Francesco Giuseppe: dal Quarantotto alla Grande Guerra, una vita (lunghissima) tra due uragani
Il 2 dicembre del 1848 Francesco d’Asburgo-Lorena, fino ad allora semplicemente Franz, diviene a soli 18 anni Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria e sceglie il nome di Francesco Giuseppe I, in onore di due illustrissimi predecessori, suo nonno Francesco II e l'antenato Giuseppe II, figlio della grande Maria Teresa e massimo riformatore dell'Austria Felix. Francesco II, il nonno, fu invece rigidissimo ma integerrimo monarca, prima sconfitto e poi vincitore di Napoleone, quel diavolo d’un Bonaparte a cui dette perfino una figlia in sposa e da cui ebbe addirittura un nipotino, Napoleone II detto l’Aquilotto, che fu sottratto bambino all’Orco francese e cresciuto alla corte di Vienna tra affetto e imbarazzo come si fa con un prezioso peccato da nascondere, e che lì trovo la morte per tisi a soli 20 anni senza mai aver rivisto il grande padre. Nei ritratti appare sempre come uno splendido damerino in uniforme bianca da Gran Duca, con occhi azzurri e riccioli d’oro da perfetto austriaco ma con una contraddittoria faccia da scugnizzo napoletano, incancellabile eredità dell’avventuriero corso.
Insomma una famiglia decisamente non comune, in cui però alla grandezza di tanti membri sovente si appalesa la follia e l’inadeguatezza di altri: il suo stesso predecessore, lo zio Ferdinando I, sarà esautorato per inadeguatezza, un mezzo matto consegnato alla storia come il Re Canederlo per una sua celeberrima frase: “Ich bin der Kaiser, Ich will knödel!”(io sono l’imperatore e voglio i canederli!) perché fece cercare per tutto l’impero delle albicocche fuori stagione onde farsi cucinare il suo dolce favorito.
Franz regnerà per ben 68 anni, uno dei regni più lunghi della storia, divenendo simbolo nel bene e nel male di una immensa epoca, soprattutto per le nostre terre: il ‘48 con le sue sommosse sconvolgenti in tutta Europa e le Cinque Giornate di Milano, l’Unità d’Italia, l’inizio e la fine del Lombardo-Veneto, l’uccisione del fratello Massimiliano che volle farsi Imperatore del Messico e dai messicani venne orribilmente trucidato; la storia d’amore con la moglie Sissi di Baviera, che incanterà il mondo e finirà assassinata dopo essere uscita di senno come il figlio Rodolfo morto suicida con la propria amante; e poi l’ecatombe della Grande Guerra che scoppia proprio per l’uccisione a Sarajevo di un suo nipote e che due anni dopo la sua morte causerà la fine del secolare Impero asburgico: una delle dinastie più importanti della storia che si chiuderà addirittura con un santo, quel Carlo I succeduto proprio a Franz e che pur di finire la carneficina della prima guerra mondiale pose fine a un impero secolare, tanto che Giovanni Paolo II lo volle Beato nel 2004.
Noi lombardi lo chiamavamo Céco Bépe, forse per la familiarità data da quella stazza imponente e dai suoi baffoni rassicuranti, ma anche per irriverente timore verso la durezza a volte spietata con cui i suoi luogotenenti ressero il Lombardo Veneto fino alla nascita del Regno d’Italia e alla seconda guerra di indipendenza del 1866. Elevato al trono dopo le rivolte del ’48 proprio perché bellissimo e giovanissimo simbolo di rinascita, da ammodernatore dell’Impero divenne in poco meno di vent’anni una icona di assolutismo e militarismo, sinonimo di rigidità e repressione. Tanti, troppi i ribelli lombardi e i veneti che gli austriaci mandarono a morte, più o meno con il benestare di un uomo che non riuscì mai a conciliare l’immensità della sua carica con le sue buone inclinazioni, il cosmopolitismo del suo immenso regno con la tempra glaciale della sua educazione.
In Lombardia aveva affidato la sicurezza pubblica agli spietati sbirri croati, che vestivano di nero e prendevano a manganellate i sudditi padani con tale aggressiva solerzia che nel nostro dialetto si usava l’espressione “négher mè ‘n cruàt” per indicare quando si era furibondi. E tantissimi furono i lombardi che mal tollerarono la severità asburgica: sotto alle mura del Castello Sforzesco, dove non batteva mai il sole e cresceva abbondante l’erba teppa, i rampolli dell’aristocrazia lombarda si radunavano per pianificare attentati contro gli invasori, al punto che “teppa” divenne sinonimo di delinquenza perfino nel vocabolario italiano. Tanti furono impiccati, molti fucilati, e qualcuno divenne addirittura un eroe, suo malgrado e sempre alla lombarda: quell’Amatore Sciesa che mentre andava all’impiccagione e veniva sollecitato dagli austriaci a tradire i compagni per salvarsi la vita rispondeva rassegnato e asciutto: “tirèmm innaz”, come a dire facciamola finita presto ma anche a disegnare quel lombardissimo atteggiamento di rassegnata sopportazione della fatica e di scarsa propensione a drammatizzare. Altra espressione che è entrata nell’uso quotidiano di ogni contadino padano.
E in effetti le vicende lombarde e venete furono centrali nella vita di Franz, tanto che c’è un Céco Bépe giovane e riformatore di buona volontà che deve la sua incoronazione proprio ai moti lombardi, e che poi non riesce a far altro che cercare di impedire l’inevitabile frana del suo impero con la forza e i soldati; un sovrano che dopo il ’66 e la definitiva perdita dell’Italia diviene un campione dell’assolutismo tradizionalista fino ad essere un vecchio fuori dal tempo e dalla storia nel ‘900, secolo che traguarderà come una cariatide leggendaria e che ancora lo vedrà sconfitto proprio nel tentativo di tenersi quel Trentino Alto Adige che toccava all’Italia.
Adorava le uniformi e giocare coi soldatini, anche da adulto: e infatti non seppe far politica che con le guerre, purtroppo perdendone più di quante ne vinse. Era un magnifico cacciatore e cacciatore non smise mai di essere, ma siccome era anche un principe e lo era nel sangue, lo splendore della sua corte di Vienna con le candide divise degli ufficiali e gli splendidi walzer della famiglia Strauss è entrato nella storia della musica ( ancora oggi il Concerto di Capodanno rimane inossidabile tradizione), e anche in quella del costume e del cinema: da Senso di Visconti alla fortunatissima trilogia Sissi di Ernst Marishka, che ancora oggi fa ascolti da record in TV, la corte di Franz ha conquistato intere generazioni.
Muore nel novembre del 1916, e i vecchi raccontavano che nei paesi si girasse gridando “ghè mort Cèco Bèpe, ghè mòrt Cèco Bèpe!”, nell’incredulità generale per la fine di un uomo che sembrava non dover finire mai.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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