Già oggi sappiamo dove e cosa saremo dopo la morte!
Ho letto con molto interesse e piacere l’intervento di Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera di sabato 24 settembre circa il suo rapporto personale con Gesù. Il noto insegnante scrittore racconta che per lui la fede cristiana non è mai stata una sorta di fuga dal mondo reale, iniquo e crudele, nella speranza di un mondo futuro, dolce e giusto, ma al contrario una vera e proprio immersione nella concretezza del quotidiano. Il Vangelo non lo ha acquietato nel suo desiderio di cambiare le cose e le situazioni, ma lo ha spinto a fare di più e fare meglio perché quel Regno che Cristo aveva annunciato con la sua predicazione e inaugurato con il folle ma sublime ed estremo gesto d’amore che è la Croce, potesse già germogliare nel presente. “Cristo – scrive D’Avenia – non mi ha protetto dalla vita, ma ci ha spinto dentro e contro” e ancora: “Per me Cristo è adrenalina non oppio, vita che sveglia la vita: inferno, purgatorio e paradiso non sono posti in cui andrò, ma posti in cui sono già in base a quanto amore (vita) riceve e do”.
Queste parole mi sembrano un ottimo commento al Vangelo di questa ultima domenica di settembre: Luca, sempre molto attento al tema della ricchezza, riferisce questa terribile parabola di Gesù che ha come protagonista un uomo solo, che non ha nome tanto si identifica con le sue ricchezze, e che passa le sue giornate ad esorcizzare la paura della morte attraverso vesti lucenti e lussuose e banchetti raffinati e abbondanti. Egli si lascia abbindolare dalla ricchezza per sentirsi vivo e onnipotente: si abbuffa per non pensare, è incantato dalla superficialità del vivere, dall’ebbrezza del godimento fugace, dalla prelibatezza dei sapori, dall’ammirazione e dall’adulazione di quanti lo circondano!
Una sola cosa, però, la ricchezza non può comprare: l’amore vero! Il ricco di ogni tempo è perennemente sospettoso! Egli sempre si domanda se gli altri lo cercano per vile interesse o per sincera amicizia.
Se c’è una cosa che anestetizza il cuore è proprio la ricchezza perché crea infinite illusioni nell’animo umano: fa credere di essere immortali, invincibili, onnipotenti, migliori degli altri, indispensabili, geniali. La ricchezza è una porta spalancata sul narcisismo, la vanità, l’autocompiacimento, ma anche l’arroganza e il disprezzo dell’altro!
In realtà il ricco non disprezza il povero Lazzaro – stranamente Gesù dà un nome all’altro protagonista della parabola quasi a conferirgli una dignità che il mondo gli aveva negato -, ma è talmente preso da sé stesso, dal suo apparire e dal suo appetito, da non vedere neppure questo ammasso di ossa e di piega accasciato di fronte alla sua porta. La cosa tremenda è che il mendicante non esiste per il padrone di casa! Quell’abisso, che sarà insuperabile dopo la morte e che non permetterà ad Abramo e a Lazzaro di portare sollievo all’uomo disperato, è stato costruito in vita proprio dal cuore indurito del ricco, dalla sua cecità spirituale. Tale abisso, oscuro, profondo e solitario, è creato dal nostro egoismo, dal nostro sospetto nei confronti degli altri, del fastidio di doverci coinvolgere nell’esistenza del prossimo, del disprezzo di chi è meno fortunato di noi, della paura di chi è diverso da noi!
Il giudizio finale, la nostra condizione ultima, dunque, si forma lentamente, piano piano, giorno per giorno, grazie alle scelte che facciamo, all’amore che riusciamo a dare, al bene che decidiamo di seminare attorno a noi. Nel nostro presente c’è già il profumo o il tanfo di ciò che saremo!
Nella sua infinita misericordia Dio non abbandona il ricco: ogni uomo, anche il più infimo e crudele, è amato e ricercato dal Padre. E il Padre gli offre sempre un’occasione per redimersi, per cambiare vita. Fino all’ultimo istante il Signore accoglie il nostro pentimento. È talmente innamorato della sua creatura da accontentarsi di un semplice “kyrie”, innalzato al Cielo con sincerità di cuore.
Lazzaro, gettato come un rifiuto sulla porta di casa, è proprio l’ancora di salvezza che Dio getta al ricco perché impari ad uscire dal proprio narcisismo e inizi a pensare agli altri! È l’ultima possibilità per ravvedersi e per aprire il cuore alle necessità di chi ci è accanto.
Il teologo Giovanni Moioli ha scritto che “I poveri sono il sacramento del peccato del mondo”: ciò significa che quando noi vediamo una persona oppressa dalla povertà e dal bisogno, dovremo immediatamente interpretare questa situazione come frutto dell’ingiustizia di cui anche noi siamo responsabili, evitando di scaricare la colpa sugli altri.
Umilmente aggiungerei che essi sono anche il richiamo che Dio ci offre per imparare ad amare sul serio scongiurando il pericolo di disumanizzarci, a smezzare il nostro pane evitando di abbuffarci, a dividere il nostro vestito schivando così ridicole vanità, a spartire le nostre risorse scansando così il rischio dell’aridità del cuore.
I Padri della Chiesa dicevano provocatoriamente che “il nostro superfluo è l’essenziale del povero”. Attenti agli abissi che poi sarà impossibile attraversare!
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