrebbero essere visitate come vetrine di tesori, ma vanno rispettate nel loro senso più profondo che è quello liturgico e sacramentale». Basterebbero queste parole dello stesso incaricato diocesano per i Beni culturali e direttore del Museo Diocesano per valutare la portata di Cattelan appeso a mezz’aria in Battistero. Già, perché “Ego”, il coccodrillo tassidermizzato del pacchetto preconfezionato di Week Art, raffigura lo stesso Cattelan, così come, a suo dire, egli si percepisce. Pertanto questo significato egotico, nonostante i tentavi tardivi di conciliazione, non ha nulla a che spartire con quello legato a qualche altro coccodrillo in qualche altra chiesa del mondo cristiano, lì presente come ex voto. Gli rimane estraneo pure quello del bestiario medievale, che in esso vede l’ipocrisia di chi rivolge occhi e fauci al cielo ma rimane al contempo immerso nel fango dei vizi. Come anche quello del coccodrillo-dragone infernale che addenta un’anima cristiana o che è trafitto da San Giorgio; la stessa estraneità vale per il dragone Cristo attorniato di fiori e frutti, che salva dal veleno del peccato come serpente appeso all’asta. Tutti questi significati sono ben definiti da una codificata tradizione o da una precisa contestualizzazione a Curtatone, a Bergamo, a San Quirico d’Orcia, ad Exeter come altrove. Ma a Cremona?
Che cosa dice Cattelan in coerenza con tale tradizione e con il contesto specifico di un Battistero? Peraltro apprendiamo che l’artista aveva inizialmente richiesto la Cattedrale, e dunque con quest’altra collocazione la curatrice Farinotti si sarebbe dovuta arrampicare sugli altri vetri per far risultare altri significati perfettamente omogenei a simbolica e linguaggio cristiani e comunque in altrettanto contorsionistica sintonia con l’ufficio diocesano competente. Poco male, alla fine salva sempre l’affermazione “È una provocazione”, il mantra di un’arte contemporanea sempre più affaccendata nel destrutturare simboli e significati e preoccupata anzitutto di suscitare emozioni d’ogni sorta.
Ma l’arte cristiana non si struttura sulla provocatio, sul “chiamar fuori” per il duello con quanto ci ha preceduto, ma sulla convocatio, sul “chiamare assieme” attorno ai significati ricevuti e condivisi della fede, sul riunire attorno al sacro, realtà di questo mondo che dice dell’altro mondo. E proprio in questa separazione/sacralità sta l’autentica provocazione nei confronti di questo mondo da sempre tentato di autocomprendersi secondo prospettive di immanenza. Solo un’errata recezione del principio di incarnazione misconosce che l’arte cristiana non è luogo dell’incontro con l’umano ma col divino, non addita il profano ma il sacro, non dice lo storico ma l’escatologico. E qualsiasi approccio alla contemporaneità dovrebbe mantenere ferma questa prospettiva. Purtroppo buona parte della teologia cattolica sembra aver imboccato da decenni la strada della desacralizzazione di arte e liturgia, insieme alla deellenizzazione del cristianesimo e alla demitizzazione della Scrittura, ritenute i capisaldi di un proclamato rinnovamento.
Comprendo bene come per i vertici della Chiesa cremonese le espressioni “arte cristiana” o “arte sacra” costituiscano un riferimento ormai inadeguato, specie se connotato da un impianto figurativo, cifra di un’anacronistica resistenza al novum teologico liturgico, al famigerato spirito conciliare. Ma le brutture architettoniche e artistiche, “in dialogo con la contemporaneità” e conciliarmente ispirate, caratterizzate da insignificanza comunicativa, da irrilevanza o banalità simbolica nei riguardi dei contenuti specifici della fede cristiana, sono sotto gli occhi di tutti da decenni e non accennano ad arrestarsi.
Vero è che la mens di questa operazione in Battistero risulta in tutto omogenea a quella condotta in Cattedrale per il rifacimento del presbiterio, affidata anch’essa ad un nome affermato dell’arte contemporanea, rigorosamente ateo e dalla presunta “spiritualità” che permane criptica, malgrado gli sforzi attuati per indicarne la consistenza. Dalle nozze celebrate in Cattedrale con l’arte contemporanea sono infatti venute alla luce tre creature senza alcuna connotazione riconoscibile come cristiana; forme, materiali e decorazioni potrebbero essere benissimo collocati indifferentemente anche in un lounge bar di tendenza, in una hall di business class in aeroporto, nell’ufficio di rappresentanza di un amministratore delegato…, senza patire alcuna incongrua transignificazione. Precisamente perché in quanto altare, ambone e cattedra rimangono in se stessi insignificanti; piuttosto assumono significato dalla loro collocazione su un presbiterio di una Cattedrale e da tutti i segni eloquenti per la fede lasciatici dalle precedenti generazioni cristiane. Solo guardando a questo potente contesto i tre gracili neonati ricevono il proprio nome.
