Grandi agli occhi di Dio, ma non solo
Quante persone ci hanno deluso nella nostra vita? In quante persone abbiamo riposto la nostra fiducia e poi si sono rivelate nettamente al di sotto delle nostre aspettative? Ciascuno di noi ha il suo elenco e visualizzarlo nella mente suscita ricordi dolorosi e fatiche passate o ancora presenti.
Colpisce il fatto che anche Giovanni si è trovato in una situazione simile nei confronti di Gesù, al punto da chiedersi se non si sia sbagliato nella sua predicazione. La domanda del Battista è una delle più dure che si possono incontrare nei Vangeli per via di chi la pone: “Davvero sei tu Colui che aspettiamo?”, domanda che si potrebbe riformulare in questo modo “Davvero sei tu Colui per il quale io sono in carcere?”. Il messia annunciato da Giovanni avrebbe dovuto stabilire la giustizia, pertanto salvare i buoni e condannare i peccatori se questi non si fossero decisi a convertirsi, peccatori che erano quanti non osservavano la Legge o quanti la osservavano solo per convenienza, come abbiamo ascoltato la scorsa domenica (cfr. Mt 3,1-12).
Rispetto alle previsioni la realtà è ben diversa: i peccatori continuano a peccare, e Gesù si accompagna con loro (cfr. Mt 11,19); i prigionieri sono ancora in carcere, a dispetto delle profezie (cfr. Is 61,1); la giustizia non è aumentata sulla terra.
È lecito per Giovanni porre a Gesù la domanda, forse irriverente, ma per lui decisiva.
Curiosa è la risposta di Gesù: non una negazione, ma neanche un’affermazione, semplicemente l’invito ad osservare e ad ascoltare, a porre l’attenzione a qualcos’altro rispetto alle attese del Battista. Facendo questo si colgono dei segni: i ciechi son guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano. Non tutti, alcuni. A tutti è annunciato il Vangelo, particolarmente ai poveri, quel piccolo resto di Israele (cfr. Is 10-11) che attendeva con fede l’arrivo del messia.
Non saprei se la risposta abbia convinto Giovanni, forse sì, poiché egli ha continuato a perseverare nell’annuncio della giustizia, fino a perdere la vita.
La domanda di Giovanni oggi provoca noi, costringendoci a stare davanti a Gesù con la consapevolezza che anche per noi Egli è spesso deludente rispetto alle nostre aspettative.
A non essere umanamente deludenti sono solo gli idoli, immagini costruite dalle mani dell’uomo che si custodivano nei templi, si appendono come poster nelle stanze degli adolescenti, occupano le copertine delle riviste, a volte anche di quelle cattoliche quando trasformano persone in personaggi. Gli idoli sono immagini a due dimensioni che ci offrono quello di cui abbiamo bisogno; ci spingono ad acquistare qualcosa che non ci serve per sentirci simili a loro; ci impongono servitù volontarie e catene che ci imbrigliano senza che ce ne accorgiamo, per appartenere a certe logiche e a certi standard; ci offrono l’idea di una vita patinata, asettica e perfetta, ripulita da ogni reale e umana imperfezione.
Gesù può deluderci perché è vero, tridimensionale: è fatto di carne e sangue come noi ed è vivo come lo è il Dio di Israele, un Dio amorevole che accompagna un popolo, lungo una storia di fedeltà e peccato, spesso chiedendo a questo popolo di cambiare per accettare la sua presenza, sovranamente libera e liberante.
Gesù ci delude perché non risponde a tutte le nostre aspettative, perché ci chiede di fidarci, perché spesso suscita in noi più domande che risposte, perché non è come noi lo vorremmo.
Giovanni si fa oggi portavoce per noi e ci suggerisce il coraggio di non tirarci indietro a rivolgere a Dio che si manifesta in Gesù le nostre perplessità e i nostri dubbi. Perché se Dio può deluderci, è anche capace di stupirci.
E proprio di Giovanni, uomo austero e tormentato, risoluto e sconfitto, segnato dal dubbio della fede, Gesù tesse uno splendido elogio per poi regalarci una grandiosa promessa. Giovanni è il profeta più grande, è l’essere umano migliore che sia mai nato da donna. E tuttavia in Gesù, Dio ci offre un’altra grandezza, che relativizza persino quella di Giovanni: la grandezza della misericordia che perdona e rinnova, superando i limiti che ci segnano. Fossimo anche i più piccoli nel Regno dei cieli perché bisognosi di perdono infinito, saremmo comunque più grandi di Giovanni Battista, perché il compimento della vita, la sua pienezza, è dono di Dio e non un set fai da te che dobbiamo realizzare con qualche sommaria istruzione. A tutti noi che ammiriamo la grandezza altrui per le doti che non abbiamo, Gesù offre il suo amorevole condono: siamo noi quei poveri a cui è annunziata la buona notizia del Vangelo, siamo noi quei poveri che, fidandosi di Gesù, accolgono una grandezza immeritata e pur microscopici nel Regno sono fin d’ora più grandi di Giovanni.
È una parola vertiginosa quanto Gesù ci dice. Una promessa carica di speranza e di impegno che ci fa rialzare la fronte in questi tempi di attesa, liturgica e sociale. Una grandezza rivoluzionaria, se abbiamo il coraggio di accoglierla. Qual è il capitale umano di una vita infinitamente preziosa agli occhi di Dio, al punto che ogni uomo chiamato alla salvezza è da ora più grande del “più grande fra i nati di donna”? Quale visione di mondo ci regala questa parola e quale società può essere all’altezza di questa visione in cui ogni essere umano, indipendentemente da tutto, dovrebbe essere preziosissimo agli occhi degli uomini, come lo è agli occhi di Dio? Quale miglior attuazione della dichiarazione dei diritti di ogni uomo che vivere nella consapevolezza di essere custodi e responsabilità di un dono di divina grandezza che nessuno esclude?
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