27 gennaio 2023

Giovannino Guareschi e quei 19 mesi nel lager raccontati in tre capolavori letterari

Torna in libreria, in occasione della “Giornata della memoria”, la trilogia “Guareschi nei lager”, edita da Rizzoli nel 2018, in occasione del 50.mo della morte dello scrittore. Il volume (460 pagine, 35 Euro) raccoglie tre opere di Giovannino: “La favola di Natale”, scritta e rappresentata nel lager di Wietzendorf la vigilia di Natale del 1944; “Il diario clandestino”, scritto nei lager e per buona parte letto ai compagni di prigionia e, perciò, da loro “autorizzato” e “Ritorno alla base”: il racconto del viaggio in Germania che Guareschi fece nel 1957 nei luoghi dei suoi campi di prigionia, in compagnia del figlio Albertino, diciassettenne.

La “Favola di Natale” è, ancora oggi, uno degli spettacoli che vengono rappresentati nel periodo natalizio in mezza Italia, per ricordare che, alla fin fine, ci fu uno scrittore, un umorista che seppe far sorridere i disperati internati militari anche al freddo, con la fame, le malattie e il rischio di beccarsi un pallottola fra le scapole dalle guardie naziste. Una favola in piena regola, con protagonisti un bambino (Albertino) la nonna (Lina Maghenzani, madre di Guareschi) il cagnolino Flik e un passerotto che li guida fino alla foresta incantata, dove incontreranno il prigioniero 6865 (Giovannino, appunto) che esce dai reticolati per consumare con loro, aiutati dai fantastici animali della foresta, una straordinaria cena di Natale.

La prima rappresentazione della “Favola di Natale” risale addirittura al Natale del 1945, al teatro “Angelicum” di Milano, dove Guareschi la presentò di persona: «[…] la nostra favola è nata in un lagher (sic), nell’imminenza del secondo Natale di prigionia, come disperato tentativo di popolare quella gelida solitudine coi fantasmi dei nostri sogni. Di dar loro corpo e voce. Rannicchiato nella mia cuccia, io vedevo attraverso una finestrina un vicino bosco di abeti e questo era lo scenario del sogno.   Coppola alloggiava al piano superiore e, mentre io scrivevo, componeva le musiche che dovevano commentare la fiaba. Poi le concertò, organizzò un coro, istruì dei cantanti, inventò un’orchestra. Come abbia fatto lo sa soltanto il buon Dio. I suonatori avevano le mani intirizzite dal gelo, i violini si spaccavano per l’umidità, le voci uscivano a stento da quei mucchietti di stracci. Così nacque lo spettacolo della Vigilia di Natale, il quale spettacolo risultò alla fine la completa mancanza di uno spettacolo. Un poveraccio pieno di freddo, di fame e di malinconia leggeva qualcosa su un suo quadernetto e, ogni tanto, altri poveracci pieni di freddo, di fame e di malinconia intervenivano nel racconto con canti e suoni». Fu un successo nel lager, lo fu a Milano nel ’45 e continua ad esserlo ogni Natale in mezza Italia. Alla “Favola”, segue il “Diario clandestino”, secondo me il libro più importante e significativo scritto da Guareschi: un ricordo vivo e palpitante di tragedie, drammi e risate nei campi di prigionia, con personaggi divertenti: il “Capitano armistizio”; “L’achiquestiere”; il capitano Novello e il suo martello multiuso che scompariva sempre me riappariva in caso di necessità; i prigionieri russi e quelli francesi, aiutati e sostenuti dalla Croce rossa che, però, non essendo la qualifica di “Internato militare” ricompresa nel trattato di Ginevra, non prendeva in considerazione gli italiani. Nel “Diario clandestino” Guareschi scrive pagine indimenticabili, come “Le stellette che noi portiamo” e, soprattutto, “Signora Germania”: «Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. È inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti. Signora Germania, tu frughi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. E inutile, signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece lì sono nascosti documenti d’importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire. E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c’è anche una grande carta topografica al 25.000 nella quale è segnato, con estrema precisione, il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina. Signora Germania, tu ti inquieti con me, ma è inutile. Perché il giorno in cui, presa dall’ira, farai baccano con qualcuna delle tue mille macchine e mi distenderai sulla terra, vedrai che dal mio corpo immobile si alzerà un altro me stesso, più bello del primo. E non potrai mettergli un piastrino al collo perché volerà via, oltre il reticolato, e chi s’è visto s’è visto. L’uomo è fatto così, signora Germania: di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n’è un altro e lo comanda soltanto il Padre Eterno. E questa è la fregatura per te, signora Germania». Infine “Ritorno alla base”, il viaggio di Giovannino e di suo figlio, che egli spiritosamente chiama “Sputnik” perché seguita a girargli attorno nei luoghi della prigionia. L’incontro con il ministro tedesco Strauss che parla di Unione europea e il “ballo pubblico” al quale Albertino, appassionato delle serate danzanti a Roncole, vuole partecipare. Nasce così un'altra pagina formidabile di Giovannino: “Signorina Germania”: «Se posso perdonare alla Germania di avermi tenuto in un Lager diciannove mesi, non potrei mai perdonare di aver rifiutato di ballare con mio figlio. Minuti secondi solenni battono sul quadrante della storia: quando Sputnik fa alla mocciosa il suo bravo inchino da studente di scuole media, la sorte della Germania è appesa a un filo. Sia ringraziato il cielo: non si tratta di una mocciosa ma di una ragazza graziosa e civile. Sputnik balla: Bergen è molto più vicino a Roncole di C. (Cremona, dove le ragazze non avevano voluto ballare con Albertino ndr.) […] Ci rimettiamo in viaggio la mattina seguente. Prima di uscire dal paese mi fermo a un distributore di benzina: chi mi fa il pieno e mi ripulisce il parabrise è proprio la giovinetta che ha ballato con Sputnik. Quando parto ci saluta sorridendo: “Aufwidersiin”! ». “Arrivederci, signorina Germania”».

 

Egidio Bandini


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