Nel suo intervento Enrico Maria Ferrari, valido architetto e valido amico, si chiede «il motivo del posizionamento “penzolante” della scultura esattamente in asse con il punto di esaltazione dell'ascesa spirituale verso il divino da parte del battezzato», cogliendo uno stravolgimento del significato del battesimo e una frantumazione dell’unitarietá e della specificità dell’intero contesto “battistero”. Se lo chiede retoricamente, perché sa bene come da buona parte dell’arte contemporanea non ci si possa attendere che un posizionamento “penzolante” nell’ambito del senso e dei significati. C’è piuttosto da chiedersi che cosa si attenda la Chiesa cremonese da tutto ciò. Perché dietro a questo genere di approcci all’insegna dell’”aggiornamento” c’è una ragione pastorale, c’è una coscienza ecclesiale. La stessa che ha portato a liquidare lo straordinario tesoro teologico-musicale del canto gregoriano e della polifonia sacra, anch’esso sbrigativamente ritenuto ormai inconciliabile con il rinnovamento teologico e la riforma liturgica post conciliare. Ma sulla messa in discussione di tale scelta in aperta contraddizione con le affermazioni conciliari - vale a dire, sulla validità normativa del canto sacro della Tradizione - non si può parlare: oggi è di fatto vietato discutere e anche riflettere sull’esistenza di una musica sacra e sulle sue condizioni. Proprio la Chiesa del tanto auspicato “dialogo” culturale, ecumenico, interreligioso e quant’altro, non consente un dialogo ad intra sull’imbarazzante e infondata linea “pastorale” tenuta in ambito liturgico in questi decenni. Un’analoga posizione inspiegabilmente censoria a Cremona è stata fatta propria dalla Curia nei confronti di un sacerdote che ha sollevato pubblicamente e in modo provocatorio (gli stessi registri permessi a Cattelan) la questione dell’uso di un battistero come spazio espositivo per un autore tra i più trasgressivi e provocatori. Quanto mai significativa la secca replica: «Una presa di posizione che non merita risposta».
Ma il filo rosso cremonese che stiamo seguendo, s’annoda anche alla tanto inutilmente dibattuta vicenda della Tavola di Sant’Agata, gemma fatalmente finita nell’hortus conclusus di un Museo diocesano (al momento visitato da pochissimi) sempre per sovreminenti ragioni “pastorali”. Nel depredare un oggetto in condizioni di assoluta sicurezza attestata dalla Sovrintendenza, s’è interrotto un culto plurisecolare che ha plasmato una comunità e la sua spiritualità, misconoscendone il valore di reliquia tuttora attestato dai sigilli episcopali ancora presenti sulla Tavola. Anche qui purtroppo ritroviamo componenti note: la sottrazione dal contesto suo proprio di fede produce una desacralizzazione dell’oggetto di culto riducendolo a pura opera d’arte. Esattamente come il battistero è ridotto a spazio espositivo e il presbiterio a foyer con prestigioso allestimento.
Così è: o cambiamo rotta, o, in tempi più illuminati, finiremo davvero per piangere lacrime di coccodrillo.
Insegnante di Religione
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commenti
Luigi Soldo
3 giugno 2023 08:21
Chi viola gli spazi sacri bestemmia ed è sacrilego, la chiesa deve difendere il grande valore del sacro nella Verità di Cristo. E' triste, a dire poco, assistere a queste svendite in nome di .... non si sa bene, o forse si sa troppo bene. Luigi Soldo
Adelaide Ricci
3 giugno 2023 09:24
Grazie Maurizio: un'analisi del tutto pertinente e utile ai lettori.
Renato Cappelli
3 giugno 2023 15:15
Condivido pienamete l'analisi ed il pensiero di Cariani. Chi ha permesso questa installazione all'interno del battistero deve aver smarrito i riferimenti di quello che è arte sacra. Probabilmente per Cremona Cattelan aveva finito le banane.
Daguati R.
3 giugno 2023 21:37
Grazie al prof. Cariani per il suo impeccabile e condivisibile commento. Un inconsistente artista ed un illuminato vescovo riescono a portare a Cremona quello che altrove nessuno avrebbe osato.
A loro la gloria, a noi amarezza e sconforto.