15 maggio 2021

Fronteggiare ma non odiare

“Non fuggiremo davanti a loro, anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo”. Sono parole del card. Camillo Ruini -pronunciate nel novembre 2003 al funerale dei caduti di Nassiriya – che ho sempre conservate nel cuore e nella mente perché, per me, rappresentano il giusto atteggiamento del cristiano di fronte ai fomentatori dell’odio e della brutalità e ai persecutori della Chiesa e della fede.

Non un atteggiamento passivo, rassegnato o rinunciatario, ma una vigorosa difesa della propria libertà e delle proprie convinzioni senza scadere nell’odio, nella rivalsa o peggio ancora senza rinchiudersi in una rocca immaginando chissà quali assalti da presunti eserciti del male. Si “combattono” le idee, non le persone, che vanno sempre accolte e rispettate nella loro dignità e anche nella loro fatica di comprendere le ragioni altrui. In realtà oggi si è diventati fin troppo accondiscendenti anche sulle idee, temendo di essere bollati come intransigenti o fondamentalisti: viviamo nell’epoca delle opinioni e chiunque pretenda di custodire una verità viene visto con orrore. Il vivace e a volte violento dibattito innescato dal disegno di legge sull’Omofobia è estremamente eloquente!

Non illudiamoci: non c’è stata epoca storica in cui il Cristianesimo non abbia avuto contrasti con il mondo e la logica mondana. Direi di più i contrasti sono la “prova del nove” della fedeltà della Chiesa al suo Signore, che prima di lei e più di lei è stato perseguitato dagli uomini. Non ci potrà mai essere piena sintonia tra il “mondo” e il Vangelo, ma non è detto che non ci possa essere un dialogo - anche uno scontro dialettico - che permetta al cristiano di “rendere ragione della speranza che in lui” e perché no, di smascherare certe idee o atteggiamenti che minano la dignità dell’uomo e la sua innata vocazione al trascendente. Non dimentichiamo che nel battesimo il cristiano oltre che “re” e “sacerdote” è divenuto “profeta” e nell’Antico Testamento i profeti erano coloro che difendevano, anche a costo della propria vita, le prerogative e il primato di Dio dinanzi ad un popolo un po’ troppo distratto dalla materialità.

Occorre sempre evitare gli estremismi: quello di sentirsi continuamente assediati e minacciati e quello di un appiattimento al pensiero corrente. È necessario praticare continuamente il “discernimento” che, tra l’altro, è dono dello Spirito Santo, e quindi vagliare, ponderare e anche giudicare, con il metro del Vangelo, quanto il mondo sforna in termini di idee, modi di vivere, atteggiamenti… La ricerca della verità va sempre condotta con carità e comprensione, ma anche con fermezza e determinazione.

Benedetto XVI e Francesco, due papi così diversi eppure così complementari, ci hanno insegnato che esiste una carità dell’intelletto che offre agli uomini la verità del Vangelo come unica via di liberazione interiore e di salvezza eterna e una carità del cuore che vede nel povero e nel diseredato il volto bello di Gesù e per questo lo aiuta e lo soccorre. Sono due aspetti profondamente intrecciati perché l’uomo ha bisogno di un pane per sopravvivere e di un senso per vivere. Due gesti profondamente profetici in un mondo sempre più allergico alla carità, ma ancora di più alla verità.

Stiamo terminando il tempo pasquale e questa domenica la Chiesa celebra la solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo: quaranta giorni dopo la sua risurrezione Cristo torna nel seno della Trinità con la sua carne umana e affida ai suoi discepoli la diffusione del Regno. Tocca a loro mostrare il volto bello e amorevole di Dio ai lontani, agli indifferenti, agli avversari. Non c’è compito più grande e più delicato che Dio possa affidare all’uomo. Annunciare il Vangelo significare proprio mostrare la Verità nella Carità. Una Verità che prima di essere un dogma o un’idea è una persona concreta, Cristo Gesù, che ha amato il mondo fino a dare la sua vita per esso: il più alto e sublime gesto di carità che mai la terra in tanti secoli di storia abbia potuto contemplare. Un gesto che esclude ogni elitarismo, fondamentalismo e anche vittimismo e che ha ben chiaro la differenza fra l’errore e l’errante. L’errore va sempre condannato senza se e senza ma, l’errante va sempre accolto con quell’amore che da due millenni è irradiato dalla Croce piantata sul Golgota.

Claudio Rasoli


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