Gli archivi dei servizi/4: l'affaire Moro
Le circostanze hanno voluto che questa piccola trilogia sugli archivi dei “Servizi Segreti” cadesse a ridosso del 45° anniversario della cosiddetta strage di via Fani, durante la quale il 16 marzo del 1978 un commando delle Brigate Rosse sterminò la scorta di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, per poi rapirlo e giustiziarlo poco meno di due mesi dopo.
Analizzare quanto accaduto quella mattina e il contesto in cui tutto successe è praticamente impossibile, e non tanto perché questo è un misero editoriale ma perché da anni ci si prova con migliaia tra articoli, libri, documentari e film, e soprattutto perché non vi è riuscito nemmeno uno dei più grandi scrittori italiani di sempre, Leonardo Sciascia, che a questa vicenda dedicò il suo capolavoro, L’affaire Moro appunto, che lo ridusse quasi all’esaurimento nervoso senza di fatto riuscire a dipanare tutti i complicatissimi nodi della più atroce vicenda politica del dopoguerra italiano.
Ma questa è anche una delle pagine più nere della leggenda nera dei nostri Servizi di Sicurezza, e non poteva non chiudere questa breve serie di editoriali ad essi legati. Una considerazione da fare in premessa c’è: se i Servizi non erano deviati e collusi, di certo hanno fallito nel loro mestiere perché non sono stati in grado né di prevedere il rapimento né di trovare Moro prima dell’assassinio, tanto è vero che la scorta di Moro non sospettava l’attacco e aveva le mitraglie nel bagagliaio. Quindi lo Stato non sapeva che Moro fosse così a rischio e forse perché, come spesso ammesso dagli stessi vertici dei Servizi, non furono mai in grado di infiltrare nelle BR degli agenti a livelli importanti, perché la natura settaria iper-ideologica e non corruttibile delle BR lo rese praticamente impossibile. Ma anche queste considerazioni sono state più volte smontate e rimontate. E si è anche detto, Cossiga lo ha più volte confermato, che in quegli anni ormai più che sui Servizi informativi su puntava alla organizzazione delle squadre speciali di intervento proprio perché si era da quasi dieci anni in una sorta di stato di guerra civile tra rapimenti, bombe, stragi, gambizzazioni e assassinii. E quindi il fronte della Intelligence passò in secondo piano.
Si è detto proprio di tutto: che nel commando delle BR vi fossero agenti di Gladio (tra i cui fondatori vi era perfino lo stesso Moro, si sappia), quella sorta di esercito ombra che la NATO e la CIA avevano organizzato con agenti italiani pronti a intervenire in caso di invasione sovietica dell’Italia o di maggioranza assoluta del PCI alle elezioni nazionali; si è detto perfino che vi fosse lo zampino del KGB che avrebbe addirittura tentato di far fuori la “controparte” comunista di Moro, Berlinguer, che rischiò la pelle in un maldestro quanto misterioso incidente d’auto durante una visita in Bulgaria dove operava il famigerato Servizio 7. Si è detto che almeno un migliaio di sindacalisti comunisti sapessero del nascondiglio di via Gradoli e che Romano Prodi si inventò la balla della seduta spiritica perché non poteva dire che a rivelargli il nome Gradoli erano stati agenti della CIA o addirittura fonti ben più pericolose (Cossiga lo disse apertamente più volte…).
Che Moro fosse la perfetta vittima sacrificale è stato detto da tutti: uccidere lui che da anni era l’uomo simbolo del centro-sinistra di governo era un segnale chiaro a tutto il mondo che in Occidente mai si sarebbero avuti i Comunisti al governo. E dato che questo è assai plausibile e che impedire questa ipotesi aveva stuoli di supporter a destra e a sinistra, in America e in URRS, si è aperto una enorme scia di ipotesi su chi de facto decise di ucciderlo: si è perfino arrivati a ipotizzare che le stesse BR altro non fossero al loro massimo vertice che una ristrettissima organizzazione di contatto tra CIA e KGB. E’ il caso interessantissimo di Hyperiòn, quel centro studi parigino fondato da Mario Moretti (la “mente” delle BR, chiamato addirittura il Grande Vecchio o Superclan, e che a Roma pare vivesse in un appartamento di proprietà dei Servizi…) che secondo alcune versioni sarebbe addirittura stato il centro organizzativo di un accordo tra CIA e KGB per mantenere inalterati gli equilibri stabiliti tra Stalin e Roosevelt a Yalta nel 1945.
La vicenda Moro è certamente la quintessenza di quell’incredibile groviglio di interessi contrastanti che fu l’Italia al centro della Guerra Fredda. Ma forse è anche una vicenda al contrario semplicissima: fu ucciso dalle BR per ragioni ideologiche avendo come concausa la letale, genetica insipienza della politica italiana. Ma queste di certo non sono constatazioni che spettano a me.
Mi spetta invece una considerazione di natura archivistica: si è detto per anni nella vulgata giornalistica che del rapimento di Moro si sarebbe saputa la verità solo dopo la morte di Andreotti e Cossiga, che invece sono morti da un pezzo senza che nulla di nuovo si sia scoperto. E per anni si è detto che ci sarebbero fascicoli archiviati e segretati dai Servizi che testimonierebbero intrecci terribili tra i Brigatisti e i cosiddetti “servizi deviati” che avrebbero addirittura partecipato alla pianificazione del rapimento e taciuto volutamente ciò che sapevano dei vari nascondigli del Presidente prima che fosse assassinato. Ed è oramai consuetudine giornalistica anche ammettere che di fatto la DC al potere se proprio non ha decretato l’uccisione di Moro, evitò accuratamente di fare quanto necessario per liberarlo, sia sul piano politico delle trattative sia sul piano operativo con le Forze dell’ordine, in primis appunto i Servizi.
Avendo maturato ormai una certa esperienza nel mio campo, posso dire con una certa dose di certezza che se ci sono delle carte segrete prima o poi salteranno fuori. E che di solito non ci sono carte magiche che improvvisamente dipanano ogni nebbia, ma si tratta di documenti ordinari che raccontano passo passo vicende che vanno ricostruite con tanta pazienza e con una visione di insieme.
Quel che so per certo è tutto è sempre deciso da più di una persona, e le catene di comando e di esecuzione dei comandi sono lunghe, e nessuno vuole rimanere con la proverbiale “candela in mano”. Chi esegue vuole sempre una pezza giustificativa da tirar fuori al momento giusto, chi ordina vuole sempre poter dimostrare che non è stato l’esecutore materiale di un crimine ma tutto al più un mandante frainteso. Gli archivi non scompaiono, e non vengono mai distrutti volutamente, ma molto più facilmente si perdono tra un trasloco e un altro, oppure rimangono nascosti ( e mi è successo più volte in vita mia di trovarne) dietro pareti posticce e porte murate. Quando finiscono distrutti è sempre e solo perché vengono bombardati dai nemici (che in genere li svuotano prima di bombardarli…) o prendono fuoco o si allagano per circostanze davvero imprevedibili.
E forse chissà, se camperemo abbastanza sapremo. O forse nulla salterà fuori perché nulla altro ancora c’è da sapere e continueremo a fantasticare perché in fondo l’idea che la cruda banale realtà possa essere così tragica ci spaventa molto di più di ipotizzare sofisticati complotti e torbidi retroscena. Del resto come diceva Hitchcock, chi scappa fa sempre molta più paura del motivo per cui scappa.
(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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