Facce da funerale o facce da salvati?
«Crederò nel Salvatore quando vi vedrò con la faccia dei salvati». Così si rivolgeva Friedrich Wilhelm Nietzsche, il controverso filosofo tedesco ottocentesco, ai cristiani del suo tempo. Evidentemente questo “maestro del sospetto” aveva incontrato fino a quel momento dei credenti così poco ardenti e zelanti da non riuscire a trasmettere la gioia dell’incontro con il Signore Risorto. Lo stesso concetto lo ha bene espresso papa Francesco nell’Angelus del 13 dicembre 2020: «Una volta un filosofo diceva una cosa più o meno così: “Io non capisco come si può credere oggi, perché coloro che dicono di credere hanno una faccia da veglia funebre. Non danno testimonianza della gioia della risurrezione di Gesù Cristo”. Tanti cristiani con quella faccia, sì, faccia da veglia funebre, faccia di tristezza... Ma Cristo è risorto! Cristo ti ama! E tu non hai gioia? Pensiamo un po’ a questo e diciamo: “Io, ho gioia perché il Signore è vicino a me, perché il Signore mi ama, perché il Signore mi ha redento?”».
Certo questo tempo storico non invoglia a sorridere: la guerra alle porte di casa con il suo atroce carico di morte e di violenza, la continua incertezza economica, la perdita di riferimento di quei valori che fino a poche tempo fa erano il perno della società, la crisi demografica – il nostro Paese è tra i più colpiti da questo fenomeno -, la secolarizzazione ormai diffusissima con le chiese sempre più deserte, i seminari vuoti, i conventi chiusi, le famiglie sempre più distanti da un discorso religioso. Potremmo continuare per ore in queste “geremiadi” che sono, purtroppo, all’ordine del giorno in tanti consessi ecclesiali o nei discorsi informali tra credenti. È un tempo di prova, forse tra i più impegnativi della storia cristiana, e i discepoli di Gesù appaiono disorientati, a tratti pavidi, non certo appassionati nell’annunciare il Vangelo. Tanti sono paralizzati dalla stanchezza, dal disincanto, dalla frustrazione.
Cristiani che non sono tanto diversi dai discepoli che, subito dopo la morte e sepoltura del loro Maestro, sprangano porte e finestre e si rinchiudono nelle loro paure e nostalgie. Ma proprio in questo abisso di codardia e di angoscia Gesù irrompe per stare in mezzo a loro! E la cosa grande è che nelle parole di Cristo non ci sono biasimi e rimproveri, ma soltanto doni. Non rinfaccia a Pietro il suo triplice rinnegamento o a tutti gli altri la fuga dinanzi alla prima grande prova della loro vita, ma offre i doni più preziosi e fecondi che possiede: la pace, lo Spirito Santo, la remissione dei peccati. Gesù, nonostante tutto, continua a fidarsi di loro e li manda a continuare la sua opera di riconciliazione tra Cielo e terra che ha avuto il suo apice nella sua morte e risurrezione.
Non basterà questo primo incontro con il Risorto a far cambiare l’atteggiamento dei discepoli, tant’è vero che otto giorni dopo essi sono ancora rintanati nel loro rifugio, bloccati dalle loro paure.
È anche per questo che Tommaso, assente alla prima apparizione, non crede alla testimonianza dei suoi amici e pretende un segno palese da parte di Gesù. Non ha tutti i torti: egli, infatti, non vede trasparire dai loro volti la gioia, il coraggio, l’ardimento, la voglia incontenibile di gridare che «Cristo è vivo!». I discepoli mantengono un volto da veglia funebre e non da “salvati”! Eppure hanno fatto un incontro straordinario che gli assicura che non saranno più soli!
È un po’ quello che succede anche a noi cristiani del terzo millennio! Come Tommaso anche tanti uomini e donne interpellano i credenti. Dove, infatti, i lontani e gli increduli possono trovare le prove concrete che Cristo è risorto, che è vivo e che cammina accanto agli uomini di oggi? In una comunità gioiosa, entusiasta, coraggiosa, accogliente, capace di contagiare con una speranza certa, con una fraternità senza infingimenti e lontana da ogni giudizio e condanna, con una liturgia semplice, ma nobile che parla alla vita, con una carità senza compromessi, con un annuncio di salvezza che precede sempre l’imperativo morale. Una comunità che non chiede il certificato di buona condotta, ma che allo stesso tempo indirizza, con chiarezza ed amore alla verità, verso una vita bella, buona, ispirata unicamente al Vangelo di Cristo, senza scoloriture o compromessi mondani. Una comunità che prega e che si lascia modellare unicamente dal suo Maestro!
Se un non credente bussasse alle porte delle nostre parrocchie che cosa troverebbe? Purtroppo a volte sguardi sospettosi e interrogatori, celebrazioni scialbe e incolore, la ricorsa agli ultimi posti della chiesa, una fede formale e tradizionali senza attrattiva che non intacca la vita, la fatica di costruire relazioni vere che si fondano sulla stima reciproca, sulla riconciliazione e il perdono, sulla costruzione del bene comune.
Insomma i segni della risurrezione il mondo li può trovare solo negli sguardi e nella vita di cristiani appassionati e coraggiosi e di comunità unite e gioiose che guardano al futuro sapendo che i fili della storia, alla fine, li muove solo il Signore! Il male sembra regnare sovrano, ma alla fine si ergerà Cristo vittorioso e la sua Parola spazzerà via ogni abominio e menzogna.
Prima di ascendere al Cielo, Gesù ci ha affidato il compito di essere il segno della sua presenza nel mondo. Se l’uomo d’oggi non percepisce la presenza di Dio nella storia è perché i cristiani non sono capaci di renderlo vivo e significativo. E quando parlo di cristiani intendo tutti, non solo preti, suore e missionari, ma ogni battezzato che si sente afferrato da Cristo e dalla sua Parola.
Ma come è possibile questa testimonianza? Solo con una intensa e profonda vita spirituale! Ho l’impressione che le nostre chiese sono vuote e le nostre proposte pastorale fallimentari perché contiamo troppo sulle nostre capacità e le nostre forze, sui nostri progetti, sui nostri programmi e documenti, ma troppo poco sul Signore! Forse occorrerebbe parlare un po’ di meno e inginocchiarsi un po’ di più!
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