17 ottobre 2023

Fermare le stragi. Evitare una seconda Nakba finchè siamo in tempo

Una seconda Nakba. Questo è quello che sta a accadendo sotto gli occhi del mondo a Gaza: centinaia di migliaia di palestinesi costretti a fuggire dalle bombe. Nakba significa catastrofe: è il nome che gli arabi palestinesi diedero nel 1948 alla cacciata di intere famiglie, di interi villaggi per far posto al nascente Stato di Israele.  

E’giusto, doveroso, opportuno condannare senza riserve la indiscriminata violenza del pogrom di Hamas, sicuramente pianificato da tempo con l’appoggio e la complicità di potenze straniere. Di più: è impossibile non sentire compassione, umana pietà e incontenibile sdegno per le vittime innocenti trucidate dai miliziani di Hamas e infinita angoscia per i 199 ostaggi rapiti e detenuti nei labirinti di Gaza. Altrettanto doveroso è denunciare la mancanza di proporzionalità e di misura da parte di Israele nella sua reazione politica e militare, malgrado gli appelli a salvaguardare la vita e i diritti dei civili di Gaza da parte del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Vita e diritti dei palestinesi abitanti a Gaza che andrebbero considerati non meno di quelli israeliani. Ricordo a questo proposito le profonde riflessioni di Hannah Arendt, cui fu tolta la cittadinanza tedesca nel 1937 per le sue origini ebraiche, nel denunciare che non esiste crimine politico più grande dello sradicamento di un popolo o di una comunità dalla sua terra negando il “diritto di avere diritti”. Perché di questo si tratta: nell’ormai secolare conflitto israelo-palestinese, già latente sotto il protettorato inglese, il problema centrale e di fondo è sempre stato ed è tuttora il diritto da avere diritti in eguale misura sia del popolo israeliano che del popolo palestinese. 

Ed è questo che continua a ignorare il Governo di Israele. 

Per questo l’offensiva militare di Israele, se non viene contenuta e poi fermata dalla Comunità internazionale, avrà conseguenze disastrose a più livelli: nuovi enormi campi profughi per accogliere i palestinesi in fuga dalla Striscia di Gaza, allargamento del conflitto all’intero Medioriente, definitivo abbandono del progetto di “due Stati, due popoli” avviato dagli Accordi di Oslo nel 1993. Temo che su questo obiettivo possano convergere tanto l’estremismo radicale di tanta Jiahad islamista, non interessata come Hamas alla convivenza con lo Stato di Israele, quanto il disegno di Netanyahu e di tanta destra israeliana del “Grande Israele” sempre più teso a occupare e a espropriare con i coloni terre di altri.     

Non sembri una esagerazione il paragone tra quello che accadde nel 1948 e il rischio imminente di una seconda Nakba.  

Allora furono più di 700.000 i palestinesi cacciati dalle loro case e dalle loro terre anche se la versione ufficiale dello Stato di Israele è sempre stata che la colpa di quella fuga di massa fosse da attribuire alla violenza della guerra scoppiata tra israeliani e arabi e non alla loro diretta ed esclusiva responsabilità. Questa unilaterale interpretazione giuridica sulle cause di quell’esodo permette tuttora ad Israele di negare il diritto al ritorno dei discendenti di quelle famiglie palestinesi arrivati a superare i 5 milioni di profughi secondo le stime ufficiali dell’Onu. 

Oggi la storia si ripete, oggi il Governo israeliano caccia da quasi la metà della striscia di Gaza oltre un milione di palestinesi prima di entrarvi e occuparla con i propri carri armati e, intanto, bombarda dall’alto della propria superiorità tecnologica scuole, ospedali, edifici pubblici, poco curandosi degli effetti collaterali: già migliaia di vittime civili, tra cui molte donne e bambini, visto che la popolazione della Striscia è per il 40% sotto i 14 anni.  

Secondo l’antica legge del taglione “occhio per occhio, dente per dente” Israele considera legittima e doverosa la ritorsione verso l’intera popolazione civile di Gaza, ma secondo la Carta dell’Onu avrebbe diritto a reagire alla violenza di Hamas distinguendo i responsabili dei crimini compiuti dal resto degli abitanti di Gaza.  

Per questo ritengo sbagliate e non solo inadeguate le posizioni ufficiali espresse dai vertici delle Istituzioni dell’Unione Europea quando si schierano da una sola parte, rinunciando a svolgere un ruolo attivo nella soluzione politica e non militare del conflitto israelo-palestinese. 

Secondo il diritto internazionale è legittimo difendersi, non offendere una intera popolazione! Legittimo individuare e punire i capi e i miliziani di Hamas colpevoli di crimini contro l’umanità, non pianificare con la forza delle armi un’invasione e una occupazione della Striscia di Gaza causando per ora una sorta di deportazione di un milione e duecentomila palestinesi.  A meno che l’enormità di questa operazione non riveli da un lato l’esigenza di Netanyahu di nascondere il fallimento delle proprie logiche e dei propri apparati di sicurezza agli occhi degli stessi israeliani, dall’altro l’ambizione di sconvolgere gli equilibri dell’intero Medioriente in chiave anti-iraniana. 

Per tutte queste ragioni, è bene che tutti i democratici si attivino e partecipino a tutte le iniziative che propongano non solo corridoi umanitari ma uno stop al ricorso delle armi come primo passo per una soluzione politica negoziata, non tanto con Hamas ma con una rinnovata unitaria rappresentanza del popolo palestinese, cittadini di Gaza compresi.  So bene che siamo di fronte ad un conflitto asimmetrico, dove lo strapotere tecnologico- militare e persino nucleare dell’uno è preponderante rispetto all’altro, ma proprio per questo è soprattutto nelle mani di Israele la decisione politica di quale soluzione preferire: quella di una guerra infinita, di una catena infinita di vendette e di orrori  o quella finalmente del riconoscimento del diritto del popolo palestinese ad un proprio Stato indipendente garantito da precisi accordi internazionali. 

 

Marco Pezzoni


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti